Decreto di archiviazione per prescrizione e giudizi di colpevolezza: sentenza della Corte Costituzionale

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La Corte Costituzionale, con sentenza n. 41 dell’11 marzo 2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 411, comma 1-bis c.p.p. sollevate, in riferimenti agli artt. 2, 3, 24, secondo comma e 111, commi secondo e terzo Cost., dal Tribunale ordinario di Lecce.

Per avere un quadro unitario delle diverse novità normative che si sono susseguite nel tempo, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale

1) Corte Costituzionale – Sent. n. 41 del 11/03/2024
2) Comunicato Corte Costituzionale 11/03/2024

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Indice

1. I fatti

Nel caso all’esame del Tribunale, una persona già sottoposta a indagini era casualmente, attraverso notizie di stampa, venuta a conoscenza di un provvedimento di archiviazione per prescrizione già pronunciato nei suoi confronti, in cui si affermava, tra l’altro, che le accuse rivolte contro di lei erano suffragate da molteplici elementi di riscontro, puntualmente elencati.
Nello specifico, dall’ordinanza di rimessione e dai numerosi documenti prodotti dalla parte nel procedimento innanzi alla Corte Costituzionale, si evince che si tratta di un magistrato attinto da indagini in seguito alle dichiarazioni di un imprenditore, che lo aveva accusato di aver percepito rilevanti somme di denaro in cambio della risoluzione, in termini favorevoli allo stesso imprenditore e alla sua famiglia, di una serie di controversie con l’Agenzia delle Entrate pendenti innanzi alla commissione tributaria di cui il magistrato era, all’epoca, componente.
Al che, il magistrato denunciava l’imprenditore per calunnia ma entrambi i procedimenti sono stati, poi, archiviati.
Nel provvedimento di archiviazione del procedimento nei confronti del magistrato si affermava che una parte delle accuse concernessero fatti qualificabili come corruzioni in atti giudiziari che sarebbero stati commessi negli anni 2010 e 2011, mentre la restante parte delle accuse riguardava fatti – qualificabili come traffico di influenze illecite – rispetto ai quali, pur a fronte della ritenuta affidabilità dell’accusatore, sarebbero mancati riscontri oggettivi individualizzanti ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., con conseguente impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio rispetto ad essi.
Il magistrato, a questo punto, formulava al pubblico ministero e al Gip dichiarazione di rinuncia alla prescrizione per tutti i reati ipotizzati nei propri confronti, chiedendo altresì che non fosse emesso il decreto di archiviazione, il quale era stato ormai disposto dal Gip.
Il magistrato ha, poi, proposto reclamo avverso tale decreto assumendone l’illegittimità per violazione del principio del contraddittorio.

2. Giudizi di colpevolezza nella richiesta di archiviazione: la questione di legittimità

Il giudice del reclamo, rimettente nel procedimento incidentale innanzi alla Corte Costituzionale, ritiene che il rimedio di cui all’art. 410-bis cod. proc. pen. (nullità del provvedimento di archiviazione) sia effettivamente funzionale alla tutela del diritto al contraddittorio, ma sottolinea come il legislatore lo abbia circoscritto alle nullità ivi tassativamente indicate.
Tuttavia, proprio la mancata previsione di tale onere informativo alla persona sottoposta alle indagini in caso di richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione del reato pretermetterebbe, ad avviso del giudice a quo, il diritto dell’indagato a rinunciare alla causa estintiva, e pertanto violerebbe:

  • l’art. 3 Cost. “creando evidente disparità di trattamento rispetto a chi ben può agevolmente avvalersi del diritto di rinuncia alla prescrizione soltanto perché la maturazione della causa estintiva casualmente coincide con una diversa fase processuale», nonché rispetto alla persona sottoposta alle indagini nei cui confronti venga richiesta l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto, che deve essere invece avvisata della richiesta di archiviazione“;
  • l’art. 24, secondo comma, Cost. “in quanto la rinuncia o meno alla prescrizione rientra in una precisa scelta processuale dell’indagato/imputato formulabile in ogni stato e grado del processo ed esplicativa del proprio inviolabile diritto di difesa inteso come diritto al giudizio e con esso a quello alla prova“;
  • l’art. 111, commi secondo e terzo, Cost. “attesa l’elusione del contraddittorio con l’indagato necessario ad assicurargli la piena facoltà di esercitare i suoi diritti, tra cui quello alla rinuncia alla prescrizione“.

