Art. 73 del T.U. sugli stupefacenti: un’analisi giurisprudenziale

L’articolo 73 del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti (TU 309/90) disciplina una serie di condotte legate alla produzione, traffico e detenzione di droghe, specificando le pene per diverse tipologie di reati. Esplorando il significato e l’applicazione giurisprudenziale di termini come “importa,” “procura ad altri,” e “detiene,” si evidenzia come le interpretazioni giudiziarie abbiano delineato i confini tra consumazione del reato e tentativo, sottolineando il ruolo della concretezza materiale e l’effettivo pericolo sociale. Questo articolo approfondisce il panorama giuridico italiano sulle droghe, affrontando i principali orientamenti della Cassazione e analizzando le sfumature della normativa, alla luce dei più recenti sviluppi giurisprudenziali. Per approfondire ulteriormente il tema della legislazione in materia di stupefacenti, consigliamo il volume Stupefacenti – Manuale pratico operativo

Indice

1. Art. 73 TU 309/90 commi 1, 1 bis, 2 e 3


Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’Art. 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’Art. 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 ad euro 260.000
1.bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’Art. 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene
[…]
2- Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’Art. 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II di cui all’Art. 14, è punito con la reclusione da sei a ventidue anni e con la multa da euro 26.000 ad euro 300.000
[…]
3- Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.

Per approfondire ulteriormente il tema della legislazione in materia di stupefacenti, consigliamo il volume Stupefacenti – Manuale pratico operativo

FORMATO CARTACEO

Stupefacenti – Manuale pratico operativo

Il presente manuale vuole offrire una panoramica della disciplina giuridica degli stupefacenti che, partendo dalla ricostruzione dell’iter normativo e giurisprudenziale segnato dalle molteplici riforme e decisioni della Corte costituzionale, affronta le problematiche più attuali all’attenzione delle aule giudiziarie.Il richiamo continuo alla giurisprudenza e alla dottrina consente di avere chiari punti di riferimento per un approccio critico e, nello stesso tempo, pratico alla disamina delle questioni trattate. L’analisi delle fattispecie incriminatrici – tra cui ampio spazio è dedicato, tra gli altri, al reato associativo, alla coltivazione e detenzione di sostanza stupefacente, al fatto lieve – ripercorre i principali arresti di legittimità e spunti di riflessione utili all’operatore del diritto.Un particolare focus è stato riservato alle misure cautelari reali, con specifico riferimento ai sequestri di canapa industriale, per via delle problematiche ancora irrisolte nella giurisprudenza, tra cui il tema dell’efficacia drogante e della commercializzazione delle infiorescenze e dei preparati a base di cannabidiolo (CBD).Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti,Avvocati cassazionisti del Foro di Roma, titolari dell’omonimo Studio legale che da anni ha una particolare attenzione al fenomeno degli stupefacenti e al mercato della canapa industriale. Relatori in convegni e corsi di formazione.

