Con due ordinanze rese a distanza di pochi mesi, e all’esito di due procedure di reclamo ex. art. 669 terdecies il Tribunale di Foggia, Sezione II, ha abrogato l’art. 696 bis cpc, quantomeno nelle cause aventi ad oggetto la responsabilità civile.
L’affermazione, chiaramente provocatoria, è frutto del seguente ragionamento.
1. I fatti delle cause
Si verte in materia di risarcimento danni da circolazione stradale e segnatamente di investimento di pedone.
Nelle fasi stragiudiziali di entrambi i giudizi trattati, le rispettive compagnie assicuratrici, dopo aver istruito il sinistro mediante l’acquisizione della denuncia del danneggiato, delle dichiarazioni testimoniali e degli accertamenti tecnici, sottoponeva a visita i danneggiati.
All’esito della visita, le compagnie inviavano una offerta parametrata alla stima del danno svolta dal medico fiduciario della compagnia assicuratrice, che i rispettivi danneggiati dichiaravano di trattenere in acconto.
I danneggiati, cosi, agivano ex. art. 696 bis cpc. con il patrocinio dello studio.
In entrambi i casi le compagnie assicuratrici si costituivano in giudizio, e in evidente contraddizione con la condotta stragiudiziale, muovevano contestazione all’an del sinistro, pur senza fornire alcun elemento a sostegno del proprio ravvedimento sui fatti di causa, e concludevano chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità della procedura poiché il giudizio non avrebbe potuto giungere ad una conciliazione.
Il Tribunale di Foggia, in entrambi i casi, accoglieva l’eccezione e dichiarava inammissibile la procedura, con “ricca” condanna alle spese in favore dell’assicuratore. Entrambe le ordinanze venivano reclamate ex. art. 696 terdecies, e in ambedue i casi il Collegio della II sezione confermava l’inammissibilità con motivazione che si va ad esporre e che ci fa concludere per l’intervenuta abrogazione nel circondario di Foggia, della procedura ex. art. 696 bis cpc.
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2. Le pronunce oggetto di commento
Affermano testualmente i provvedimenti, con motivazioni di fatto sovrapponibili, che alla luce del tenore letterale della norma siano necessari quali elementi di ammissibilità del ricorso:
a) la possibilità di esperire un tentativo di conciliazione;
b) la possibilità di ricondurre il diritto controverso all’ipotesi del fatto illecito o della responsabilità contrattuale;
c) la possibilità di accertare tramite consulenza tecnica sia l’an che il quantum dell’oggetto della domanda.
In ordine al primo requisito, tuttavia, e con approccio che si condivide e che si era sostenuto nel reclamo, il Collegio afferma che trattasi di una possibilità astratta e non valutabile ex ante.
Quanto al secondo requisito, nulla quaestio poiché è espressamente previsto dalla norma.
In ordine al terzo requisito, invece, il Collegio foggiano lo declina nella “circostanza fondamentale che la consulenza tecnica sia suscettibile di accertare e di determinare i crediti dedotti in giudizio.”
Qui sorgono le perplessità.
Vero che il I comma dell’art. 696 bis cpc, recita testualmente:
“L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti.”
L’interpretazione che il Collegio foggiano da del I comma, è il seguente.
“In sostanza, la norma ammette l’espletamento della consulenza tecnica a fini conciliativi per accertare l’an ed il quantum dei diritti, anche al di fuori delle condizioni di urgenza, ma lo fa sul presupposto che sia l’an sia il quantum dei diritti controversi siano accertabili mediante consulenza tecnica.”
Quindi, secondo la tesi della II sezione, solo se tramite la CTU si riesce ad accertare il fatto, il danno, il nesso di causa e il quantum, è ammissibile la procedura.
La tesi è rafforzata dal riferimento alla CTU percipiente in materia di responsabilità medica, atteso che il Collegio afferma anche:
“Ciò si verifica, ad esempio, nelle cause di responsabilità medica, ove ad essere in discussione non è l’essersi, o meno, verificata una determinata operazione chirurgica, ma sono solamente gli eventuali profili di colpa degli operatori sanitari, oltre ai relativi danni.