Dopo aver rammentato che la rinunciabilità della prescrizione è stata introdotta dalla sentenza n. 275 del 1990 di questa Corte, il rimettente sottolinea che “una facoltà è realmente tale soltanto se si pone il suo titolare nell’effettiva condizione di esercitarla“, ciò che non avverrebbe ove la persona sottoposta alle indagini non venga informata della richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione formulata nei propri confronti.
Il Tribunale ordinario di Lecce, sezione seconda penale, ha, dunque, sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma e 111, commi secondo e terzo, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen.nella parte in cui non prevede che, anche in caso di richiesta di archiviazione per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il pubblico ministero debba darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, estendendo a tale ipotesi la medesima disciplina prevista per il caso di archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto, anche sotto il profilo della nullità del decreto di archiviazione emesso in mancanza del predetto avviso e della sua reclamabilità dinanzi al Tribunale in composizione monocratica“.
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3. L’analisi della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale analizza la questione osservando che perno della prospettazione del giudice a quo, rispetto a tutti e tre i parametri costituzionali evocati, è l’assunto secondo il quale non solo l’imputato, ma anche la persona sottoposta alle indagini sarebbe titolare di un diritto, di rango costituzionale, a rinunciare alla prescrizione, e a ottenere un giudizio sul merito dei fatti che hanno formato oggetto delle indagini. Tale diritto discenderebbe dal diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.), nella sua declinazione più specifica del diritto al contraddittorio (art. 111, commi secondo e terzo, Cost.), che garantirebbe alla persona sottoposta a indagini di poter sempre ottenere una «verifica di merito sulla notitia criminis che ha dato luogo alle indagini preliminari.
Va, peraltro, sottolineato come la sentenza n. 275/1990 richiamata dal rimettente, relativa alla prescrizione, sia stata pronunciata (come anche la sentenza 175/1971, ripresa dalla Corte) in riferimento a procedimenti già instaurati, e come la ratio decidendi di entrambe queste sentenza sia ritagliata proprio su questa ipotesi.
La giurisprudenza penale di legittimità, invece, non pare avere ancora affrontato la questione se alla persona sottoposta alle indagini debba essere riconosciuto in via generale – e dunque, a prescindere dal caso specifico in cui sia stata destinataria di una misura cautelare – quel medesimo diritto di rinunciare alla prescrizione che è pacificamente riconosciuto all’imputato, a valle dell’esercizio dell’azione penale.
La Consulta passa, quindi, a valutare per la prima volta una tale situazione, osservando che, in effetti, la mera iscrizione nel registro delle notizie di reato che consegue all’acquisizione di una notitia criminis non implica ancora che il pubblico ministero abbia effettuato alcun vaglio, per quanto provvisorio, sulla sua fondatezza: tant’è vero che l’art. 335-bis cod. proc. pen. esclude oggi espressamente qualsiasi effetto pregiudizievole di natura civile o amministrativa per l’interessato in ragione di tale iscrizione, la quale è un atto dovuto una volta che il pubblico ministero abbia ricevuto una notizia di reato attribuita a una persona specifica. Più in generale, l’iscrizione nel registro è – e deve essere considerata – atto “neutro”, dal quale sarebbe affatto indebito far discendere effetti lesivi della reputazione dell’interessato, e che comunque non può in alcun modo essere equiparato ad una “accusa” nei suoi confronti.
Parallelamente, il provvedimento di archiviazione, con cui il GIP si limita a disporre la chiusura delle indagini preliminari conformemente alla richiesta del pubblico ministero, costituisce nella sostanza null’altro che un contrarius actus rispetto a quello – l’iscrizione nel registro delle notizie di reato – che determina l’apertura delle indagini preliminari. Se “neutro” è il provvedimento iniziale, altrettanto “neutro” non può che essere il provvedimento conclusivo ad ogni effetto giuridico.
La Corte, pur essendo conscia della gravità dei danni che possono essere provocati alla reputazione delle persone a seguito della indebita propalazione, in particolare tramite la stampa, internet e i social media, della mera notizia dell’apertura di procedimenti penali nei loro confronti, così come di eventuali provvedimenti di archiviazione che diano comunque conto degli elementi a carico raccolti durante le indagini, non trova lo spazio per allargare il campo di applicazione dell’art. 411, comma 1-bis cod. proc. pen. anche alla persona sottoposta alle indagini.
La Corte osserva che “un elementare principio di civiltà giuridica impone che tutti gli elementi raccolti dal pubblico ministero in un’indagine sfociata in un provvedimento di archiviazione debbano sempre essere oggetto di attenta rivalutazione nell’ambito di eventuali diversi procedimenti (civili, penali, amministrativi, disciplinari, contabili, di prevenzione) in cui dovessero essere in seguito utilizzati, dovendosi in particolare assicurare all’interessato le più ampie possibilità di contraddittorio, secondo le regole procedimentali o processuali vigenti nel settore ordinamentale coinvolto. E ciò tenendo sempre conto che durante le indagini preliminari la persona sottoposta alle indagini ha possibilità assai limitate per esercitare un reale contraddittorio rispetto
all’attività di ricerca della prova del pubblico ministero e ai suoi risultati (riassunti o meno che siano in un provvedimento di archiviazione), i quali dunque non potranno sic et simpliciter essere utilizzati in diversi procedimenti senza che l’interessato possa efficacemente contestarli, anche mediante la presentazione di prove contrarie
“.
Tutto ciò posto, questa Corte non ritiene debba riconoscersi in via generale alla persona sottoposta a indagini la titolarità di un diritto costituzionale ad un accertamento negativo su qualsiasi notitia criminis che la riguardi, da realizzare già nello specifico contesto del giudizio penale.
Ove si intendesse ravvisare un tale diritto, occorrerebbe infatti chiarire in quale sede processuale e innanzi a quale autorità giudiziaria, esso sarebbe destinato ad essere esercitato.

4. La decisione della Corte Costituzionale

Ad avviso della Corte Costituzionale non sussiste un vincolo costituzionale, al cui riconoscimento mirano le questioni di legittimità costituzionale ora all’esame, nel senso della necessaria previsione di un obbligo a carico del pubblico ministero, di avvisare la persona sottoposta alle indagini della richiesta di archiviazione per prescrizione formulata nei suoi confronti.
Né può ritenersi sussistente alcun vulnus all’art. 3 Cost. in conseguenza del differente trattamento della persona sottoposta alle indagini rispetto all’imputato, quanto al diritto di rinunciare alla prescrizione. La differenza di trattamento si giustifica proprio considerando la loro differente situazione: la prima attinta da una mera notitia criminis, atto “neutro” dal quale non deve – per esplicita indicazione normativa – derivare alcuna conseguenza pregiudizievole; il secondo accusato invece formalmente della commissione di un reato da parte del pubblico ministero, attraverso un atto di esercizio dell’azione penale che è funzionale all’instaurazione di un giudizio, nel quale i suoi diritti difensivi garantiti dalla Costituzione e dal codice di rito potranno pienamente dispiegarsi.
La conclusione raggiunta appare in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Ad avviso della Consulta “la sostenibilità costituzionale della conclusione che nega, in linea di principio, l’esistenza di un diritto costituzionale a rinunciare alla prescrizione in capo alla persona sottoposta alle indagini riposa sull’assunto secondo cui né dalla mera iscrizione nel registro delle notizie di reato, né dal provvedimento di archiviazione, debba essere fatta discendere alcuna conseguenza giuridica pregiudizievole per l’interessato“.
Insomma, il mancato riconoscimento alla persona sottoposta alle indagini di un diritto a provocare un accertamento negativo della notitia criminis nell’ambito di un giudizio penale non è costituzionalmente illegittimo soltanto in quanto l’ordinamento sia in grado – per altra via – di assicurare un rimedio effettivo contro ogni eventuale violazione, da parte dell’autorità giudiziaria, del diritto fondamentale della persona medesima a non essere presentata come colpevole senza avere potuto difendersi e presentare prove a proprio discarico.
Per questi motivi, la Corte Costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 411, comma 1-bis cod. proc. pen. sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma e 111, commi secondo e terzo, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce, sezione seconda penale, sancendo, però, che “un provvedimento o di archiviazione per prescrizione del reato, che esprima apprezzamenti sulla colpevolezza della persona indagata, viola in maniera eclatante il suo diritto costituzionale di difesa e il suo diritto al contraddittorio, oltre che il principio della presunzione di non colpevolezza“.

Riccardo Polito

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