Claudio Miglio, Lorenzo Simonetti | Maggioli Editore 2024

2. Analisi del lemma “importa”


Cass., sez. pen. VI, 24 febbraio 1995, n. 6159: “in tema di importazione di sostanze stupefacenti nel territorio dello Stato, il momento consumativo del reato corrisponde con il passaggio del confine geografico-politico dello Stato”.
Cass., sez. pen. VI, 18 gennaio 1990, n. 11739: [in tema di importazione per via marittima] “qualora l’introduzione della sostanza stupefacente avvenga per via marittima, il delitto si consuma per il solo fatto che la merce sia stata introdotta nelle acque territoriali italiane (12 miglia marine verso l’esterno della linea doganale ex Art. 29 DPR 47/1973”
Cass., sez. pen. I, 2 aprile 1984, n. 8540: [in tema di importazione per via aerea] “quando l’introduzione avviene attraverso mezzo aereo, il reato si consuma quando la merce venga consegnata al vettore ed introdotta nello spazio aereo italiano”
Cass., sez. pen. VI, 11 luglio 2011, n. 27998:  [in tema di consumazione del delitto] “ai fini della consumazione del delitto di importazione di sostanze stupefacenti non è sufficiente la mera conclusione dell’accordo finalizzato all’importazione dello stupefacente, ma è necessaria l’acquisizione [materiale, ndr] dell’autonoma detenzione della droga da parte dell’importatore, la quale si realizza anche attraverso l’assunzione, da parte di quest’ultimo, della gestione dell’attività volta all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale”. Come si può notare, Cass., sez. pen. VI, 11 luglio 2011, n. 27998 si ispira ad una ratio di “concretezza materiale” della dazione. Non v’è posto per fuorvianti formalismi connotati da una pericolosità meramente astratta.
Cass., sez. pen. I, 7 marzo 1996, n. 1498 [in tema di “tentativo” del delitto] “il reato di importazione di sostanze stupefacenti […] non può ritenersi realizzato [rectius: consumato] sulla base del semplice accordo tra i soggetti interessati all’effettuazione dell’operazione, potendo un tale accordo eventualmente valere, ove ricorrano le condizioni previste dall’Art. 56 CP, solo a rendere configurabile il tentativo punibile”. Di nuovo, il comma 1 Art. 73 TU 309/90 richiede una consumazione del delitto materialmente concreta e fattuale.
Concretizzando, fattualizzando, materializzando, in tema di importazione dall’estero, Cass., sez. pen. IV, 15 ottobre 2019, n. 49896 specifica che “ai fini della consumazione del delitto di importazione di sostanze stupefacenti, non è sufficiente la mera conclusione dell’accordo finalizzato all’importazione dello stupefacente, ma è necessaria l’acquisizione dell’autonoma detenzione della droga da parte [dell’acquirente] importatore, la quale si realizza anche attraverso l’assunzione, da parte di quest’ultimo, della gestione dell’attività volta all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale”. Ecco, di nuovo, la ratio della traditio manu della sostanza, la quale non è importata con una generica volizione dolosa, fatta sempre e comunque salva l’eventuale cogenza dell’Art. 56 CP in tema di delitto tentato. D’altra parte, pure Cass., sez. pen. I, 27 novembre 2019, n. 6180 parla di un “concreto affidamento” dell’importatore, che non si deve limitare a tentativi d’importazione ex Art. 56 CP non seguiti da una “disponibilità concreta” dello stupefacente. In effetti, pure Cass., sez. pen. III, 29 gennaio 2018, n. 29655 evidenzia lo jato tra consumazione e tentata consumazione dell’atto dell’importazione, ovverosia “ai fini della consumazione del delitto di importazione di sostanze stupefacenti, è sufficiente la conclusione dell’accordo”, ma rimane precettivo l’Art. 56 CP qualora non sussistano “trattative serie” materialmente e fattualmente non idonee all’importazione.

3. Analisi dei lemmi “invia, passa o spedisce in transito”


Cass., sez. pen. IV, 2 dicembre 1992, n. 1373: “è configurabile il reato di passaggio in transito di sostanze stupefacenti, attraverso il territorio italiano, anche nel caso di sosta, nel detto territorio, di un aereo straniero contenente, nel bagagliaio, le sostanze stupefacenti trasportate dall’imputato [le quali, poi, se non scoperte, avrebbero proseguito il transito di nuovo fuori dall’Italia, ndr]”