In siffatte ipotesi, non v’è dubbio che la ATP di cui all’art. 696 bis c.p.c. sia ammissibile, proprio perché appunto la consulenza tecnica è idonea ad accertare, oltre che i danni lamentati, anche l’an della responsabilità dedotta in giudizio.“
La tesi, poi, è rafforzata dal proseguo della motivazione:
“Vicecersa, l’ATP con finalità conciliativa, deve dichiararsi inammissibile proprio in quelle ipotesi in cui sussista una controversia sull’an della vicenda, che non sia suscettibile di essere accertata mediante la consulenza tecnica, dovendosi invece procedere a diversa istruttoria (es. l’essersi verificato un determinato incidente in un determinato luogo e con determinati soggetti).”
Quindi, secondo l’impostazione del Collegio, solo una CTU percipiente, e quindi inevitabilmente solo quella in materia sanitaria, può superare il vaglio di ammissibilità del I comma dell’art. 696 bis cpc.
L’interpretazione è altamente discutibile, e porta dritta all’abrogazione della norma, quantomeno nella materia della responsabilità da fatto illecito.
La prima fonte di perplessità è nel tenore letterale del I comma, che parla di responsabilità da fatto illecito e non soltanto di inadempimento contrattuale.
Il Tribunale di Foggia, quindi, e in aperto contrasto con la normativa
che dispone l’esperibilità della procedura per accertamento di crediti derivanti da fatto illecito, dichiara che essa è ammissibile solo per la responsabilità sanitaria. Non riusciamo, infatti, ad immaginare altri casi in cui una consulenza tecnica possa accertare sia l’an che il quantum della domanda, e sicuramente questa non è possibile o altamente improbabile nella responsabilità da fatto illecito.
Invero, la vicenda risarcitoria non può essere risolta con la sola consulenza nemmeno nella responsabilità medica; pensiamo, infatti, alla gradazione dell’intenso dolore nel danno tanatologico, alla stima di danni iure proprio anche di natura patrimoniale, che necessitano di istruttoria nel giudizio di merito.
Dunque, secondo il collegio foggiano, va esclusa categoricamente l’applicabilità della norma, quantomeno per la responsabilità civilistica da circolazione stradale.
Il Collegio chiarisce ancora meglio il suo (molto discutibile) pensiero nel seguente passaggio.
“È proprio in tali occasioni, in definitiva, che l’accertamento tecnico preventivo con finalità conciliative non può essere ammesso poiché manca il fumus della pretesa, che è proprio la possibilità di accertare tecnicamente i profili controversi della lite, siano essi relativi al quantum, siano essi relativi all’an. Opinare diversamente, e cioè ammettere il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. anche in ipotesi in cui non sia possibile accertare mediante consulenza la sussistenza dei crediti dedotti in giudizio, oltre che contrastare con la lettera della legge (che ammette lo strumento ai fini dell’accertamento e, solo successivamente, della determinazione dei “relativi” crediti), contrasta anche con la finalità dell’istituto.”
La tesi non convince perché il dato letterale della norma non è quello ravvisato dal Collegio foggiano.
L’art. 696 bis I comma non pone in sequenza l’accertamento e poi la determinazione del credito, ma li mette sullo stesso piano.
Non solo. L’accertamento e la determinazione del credito è sempre sub judice, perché ben potrà essere un credito accertato e determinato, ma non risarcibile perché difetta la prova del fatto nel successivo processo di merito.
In altre parole il legislatore, indicando i requisiti della decisivi dell’accertamento e determinazione del credito, non afferma che questa attività, e quindi la consulenza, debba essere idonea (di fatto) a definire l’”affare”.
Come sarebbe possibile, d’altronde, in una procedura cautelare?
Ancora afferma il Collegio.
