- Ratio della norma
- Art 873 cc.: distanze nelle costruzioni
- Principio della prevenzione temporale
- Rimedi per la violazione delle norme sulle distanze legali
- Edifici esenti dall’obbligo delle distanze legali
1. Ratio della norma
La materia delle distanze legali tra costruzioni costituisce l’espressione per eccellenza dei rimedi legislativi introdotti per regolare una categoria di particolari rapporti inter-individuali caratterizzati da un tasso di elevata conflittualità. Non a caso, il corpo normativo preso ad oggetto in questa trattazione è contenuto nell’art 873 ss cc., anteposto alla sezione settima riguardante le luci e vedute, anch’esse considerate un ambito di spiccata litigiosità. La dottrina ha ricondotto tutte le situazioni giuridiche che ineriscono a soggetti proprietari di fondi limitrofi (e dunque esposti a frequenti contenziosi) all’interno della categoria tipologica dei “rapporti di vicinato”[1], tra cui viene annoverata anche la disciplina sulle immissioni ex art 844 cc.
Ponendo un attento sguardo sulle disposizioni codicistiche in materia di distacco legale, emerge come la ratio alla base di questa normativa è ricondotta alla tutela del decoro architettonico e della salubrità pubblica, posto che un ridotto distacco fisico tra costruzioni può facilmente dar vita ad intercapedini e fessure, da cui potenzialmente possono originare ristagni e reflussi di acqua e aria, dannose per la salute dei proprietari degli immobili. In tale direzione si è anche espressa Cass. 7954/2022 in riferimento alle distanze maggiori imposte dai regolamenti locali: gli ermellini hanno evidenziato come tali deroghe comunali sono volte “non solo a regolare i rapporti di vicinato evitando la formazione di intercapedini dannose, ma anche a soddisfare esigenze di carattere generale, come quella della tutela dell’assetto urbanistico, così che, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino”[2].
2. Art 873 cc.: distanze nelle costruzioni
L’art 873 cc rubricato “Distanze nelle costruzioni” recita: “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”. Analizzando la norma in base al suo tenore letterale, risulta che le condizioni favorevoli affinché operi tale obbligo siano da un lato la vicinanza dei fondi su cui sono poste le costruzioni in esame (e non necessariamente la contiguità geografica), e d’altro lato gli edifici cui deve essere imposto il suddetto distacco non devono essere uniti o in aderenza. Il contenuto centrale dell’art 873 cc è però la quantificazione della distanza prescritta, pari a 3 metri.
La giurisprudenza di legittimità si è espressa anche nel delineare i caratteri strutturali ed architettonici necessari perché una costruzione debba rispettare il distacco legale: la Suprema Corte ha sostenuto infatti che la nozione di costruzione si estende a “qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità, e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, nonché dalla tecnica costruttiva adoperata”[3]. Inoltre si è affermato il divieto in capo ai regolamenti locali di introdurre definizioni diverse di costruzioni alla luce del fatto che l’art 873 cc fa riferimento ad una nozione unitaria di “costruzione”, che quindi non può subire deroghe da norme secondarie[4].
Il secondo periodo dell’art 873 cc riconosce esplicitamente la facoltà ai regolamenti locali di imporre una distanza maggiore tra costruzioni rispetto a quella prevista dal codice. La Cassazione ha anche aggiunto che ai regolamenti locali è riconosciuta la deroga non solo alle distanze minime, ma anche all’intero impianto di regole e principi dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione[5]. Infatti è possibile escludere l’applicabilità di quest’ultimo principio, imponendo un distacco minimo delle costruzioni dal confine o negando la possibilità di costruire in appoggio o in aderenza. Contrariamente, si riconosce la sua operatività qualora il regolamento locale si limiti a stabilire una distanza tra costruzioni maggiore, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, ovvero se il regolamento locale, pur imponendo una distanza assoluta tra fabbricati, preveda la possibilità di costruire sul confine, ovvero di costruire in appoggio o in aderenza[6].
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3. Principio della prevenzione temporale
Dal combinato disposto degli artt. 874, 875 e 877 cc emerge il principio di prevenzione temporale, concetto cardine della materia, secondo cui il confinante che costruisce per primo va a condizionare le scelte edilizie del vicino che intenda a sua volta costruire sul suo suolo. Infatti al proprietario che intenda edificare prioritariamente sono offerte tre possibilità: (i) costruire sul confine, per cui successivamente il suo vicino può o costruire ad una distanza pari all’intero distacco legale previsto, oppure chiedere la comunione forzosa del muro sul confine ex art 874 cc[7]; (ii) costruire ad una distanza dal confine pari a 1,5 metri o metà della distanza prescritta dai regolamenti locali, ed in questo caso il confinante può solo edificare anch’egli a 1,5 metri dal confine o metà della distanza legale prescritta; (iii) costruire ad una distanza dal confine minore a 1,5 metri o metà della distanza prescritta dai regolamenti locali, e nella fattispecie al vicino sono prospettate tre strade: costruire in modo tale da rispettare la distanza legale dalla costruzione del vicino, oppure chiedere ex art 875 cc la comunione del muro soltanto allo scopo di fabbricare in appoggio[8], ovvero costruire sul confine stesso in aderenza ex art 877 cc, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine e senza appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente.