4. Analisi dei lemmi “procura ad altri” (procacciamento)


Cass., sez. pen. IV, 2 dicembre 2005, n. 4458: “con il termine procacciamento di sostanze stupefacenti o psicotrope s’intende […] l’attività di intromissione di un soggetto nell’acquisto, vendita o cessione di droga da parte di terzi […]. La condotta del procacciatore risulta già punibile a titolo di concorso nelle diverse condotte illecite di acquisto, vendita o cessione”. A parere di chi scrive, il lemma “procacciatore” è semanticamente omologo a quello civilistico di “mediatore”
Cass., sez. pen. III, 12 maggio 2015, n. 38535: “integra il reato di intermediazione per la cessione di sostanza stupefacente, nella forma consumata, e non tentata [ex Art. 56 CP], a norma dell’Art. 73 TU 309/90, l’attività svolta per procurare a terzi una partita di droga, risultando indifferente se materialmente questa sia stata o meno consegnata ai destinatari”. Come si nota, Cass., sez. pen. III, 12 maggio 2015, n. 38535 predilige, a-tipicamente, una pericolosità astratta che fa scivolare il delitto di procacciamento verso i reati di mero sospetto. Trattasi di una regressione ermeneutica inaccettabile a parere di chi commenta.
Cass., sez. pen. IV, 2 dicembre 2005, n. 4458 [profili definitori del “procurare ad altri”]. “Tra le condotte illecite punite dall’Art. 73 TU 309/90 rientra anche quella dell’intermediazione, che è ricompresa nella condotta del procurare ad altri, puntualmente descritta nella norma incriminatrice, con la quale s’intende punire l’attività illecita di chi agisce al fine di provocare l’acquisto, la vendita o la cessione di droga da parte di terzi; attività, peraltro, il cui responsabile, anche senza espressa previsione, sarebbe comunque punibile a titolo di concorso nell’acquista, nella vendita o nella cessione”. Dunque, Cass., sez. pen. IV, 2 dicembre 2005, n. 4458 presenta il “procurare ad altri” alla stregua di un pleonasmo precettivo, in tanto in quanto il “procacciamento” risulta già perfettamente sussumibile entro le categorie normative di “acquisto, vendita o cessione”. Viceversa, chi redige apprezza la ridondanza chiarificatrice dei lemmi “procurare ad altri”, giacché tale espressione non è inutile, in tanto in quanto previene potenziali lacune applicative.
Cass., sez. pen. VI, 27 aprile 1998, n. 1601: “concorre nel reato di vendita di sostanza stupefacente […] anche chi si limita ad indicare all’acquirente il nome del possibile venditore della sostanza, dovendosi ravvisare in tale condotta la consapevolezza di concorrere nella cessione a terzi dello stupefacente”.

Potrebbero interessarti anche:

5. Analisi dei lemmi “riceve ed acquista”


Cass., sez. pen. I, 4 aprile 2013, n. 20020: “il reato di cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo”. Ecco, di nuovo, l’eco sinistra dei delitti di mero sospetto astrattamente pericolosi. A parere di chi scrive, Cass., sez. pen. I, 4 aprile 2013, n. 20020 va fatta rientrare, al limite, nell’alveo dell’Art. 56 CP
Cass., sez. pen. I, 2 dicembre 1985, n. 1464: “il termine acquisto […] non va inteso nel senso formale di negozio giuridico di compravendita, ma nel senso di una semplice e materiale acquisizione del possesso della sostanza stupefacente. Ne consegue che è configurabile il tentativo, allorché sia intervenuto un accordo tra i contraenti per la consegna di un certo quantitativo di stupefacenti e la consegna stessa non sia potuta avvenire per il tempestivo intervento delle forze dell’ordine, anche se il prezzo non sia stato ancora, in quel momento, determinato, o il denaro non sia stato versato, perché, anche in tale assenza, sono compiuti quegli atti idonei diretti, in modo non equivoco, ad acquisire il possesso della sostanza stupefacente, ossia a realizzare il momento perfezionativo del delitto tentato”. Finalmente, Cass., sez. pen. I, 2 dicembre 1985, n. 1464 chiarisce l’esatto campo applicativo dell’Art. 56 CP nell’ambito dei lemmi “ricezione ed acquisto” ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. Detto Precedente del 1985 calibra meglio la ratio della pericolosità antisociale ed antigiuridica degli atti del ricevere e dell’acquistare uno stupefacente.
Cass., sez. pen. VI, 21 maggio 2013, n. 35511: “la consumazione del reato di acquisto di sostanze stupefacenti non è esclusa dal fatto che la ricezione della droga si sia svolta sotto il diretto controllo della PG, posto che, ai fini della configurabilità del reato impossibile, l’inidoneità dell’azione deve risultare già ex ante assolutamente priva di potenzialità per la determinazione causale dell’evento”. Siffatto Precedente si attaglia alla fattispecie dell’agente provocatore.