L’art. 696 bis c.p.c., infatti, è stato introdotto dal legislatore a scopo deflattivo del contenzioso civile, con la finalità primaria di favorire la composizione della lite nella fase antecedente a quella processuale: se, quindi, si ammettessero i ricorsi ex art. 696 bis c.p.c. anche nelle ipotesi in cui vi siano questioni prodromiche, oggetto della domanda, non suscettibili di essere accertate tramite consulenza tecnica, non si farebbe altro che determinare la proliferazione dei giudizi. Il tentativo di conciliazione, infatti, è prospettato dalla norma come successivo rispetto alla previa consulenza tecnica e deve avere ad oggetto ciò che è stato tecnicamente accertato: se l’accertamento tecnico non è possibile, il tentativo di conciliazione non è esperibile, sicchè venendo meno uno dei presupposti dell’azione, si darebbe corso ad un inutile dispendio della risorsa giustizia, atteso che si ammetterebbe l’espletamento di uno strumento processuale inidoneo, in radice, a raggiungere il suo scopo.
La motivazione non convince affatto.
Innanzitutto la norma prevede che la conciliazione possa essere uno sbocco della procedura, ma non ne è certamente l’unica finalità.
E come potrebbe?
Per conciliare bisogna essere in due.
Aggiungiamo che l’atp non esaurisce la sua capacità conciliatoria nell’ambito della procedura stessa, atteso che la CTU può essere acquisita nel giudizio di merito e posta alla base di una proposta conciliativa anche in sede di prima udienza o nel comunque nel corso della causa, con relativo raggiungimento della finalità conciliativa.
Il ragionamento del Collegio, invece, che esaurisce la forza conciliativa alla sola procedura, agevola il convenuto che vuole dilatare l’adempimento della sua obbligazione, visto che gli basterà costituirsi nella procedura di ATP e affermare di non voler giungere a conciliazione per ottenere, secondo la tesi foggiana, l’inammissibilità della procedura.
Ora, poiché l’attore non può sapere come si difenderà il convenuto e, quindi, se contesterà o meno il fatto e quindi affermerà di non volersi conciliare, la domanda ex. art. 696 bis al circondario foggiano diventa un “terno al lotto”.
L’impostazione che fermamente contestiamo, viene ulteriormente chiarita nel successivo passaggio.
In definitiva, lo strumento processuale di cui all’art. 696 bis c.p.c. individua come prodromico rispetto alla conciliazione, l’accertamento tecnico dell’oggetto della contesa, sicché ove la contesa non sia tecnicamente accertabile, il tentativo di conciliazione non sarà esperibile ed il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile.
Va quindi condiviso l’orientamento che pone l’accento sul presupposto che la controversia fra le parti, sia essa relativa all’an, sia essa relativa al quantum, abbia una natura che possa costituire interamente oggetto di consulenza tecnica, acquisita la quale appare possibile formulare un tentativo di conciliazione che integri reciproche concessioni rispetto ai fatti tecnicamente accertati, (Trib. Milano del 23.01.2007), ricomprendendovi semmai anche fatti non accertati (es. danni partentali), ma pur sempre consequenziali rispetto all’an della vicenda”.
A fronte dell’obiezione del reclamante che affermava come a questo punto il pallino fosse in mano al convenuto cui bastava costituirsi e contestare l’”an” per ottenere l’inammissibilità e la condanna alle spese, la risposta del Collegio foggiano era la seguente.
“Né coglie nel segno obiezione del reclamante secondo cui, in tal modo, si concederebbe un’arma letale e potentissima al convenuto che intenda adottare una strategia dilatoria, al quale basterà contestare il fatto materiale sì da rendere inammissibile la domanda di accertamento conciliativo. Tale prospettiva è difatti fallace nella misura in cui non tiene conto del fatto che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, ciò che conta non è la contestazione, ma è la possibilità di accertare tecnicamente i fatti dedotti in giudizio: se difatti, il convenuto contestasse un fatto tecnicamente accertabile, il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. sarebbe comunque ammissibile.”
La contraddizione è evidente. Solo se non si contesta il fatto, la ctu può essere dirimente. Quindi il pallino è fermamente in mano al convenuto, che può paralizzare la domanda soddisfando così le mire dilatorie che decenni di riforme miravano a contrastare.