4. Rimedi per la violazione delle norme sulle distanze legali
Il riferimento normativo della violazione di norme edilizie è l’art 872 co 2 cc[9] che impone conseguenze diverse alle violazioni da un lato di norme che perseguono interessi meramente privatistici (quali quelle riguardanti le distanze legali), d’altro lato di norme contenute in leggi speciali e regolamenti edilizi comunali (che ad es. impongono limitazioni all’altezza degli edifici, volume per area, norme igieniche, norme di ornato ecc.[10]). Al mancato rispetto delle prime la legge riconosce il diritto alla riduzione in pristino, e il risarcimento del danno, strumenti risarcitori che possono ben coesistere in quanto la demolizione del manufatto può non elidere il danno eventualmente procurato (es. basti pensare alla perdita di chance di vendita o profitto, perdita di amenità e del valore dell’immobile)[11]. Diversamente la violazione di norme di interesse prevalentemente pubblicistico consente solo di far ricorso a rimedi di carattere amministrativo da parte del proprietario del fondo vicino, finalizzati ad esempio all’ottenimento di un ordine di abbattimento, anche se è pur sempre riconosciuto il risarcimento del danno ex art 2043 cc qualora la violazione delle suddette norme consegua in una diminuzione patrimoniale subita dal confinante.
Un aspetto cruciale da porre in evidenza riguarda l’individuazione del soggetto legittimato passivo dell’azione di riduzione in pristino di un immobile irregolarmente distanziato: il carattere eminentemente reale di tale azione giudiziaria importa che debba essere rivolta verso l’attuale proprietario dell’immobile in questione, indipendentemente da chi lo abbia effettivamente costruito[12]. In senso contrario opera l’azione volta al risarcimento del danno patito, che può essere intentata anche a soggetti che al momento corrente non hanno alcuna relazione giuridica con l’immobile illecitamente eretto.
5. Edifici esenti dall’obbligo delle distanze legali
Un’importante eccezione all’obbligo delle distanze legali è prevista dall’art 879 co 2 cc, che afferma che “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”. Cass. S.U. 1638/1964 ha graniticamente affermato il principio di diritto per cui l’art 873 cc non trova applicazione alle costruzioni erette su suolo pubblico, riconoscendo ai proprietari dei fondi confinanti solo l’uso normale delle piazze e delle strade e, per di più, “l’eventuale limitazione di tale uso non lede un suo diritto soggettivo, ma soltanto l’interesse occasionalmente protetto alla conservazione dei vantaggi derivanti da detto uso normale” (es. la visuale, l’accesso ecc). Segue che qualsiasi intervento di edificazione ritenuto di pubblico interesse rappresenta la manifestazione di un diritto in capo alla Pubblica Amministrazione, e dunque tale attività non è suscettibile delle conseguenze di violazioni di norme della sezione sesta ex art 872 cc. Da ciò consegue che le parti di costruzioni che violano il distacco legale non sono suscettibili di riduzione in pristino alla luce del fatto che “la scelta dell’ubicazione dell’edificio persegue una finalità di massimizzazione dell’utilità pubblica, senza incidere in alcun diritto soggettivo del confinante”[13]. Il supremo consesso ha inoltre specificato come l’opera pubblica non deve essere necessariamente realizzata su fondo demaniale per risultare esente dalla disciplina delle distanze legali, potendo essere eretta anche su un fondo privato, ma contestualmente assimilabile, per la finalità pubblica perseguita, al demanio pubblico.[14]
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Note
[1] cfr. Galgano F., Diritto privato, Wolters Kluwer, Milano, 2019, 134 ss.; cfr. Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, 287 ss.; cfr. Zatti P. e Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Wolters Kluwer, 2015, 246.
[2] vedi Cass. sez. 2, ord. n. 22054 del 11/09/2018 e Cass. sez. 6 – 2, ord. n. 3854 del 18/02/2014.
[3] vedi Cass. 21441/ 2022, 4009/2022, 23843/2018, 24128/2012, 15972/2011; da ultimo Cass. 24527/2022, in cui si scrive che “soltanto l’immobile completamente interrato si sottrae pertanto al rispetto della normativa in tema di distanze, non anche quello che si eleva dal suolo, indipendentemente dalla relativa altezza”.
[4] vedi da ultimo Cass. 24527/2022: “L’art. 873 cod. civ. […] assegna ai regolamenti locali la sola potestà di disporre una distanza maggiore, ma non già di definire la nozione di costruzione, cioè di stabilire le caratteristiche in base alle quali l’opera possa definirsi costruzione e quindi ritenersi soggetta alla normativa sulle distanze”. In questo senso Cass. 23843/2018, 144/2016, 5163/2015, 19530/2005, 1556/2005.
[5] vedi par. 3.
[6] vedi Cass. 804/2022, come in precedenza da Cass. 20871/2020, 22447/2019, 15033/2019, 14705/2019, 11664/2018, 23693/2014, 8465/2010.
[7] Il co 2 dell’art 874 cc prevede che il proprietario richiedente la comproprietà debba pagare la metà del valore del muro, o della parte del muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito.
[8] L’art 875 co 1 afferma che “dovrà pagare, oltre il valore della metà del muro, il valore del suolo da occupare con la nuova fabbrica, salvo che il proprietario preferisca estendere il suo muro sino al confine”. Il co 2 aggiunge che “il vicino deve domandare al proprietario del fondo confinante se preferisce estendere il muro al confine o procedere alla sua demolizione. L’interpellato deve manifestare la propria volontà entro 15 giorni e deve procedere alla costruzione o alla demolizione entro 6 mesi dal giorno in cui ha comunicato la risposta”.
[9] L’art 872 co 2 afferma che “colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino, quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate”.
[10] cfr. Zatti P. e Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Wolters Kluwer, 2015, 247.
[11] vedi Cass. 1767/2022.
[12] cfr Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, 288; vedi Cass. 3236/2017.
[13] vedi motivazione in Cass. 391/2021.
[14] supra.
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