6. Analisi del lemma “detiene”


Cass., sez. pen. VI, 4 giugno 1991, n. 8725. Tale Sentenza sgombera il campo dalla ratio del reato pericoloso in senso astratto, ovverosia “in tema di stupefacenti, detenere significa avere la disponibilità di una determinata cosa, quindi la concreta possibilità di prenderla, in qualsiasi momento, senza la necessaria collaborazione di altri”. Pertanto, la fattispecie dell’illecito di mero sospetto è completamente e finalmente allontanata dal comma 1 Art. 73 TU 309/90
Meno “concretizzante” è Cass., sez. pen. III, 21 novembre 2013, n. 3114 (ripresa, sei anni dopo, da Cass., sez. pen. VI, 16 gennaio 2019, n. 14955), in tanto in quanto essa afferma che “[in tema di reati concernenti gli stupefacenti] il termine detenzione non implica necessariamente un contatto fisico immediato tra il soggetto attivo e la sostanza, ma dev’essere inteso nel senso di disponibilità di fatto della sostanza stupefacente, realizzata attraverso l’attrazione della stessa nell’ambito della propria sfera di custodia, anche in difetto dell’esercizio continuo e/o immediato di un potere manuale da parte del soggetto attivo”. Quindi, Cass., sez. pen. III, 21 novembre 2013, n. 3114 equipara il lemma “detenzione” a quello di “custodia”.
Sotto il profilo dell’AG competente per territorio, Cass., sez. pen. I, 30 maggio 1984, n. 1312 precisa che “in ordine al reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti […] la competenza per territorio si determina con riferimento al luogo in cui ebbe inizio la consumazione [della detenzione] e non ha alcuna rilevanza il luogo in cui si è conclusa la condotta criminosa, qualora sia accertato il luogo nel quale tale condotta, costituente già reato, ebbe inizio”.
Analogamente, Cass., sez. pen. VI, 21 dicembre 1994, n. 1809 mette in evidenza che “in tema di illecita detenzione di sostanze stupefacenti destinate allo spaccio, agli effetti della determinazione della competenza territoriale occorre ricercare ove naturalisticamente si sia realizzata la condotta-reato. A tal fine, rileva esclusivamente la localizzazione della sostanza, ossia del corpus del possesso e l’esistenza di una base operativa in luogo diverso per il confezionamento della droga non è idonea a spostare la competenza”
Alla luce dell’Art. 56 CP, Cass., sez. pen. VI, 19 novembre 1992, n. 1906 precisa che “detenere la droga significa averne la disponibilità, e questa sussiste anche nell’ipotesi di accordo preliminare tra il fornitore e l’interessato all’acquisto, destinato a divenire definitivo se e quando la merce venga da quest’ultimo riscontrata di suo gradimento, con conseguente esclusione del tentativo nel reato”. Chi commenta avrebbe dato più spazio all’Art. 56 CP, e ciò nel nome di una stretta e concreta “fattualità” del possesso dello stupefacente. Viceversa, si apre, di nuovo, la strada ai delitti di mero sospetto.