L’abrogazione della procedura, quantomeno per la materia della responsabilità civile, poi, viene palesata nel seguente passaggio.
“E’ viceversa la non contestazione del convenuto che può, semmai, aiutare il ricorrente ad ottenere una declaratoria di ammissibilità in ipotesi tendenzialmente inammissibili (i.e. assenza di contestazione sull’essere avvenuto un sinistro stradale, sicché la consulenza potrà accertare i soli danni).”
Orbene, nella responsabilità civile il fatto è presupposto fondante della domanda “qualunque fatto colposo o doloso che cagiona ad altri…..”. Il fatto, salvo che non sia contestato, si prova inevitabilmente attraverso prove orali e, quindi, all’interno del processo ordinario di cognizione, ergo nella fase di merito.
La tesi sostenuta dal Tribunale di Foggia, quindi, oltre ad essere contraria alla legge per una serie di ragioni che si andranno ad esporre, porta dritta all’abrogazione dell’art. 696 bis manu pretorile.
Infatti, il convenuto in un giudizio ex. art. 696 bis avente ad oggetto un fatto illecito o anche una responsabilità contrattuale, potrà agevolmente bloccare la procedura contestando il fatto storico e ottenendo, come accaduto nel caso di specie, anche una “ricca” condanna alle spese.
La provocazione dell’abolizione della norma, di fatto, non è tale ma è una constatazione inequivocabile.
La corretta interpretazione della norma, a giudizio dello scrivente, deve fondarsi sui seguenti presupposti.
– Non vi è alcuna disposizione normativa che consente, al di là delle regole generali, al giudice di dichiarare la inammissibilità della procedura. La riserva di legge in materia di nullità, ex. art. 156 I comma cpc, quindi, viene plasticamente superata dall’interpretazione foggiana;
– Nello specifico il requisito della capacità della ctu di definire an e quantum della domanda a pena di inammissibilità, non è previsto dall’art. 696 bic cpc;
– Il requisito della conciliabilità della lite, che non è posto a pena di inammissibilità della domanda anche perché non può essere valutata ex ante, non coincide con l’accoglimento della pretesa attorea. Le cause sono tutte conciliabili, in un range di possibilità che va dal totale soddisfacimento della pretesa attorea al pieno accoglimento del conclusioni del convenuto. Il debitore che si costituisce e dichiara di non volersi conciliare, vuole solo perdere tempo;
– La conciliabilità cui mira la norma va valutata anche sulla scorta del giudizio di merito. La ctu, quindi, una volta acquisita al giudizio di merito sarà sempre utilizzabile per una conciliazione, magari stimolata dal giudice con una proposta ex. art. 185 bis cpc;
– L’idoneità della CTU ad accertare e determinare i crediti di natura contrattuale o da fatto illecito che è presupposto della domanda non coincide con la capacità della stessa di definire l’affare. Siamo sempre nell’ambito di un procedimento cautelare;
– L’approccio minimalista del Collegio foggiano, atteso anche il fatto che l’attore non può conoscere il tenore delle difese del convenuto, si pone in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo e l’inammissibilità deve essere considerata l’extrema ratio quale sbocco finale della domanda cautelare ex. art. 696 bis cpc;
– L’art. 111 della Costituzione, nell’interpretazione data dal Collegio foggiano, è mortificato anche nelle prerogative dell’attore che, non potendo conoscere il tenore delle difese del convenuto non è messo in condizioni di parità e non vede garantito il contraddittorio.
La norma è quindi abrogata.
Le soluzioni auspicabili sono due.
Un ripensamento del Collegio foggiano, quantomeno del II, dell’approccio minimalista o un intervento della Corte di Cassazione, magari utilizzando il novellato 363 bis cpc previa acquisizione nel giudizio di merito del fascicolo di cui è stata dichiarata l’inammissibilità, possibile ai fini della regolamentazione delle spese (Cass. 6180/2019).
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