Arresto in flagranza: si deve avere riguardo alla pena stabilita dal reato consumato o tentato

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22670 del 05 giugno 2024, ha chiarito che, ai fini dell’applicazione delle norme sull’arresto in flagranza, si deve avere riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato.

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Corte di Cassazione – Sez. II Pen. – Sent. n. 22670 del 05/06/2024

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Indice

1. I fatti

La decisione della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Nola avverso l’ordinanza del Gip del medesimo Tribunale che non aveva convalidato l’arresto dell’indagato per il reato di cui agli artt. 56-640 cod. pen. comma 2, n. 2-bis in relazione all’art. 61, n. 5 cod. pen.
Al riguardo il Pubblico ministero ha premesso che l’arresto non era stato convalidato in quanto si era ritenuto che il reato contestato non rientrasse nelle ipotesi per le quali era consentito l’arresto in flagranza. Premesso ciò, il Pubblico ministero ha osservato che l’art. 381 consente l’arresto facoltativo in flagranza in relazione a tutti i delitti per i quali è prevista una pena superiore nel massimo a tre anni, e tra questi rientra il tentativo di truffa aggravato così come contestato.
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2. Arresto in flagranza: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione analizza il ricorso riprendendo un consolidato principio di diritto che ha ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 381 c.p.p., comma 2, cod. proc. pen. per la mancata riproduzione della dizione del primo comma, nel quale si assimila esplicitamente il reato tentato a quello consumato.
Ad avviso della Corte, tale interpretazione, aderente al dato letterale della norma, “consente di ritenere pacificamente che, in tema di arresto facoltativo in flagranza, l‘arresto da parte della polizia giudiziaria in ordine ai reati indicati dall’art. 381 c.p.p., comma 2, non sia consentito nell’ipotesi di tentativo, in considerazione dell’autonomia del delitto tentato rispetto a quello consumato, considerato che la norma in parola espressamente si riferisce, elencandoli per articolo, ai seguenti delitti, diversamente dal primo comma ove la legge testualmente menzione i delitti non colposi consumati o tentati in ordine ai quali è autorizzata la cautela“.
Premesso ciò, la Suprema Corte osserva che, in ragione del rinvio all’art. 278 cod. proc. pen. contenuto nell’art. 379 cod. proc. pen., ai fini dell’applicazione delle norme sull’arresto in flagranza, si deve avere riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Ne consegue che, sempre in conseguenza dell’autonomia del reato tentato, non può ritenersi consentito l’arresto in flagranza per delitti tentati per i quali, in applicazione dell’art. 56 cod. pen., non risulti comminata una pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha chiarito che “la pena stabilita per il delitto tentato (figura di reato a se stante, del tutto autonoma, pur conservando il nome iuris della figura del delitto cui si riferisce) non può che trarsi dal disposto dell’art. 56, comma 2, cod. pen., secondo cui ‘il colpevole di delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi“.
Dunque, nella presente ipotesi di tentativo di truffa aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 5 cod. pen., la Suprema Corte ribadisce il principio già precedentemente espresso secondo cui “la determinazione della pena, ai fini dell’individuazione dei termini di durata massima della custodia cautelare […], deve essere operata individuando la pena massima del delitto circostanziato consumato per poi applicare, su di essa, la riduzione minima per la forma tentata indicata dall’art. 56 cod. pen. e, dunque, individuarsi il massimo edittale per il delitto in discorso, in anni tre e mesi quattro di reclusione (anni cinque di reclusione meno un terzo, posto che l’art. 640 comma 2, n. 2-bis, cod. pen., prevede la pena da uno a cinque anni di reclusione)“.
Per questi motivi, la Cassazione ha accolto il ricorso con rinvio al Tribunale di Nola che, dato che l’arresto è facoltativo, dovrà valutare i requisiti per la legittimità dello stesso.

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