7. Analisi del lemma “coltiva”


In maniera decisamente e, fors’anche, eccessivamente garantistica, Cass., sez. pen. VI, 19 giugno 2013, n. 41607 statuisce che “la semplice detenzione di semi di pianta dalla quale siano ricavabili sostanze stupefacenti non è penalmente rilevante, per l’impossibilità di dedurre l’effettiva destinazione degli stessi”. Come si nota, la summenzionata Sentenza massimizza, sino alle estreme conseguenze, la ratio dell’irrilevanza penalistica dei reati a pericolosità meramente astratta. Dunque, il “legittimo sospetto” non rinviene alcuna cittadinanza precettiva nell’Art. 73 TU 309/90
Altrettanto iper-garantistica è Cass., sez. pen. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058, in tanto in quanto “ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti [ex comma 1 Art. 73 TU 309/90], non è sufficiente l’accertamento della loro conformità al tipo botanico vietato, dovendosi invece accertare l’offensività in concreto della condotta, intesa come effettiva ed attuale capacità della sostanza [in specie, della marjuana] ricavata o ricavabile a produrre un effetto drogante e come concreto pericolo di aumento della disponibilità dello stupefacente e di ulteriore diffusione dello stesso”. Ecco, pertanto, che Cass., sez. pen. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058 fa prevalere il criterio qualitativo su quello quantitativo. P.e., se il Magistrato denota una “ingente quantità” di canapa priva, però, di tenore drogante, dunque di THC, il fatto non costituisce reato, nemmeno se viene superata la QMD statuita da Sezioni Unite Biondi e ribadita da Sezioni Unite Polito.
Parimenti, a fronte di piante non ancora mature, Cass., sez. pen. IV, 23 novembre 2016, n. 53337 statuisce che, in via putativa, “ai fini della punibilità della coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità [potenziale, ndr] a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente”. Come si può notare, in Cass., sez. pen. IV; 23 novembre 2016, n. 53337, la pianta già messa a dimora, ancorché non ancora matura, costituisce un pericolo antisociale ed antigiuridico “non astratto”, bensì prossimo alla concretizzazione, quindi di fatto reprimibile. Ai fini della perseguibilità ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 è, pertanto, sufficiente che il seme abbia germogliato, avviando così quel processo di maturazione che poi produrrà la sostanza stupefacente.
Viceversa, in tema di coltivazione rudimentale per uso strettamente personale, Cass., sez. pen. III, 22 febbraio 2017, n. 36037 ha evidenziato che “va esclusa la sussistenza del reato per una minima estensione della coltivazione e per il conclamato uso personale di quanto prodotto […] [Ovvero] ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti [specialmente di cannabis, ndr] non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga, alimentandone il mercato”. Cass., sez. pen. III, 22 febbraio 2017, n. 36037 mette, dunque, in risalto la non anti-socialità della coltivazione per uso personale, la cui lesività non è collettiva, bensì individuale, quindi estranea alla ratio suprema della tutela della salute pubblica ex comma 1 Art. 32 Cost. (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […]”). In buona sostanza, Cass., sez. pen. III, 22 febbraio 2017, n. 36037  riconosce al singolo tossicodipendente la “libertà di auto-ledersi” senza cagionare ulteriori danni sociali esterni.
Similmente, Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348 ribadisce, in tema di uso personale, che “non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali ed uno scarso numero di piante da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto”. All’opposto, Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348 non scrimina la coltivazione “professionale”, la quale è palesemente finalizzata alla cessione di dosi a terzi.

