La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza del 7 novembre 2016 n. 9221, stabilisce che si configura il reato di evasione qualora il soggetto sottoposto ad arresti domiciliari si allontani dall’abitazione in ragione di una visita specialistica di controllo in ospedale.
Difronte alla condanna del Tribunale di primo grado per evasione ex articolo 385 c.p. di 10 mesi di reclusione, l’imputata presenta ricorso alla Corte d’Appello invocando lo stato di necessità a causa di un malore. A latere, chiede l’assoluzione, in quanto, l’allontanamento dalla sua abitazione, per recarsi in ospedale, trova la sua ratio proprio nello stato di necessità derivante dal malessere sofferto dalla donna. Orbene, non sarebbe sussistente l’elemento psicologico per la configurabilità del reato. Inoltre, l’accesso alla struttura ospedaliera è stato accertato dalla documentazione medica rilasciata dal nosocomio stesso.
Il Collegio respinge il ricorso dell’imputata, non ravvisando nella condizione patologica della donna i requisiti di necessità ed urgenza. E ad ogni modo, la visita medica protrattasi fino alle ore 10,00 del mattino, non giustifica l’assenza dalla sua abitazione alle ore 12,00, orario del controllo da parte dei Carabinieri. Poi, la Polizia giudiziaria viene resa a conoscenza dell’allontanamento dell’imputata dalla sua abitazione solo in un momento successivo al controllo.
Importante precisazione della Corte di Appello, è il richiamo alla sentenza n.11679/2012 della Cassazione con la quale dispone che «il delitto di evasione si consuma nel momento stesso in cui il soggetto attivo si allontana volontariamente e consapevolmente dal luogo della detenzione o degli arresti domiciliari senza autorizzazione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, né la sua durata, la distanza dello spostamento ovvero i motivi che hanno indotto il soggetto ad allontanarsi». Quindi, essendo un delitto punibile a titolo di dolo generico, la consapevolezza stessa dello stato di detenzione accompagnata dalla volontà e dalla coscienza di «lasciare il luogo di detenzione domiciliare in assenza di qualunque autorizzazione o reale causa di forza maggiore» è ciò da cui discende la coscienza e volontà di porre in essere la condotta di evasione.
Il Collegio prosegue sottolineando il fatto che «la proiezione psicologica soggettiva dell’agente circa la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge non si risolva in un mero stato d’animo dell’agente, bensì emerga da dati di fatto concreti tali da giustificare l’erronea persuasione di trovarsi in una situazione di necessità».
Concludendo, il rientro dell’imputata nel luogo di detenzione sembra costituire un tassello della linea difensiva, teso a giustificare l’allontanamento con il pretesto malore, preannunciando il suo rientro successivamente al controllo dei Carabinieri e quindi, non vale a giustificare la diminuzione di pena per chi si costituisce spontaneamente.
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