8. Analisi dei lemmi “cede, vende, offre o mette in vendita”


Cass., sez. pen. IV, 12 maggio 2010, n. 21814 precisa che “il reato di cessione di sostanze stupefacenti è configurabile anche in relazione a dosi inferiori a quella media singola di cui al DM 11 aprile 2006, con esclusione soltanto di quelle condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui da non poter indurre, neppure in maniera trascurabile, la modificazione dell’assetto neuropsichico dell’utilizzatore”. Nuovamente, Cass., sez. pen. IV, 12 maggio 2010, n. 21814 propone un illuminante esempio di non-lesività della ratio della tutela della salute collettiva ex comma 1 Art. 32 Cost.. Del resto, anche la “lieve entità” ex comma 5 Art. 73 TU 309/90 si fonda anch’essa sulla quasi totale assenza di una lesione concreta del bene della sanità pubblica tutelato, nel suo complesso, dall’intero TU 309/90. Ovverosia, alla scarsa etero-lesività corrisponde un’altrettanto scarsa rilevanza penale.
Altrettanto garantistica e “concretizzante” è Cass., sez. pen. I, 1 giugno 1998, n. 10460, ai sensi della quale “in tema di acquisto di sostanze stupefacenti, previsto tra le condotte punibili indicate nell’Art. 73 TU 309/90, la relativa nozione non può essere mutuata dai principi civilistici del negozio di compravendita, attesa la radicale nullità di un tale negozio, quando esso abbia ad oggetto le sostanze anzidette. Ne consegue che, per il perfezionamento dell’acquisto, non può essere sufficiente, come in una normale compravendita, l’incontro delle volontà, ma è necessaria la traditio, mancando la quale può prospettarsi, a carico del mancato acquirente, la figura del tentativo [ex Art. 56 CP]”. Come si nota, il testé menzionato Precedente predilige una nozione “materiale” del verbo “acquistare” nell’Art. 73 TU 309/90, ove le categorie civilistiche non godono di alcuna precettività ragionevole.
Cass., sez. pen. IV, 10 marzo 2005, n. 44621 precisa, in tema di “compravendita di stupefacenti”, che “qualora tra acquirente e venditore della sostanza stupefacente non si raggiunga l’accordo sulle qualità e quantità della sostanza e sul prezzo da pagare, a carico del venditore è ravvisabile il reato consumato di messa in vendita di sostanza stupefacente, e non, invece, quello di tentata vendita. Quest’ultima figura, infatti, non è concettualmente configurabile, avendo il Legislatore, nell’Art. 73 TU 309/90, anticipato, quanto alla vendita ed alla cessione di sostanze stupefacenti, la soglia di punibilità con la previsione delle condotte di messa in vendita e di offerta, che, sicuramente antecedenti alla vendita ed alla cessione, si connotano, diversamente dalla vendita e dalla cessione, per la non avvenuta dazione della droga”. Come si può notare, la suddetta Sentenza di legittimità del 2005 nega la natura pleonastica dei lemmi “offre [o] mette in vendita”. In effetti, de jure condito, ed alla luce del comma 1 Art. 32 Cost., la messa in pericolo della salute collettiva inizia già, prima ancora della compravendita, con la semplice offerta dello stupefacente.
Anche Cass., sez. pen. I, 4 aprile 2013, n. 20020 asserisce che la “traditio manu” della sostanza non è essenziale ai fini della punibilità, giacché “il reato di cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e dal pagamento del prezzo”. Chi scrive, viceversa, reputa eccessivamente formalistico, ai fini della precettività dell’Art. 73 TU 309/90, dal momento della “consegna della merce e dal pagamento del prezzo”. Nuovamente, chi commenta rigetta con vigore la ratio di una pericolosità astratta ed anticipata nel contesto dell’Art. 73 TU 309/90. La nozione civilistica di “accordo tra le parti” non è idonea in un ambito quale quello delle disposizioni penali del TU 309/90, ove rimane e deve rimanere intangibile la “materialità” fattuale e concreta del reato.
Purtroppo, anche Cass., sez. pen. II, 16 maggio 2019, n. 30374 non rispetta la “fattualità” dei reati ex Art. 73 TU 309/90, ovverosia essa postula che “il delitto di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e dal pagamento del prezzo”. Pertanto, anche il tal caso, la Giurisprudenza di legittimità accetta, più o meno consapevolmente, la fattispecie orribile dei delitti di mero sospetto. Ignorare il momento “dell’effettiva consegna e del pagamento del prezzo” fa venir meno quel favor rei che permea l’intero Art. 73 TU 309/90. A parere si chi redige, senza consegna e senza pagamento del prezzo non è ancora leso il bene della salute costituzionalmente tutelato dal comma 1 Art. 32 Cost. .
Sulla tematica della “offerta”, Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 22471 rifugge anch’essa da un rigido formalismo, in tanto in quanto essa nota che “la condotta criminosa dell’offerta di sostanze stupefacenti si perfeziona nel momento in cui l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente dall’accettazione del destinatario, [ma] a condizione, tuttavia, che si tratti di un’offerta collegata ad una effettiva disponibilità, sia pure non attuale, della droga, per tale intendendosi la possibilità di procurare lo stupefacente, ovvero di smistarlo, in tempi ragionevoli e con modalità che garantiscano il cessionario. Dunque, anche Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 22471  richiede la “effettiva disponibilità” dello stupefacente, così rigettando una pericolosità astratta che rimanga collocata nel limbo delle millanterie e delle suggestioni fraudolente. Questo Precedente del 2015 impone una solida concretezza fattuale nel contesto precettivo dell’Art. 73 TU 309/90. Un pericolo sanitario non concreto e non sostanziale non può avere cittadinanza all’interno dell’Art. 73 TU 309/90.

Dott. Andrea Baiguera Altieri

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento