Il comma 1 dell’articolo 8 del decreto legge 138/2001, nel testo coordinato con le modifiche apportate dal cd. maxiemendamento, in corso di approvazione alle Camere, recita :” 1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.”.
L’articolo in oggetto reca disposizioni “ a sostegno della contrattazione collettiva di prossimità”1 (non solo la contrattazione aziendale ma anche quella territoriale), sulla scia delle richieste, da più parti inoltrate, di una disposizione normativa regolatrice della materia2. Il riferimento alla “territorialità”, senza ulteriori specificazioni, rischia di apportare ulteriori elementi di conflittualità e incertezze nel sistema3.
La contrattazione in oggetto, secondo la lettera della norma, si attua attraverso:
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La adozione di specifiche intese
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sottoscritte da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti
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tale adozione deve essere subordinata alla condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario, nonchè
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finalizzate al conseguimento di determinati obiettivi.
Quanto al primo punto, la locuzione “specifiche intese” richiama il punto 7 dell’Accordo i. del 28 giugno u.s. secondo cui i contratti aziendali possono attivare “strumenti di articolazione con-trattuale” modulati sulle esigenze degli specifici contesti produttivi con la definizione di “specifiche intese modificative” degli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro, nei limiti e con le procedure previste dai medesimi contratti nazionali. Sulla natura “specifica” o “speciale” di tali intese si registrano orientamenti contrastanti4; l’impressione è che la novella legislativa avvicini il nostro sistema di relazioni industriali al sistema francese nel quale, salvo alcune materie inderogabili, il contratto aziendale (norma speciale) prevale sul contratto nazionale (norma generale) all’interno, tuttavia, di un sistema di controllo della rappresentatività e della maggioranza sindacale assai evoluto e rigoroso5. Una vera e propria accelerazione che sembra “dribblare” anche illustri e spesso decantati sistemi continentali europei, quale quello germanico6.
La tematica della rappresentanza sindacale richiama, ancora una volta, le soluzioni adottate nel citato Accordo I. del giugno scorso (punto 1), secondo una disciplina modellata su quella vigente nel settore pubblico privatizzato. “Si assumono come base i dati associativi riferiti alle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori. Il numero delle deleghe viene certificato dall’INPS tramite un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali (Uniemens) che verrà predisposta a seguito di convenzione fra INPS e le parti stipulanti” l’Accordo. Inoltre “I dati così raccolti e certificati, trasmessi complessivamente al CNEL, saranno da ponderare con i consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie da rinnovare ogni tre anni, e trasmessi dalle Confederazioni sindacali al CNEL. Per la legittimazione a negoziare è necessario che il dato di rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale superi il 5% del totale dei lavoratori nel settore o comparto … non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media tra il dato associativo (iscrizioni certificate) ed il dato elettorale (percentuale voti ottenuti sui voti espressi)”7. La disposizione, come preannunciato, richiama l’art. 47 bis “Rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva” del D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, modificato dall’art. 7 del D.Lgs. 4 novembre 1997, n. 396. In base a tale norma l’Aran (l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) ammette alla contrattazione collettiva nazionale le OO.SS. che abbiano, nel comparto o nell’area interessata, una rappresentatività non inferiore al 5%, misurata tenendo conto della media tra il dato associativo e il dato elettorale, mentre, per essere valido ed efficace, il contratto collettivo deve essere sottoscritto da sindacati che nel loro insieme rappresentano almeno il 51% (rappresentanza calcolata sulla media tra percentuale di adesione associativa e di voti riscossi nelle elezioni delle r.s.u.)8. A seguito delle modifiche all’Accordo apportate il 14 luglio, sembra che la “ponderazione” dei dati debba essere intesa nel senso di “media” (aritmetica) tra dato associativo ed elettorale9; restano i dubbi sulla opportunità del trasferimento da un settore economico, a carattere pubblico sia pure privatizzato, all’altro di natura privata, caratterizzati da differenze sostanziali10. Al di là delle critiche, è mancata l’occasione di definire, a livello normativo, un meccanismo rappresentativo fondato sulla solida base della legge e non sull’accordo sindacale, per ciò stesso sempre disdettabile.
A differenza dell’Accordo i. citato, il Decreto 138 non richiama il quadro delle “materie delegate” di cui al punto 3 del medesimo: “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”. Si richiamano sul punto le differenze esistenti tra la disciplina a regime e quella transitoria, quest’ultima indubbiamente più generica11: la prima idonea a derogare, in pejus ed in meljus, a tutte le regolamentazioni contenute nella disciplina nazionale, anche soltanto in via sperimentale e temporanea e avuto riguardo alle esigenze dei singoli contesti produttivi, la seconda relativa a casistiche concernenti situazioni di crisi o investimenti significativi e limitata alla modifica/deroga degli istituti che concernono la prestazione lavorativa, l’orario di lavoro e l’organizzazione del lavoro.
Nella norma in corso di approvazione tali limitazioni scompaiono. Le materie oggetto di intesa sono specificate dal comma 2 dell’articolo 8 come quelle inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell’orario di lavoro;
e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.
Trattasi di un range applicativo decisamente vasto ( basti citare il riferimento alle “modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro”), quasi coincidente con la estensione della normativa lavoristica. E tali intese, come espressamente prevede il terzo comma dell’articolo 8, possono derogare alle stesse disposizioni di legge oltre che ai contratti collettivi nazionali di lavoro. Non appare improprio parlare di una vera e propria liberalizzazione (ma si è parlato anche di “Far West o balcanizzazione) della contrattazione aziendale ( e territoriale) in contrasto con le indicazioni e la ratio dell’Accordo del 28 giugno.
Le altre condizioni previste dalla norma per la validità delle specifiche intese, attengono al perseguimento di finalità che siano mirate “alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.”. Trattasi naturalmente di finalità disgiuntive, ovvero da perseguirsi anche singolarmente; la formulazione, assai più estensiva rispetto a quella del precedente Accordo riveste tali connotati di generalità ed astrattezza da indurre taluna dottrina a interrogarsi sulla reale utilità di norme che “scritte così possono soltanto alimentare il contenzioso, ma non servono né ai lavoratori, né alle imprese”12
Dubbi di costituzionalità
Capitolo di non minore importanza è la eventuale incostituzionalità – sotto svariati profili – della norma.
In primo luogo la inclusione della medesima in un decreto d’urgenza, atteso che la realizzazione di una vera e propria riforma del diritto del lavoro ( quale, sia pure surrettiziamente, la novella sembra promettere) non pare essere sollecitata da impellenti motivazioni di necessità ed urgenza.
A meno che tali non vogliano essere definite le sollecitazioni avanzate dalla Banca Centrale europea nella famosa lettera “agostana” in piena crisi dei mercati finanziari. In quella lettera la Bce chiedeva una riforma del nostro diritto del lavoro in grado di conciliare una maggiore flessibilità con una maggiore sicurezza nel mercato del lavoro per i lavoratori, nonché un deciso superamento del dualismo tra lavoratori protetti e non protetti. Non sembra che l’articolo 8 in commento entri direttamente nel merito dei desiderata della Banca Centrale.
In secondo luogo, la eventuale incostituzionalità della norma sotto il profilo della violazione dell’articolo 39 della Costituzione. Tale ultima norma, esaminando i lavori dell’Assemblea costituente del tempo, fu concepita sulla base dell’unica forma di contrattazione allora esistente: la contrattazione collettiva nazionale di categoria13. In particolare il secondo comma prevede che solo attraverso la registrazione del sindacato – mediante un atto di natura pubblicistica – gli accordi collettivi da questo sottoscritti sono efficaci erga omnes. Restando ad oggi inattuata questa norma, resta il problema di chiarire la eventuale incostituzionalità di norme aventi forza di legge, quali quella contenuta nell’articolo 8, che estendono erga omnes (“con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati”) le intese sindacali.
Il rapporto tra contrattazione collettiva e legge è stato affrontato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza 106/1962. Vi si legge che “ L’art. 39 pone due principi, che possono intitolarsi alla libertà sindacale e alla autonomia collettiva professionale. Col primo si garantiscono la libertà dei cittadini di organizzarsi in sindacati e la libertà delle associazioni che ne derivano; con l’altro si garantisce alle associazioni sindacali di regolare i conflitti di interessi che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes, una volta che sia stipulato in conformità di una determinata procedura e da soggetti forniti di determinati requisiti. “ Ed ancora :” Una legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato della dilatazione ed estensione, che è una tendenza propria della natura del contratto collettivo, a tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce, in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima.”. La legge sottoposta al giudizio della Corte era la 741/1959 (la cd. “Vigorelli”) , che sostanzialmente delegava il Governo alla emanazione di norme aventi forza di legge che recepivano i contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali anteriormente alla emanazione della legge. In pratica si dava efficacia erga omnes, attraverso lo strumento della recezione del contratto nella legge, alle clausole della contrattazione collettiva, in palese violazione dell’articolo 39 co.414. Vale la pena osservare, incidentalmente, che la legge non faceva riferimento alla sola contrattazione collettiva nazionale. L’articolo 4 co. 2 della legge recitava: ”Nell’emanare le norme di cui all’art. 1 della presente legge il Governo dovrà uniformarsi anche ai contratti integrativi provinciali, cui abbiano fatto rinvio contratti collettivi nazionali od a quei contratti collettivi stipulati in sede provinciale da associazioni affiliate ad associazioni aventi carattere nazionale che non prevedano, nel caso di esistenza di norme nazionali, condizioni inferiori per i lavoratori.”. La Corte respinse le eccezioni di costituzionalità della legge unicamente in considerazione della sua transitorietà ed eccezionalità; si legge nella pronuncia: ”Senonché, la Corte non può ignorare che le forme e il procedimento previsti dalle norme costituzionali [articolo 39 co. 4, NdA] non sono ancora applicabili. La Corte non deve ricercare i motivi di questa inadempienza costituzionale, ma non può non prendere atto della carenza legislativa che ne deriva e delle conseguenze che essa provoca nel campo dei rapporti di lavoro. In questa situazione la legge impugnata assume il significato e compie la funzione di una legge transitoria, provvisoria ed eccezionale, rivolta a regolare una situazione passata e a tutelare l’interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro. In questo senso, e soltanto in questo senso, può ritenersi fondata l’osservazione che ricorre ripetutamente nelle difese svolte davanti alla Corte, che con la legge impugnata non si sia voluto dare attuazione al sistema previsto dall’art. 39 della Costituzione, del quale, anzi, si può aggiungere, si presuppone imminente l’attuazione.”. Preso atto della carenza legislativa nell’attuazione dell’articolo 39 e delle conseguenze negative per il mondo del lavoro, la Corte ritenne pertanto di “graziare” il Legislatore ma proprio nella medesima sentenza, richiamandosi ai medesimi caratteri della transitorietà e dell’eccezionalità che consentivano di dichiarare insussistente la pretesa violazione del precetto costituzionale, non esitò a dichiarare la incostituzionalità della legge 1027/1960 che disponeva la proroga della prima, finendo in tal modo col sostituire al sistema costituzionale un altro sistema arbitrariamente costruito dal legislatore e pertanto illegittimo. Così come non esitò a pronunciare successivamente la illegittimità dei decreti presidenziali emanati in attuazione della legge 1027/1960 e che recepivano contratti integrativi provinciali15.
E’ opportuno notare che il momento storico in cui la pronuncia della Corte si incardinava era caratterizzato da una quasi totale assenza della contrattazione decentrata: “A metà degli anni ’50 la “struttura contrattuale tradizionale … presenta in Italia un carattere fortemente centralizzato in quanto fa leva su una decina di accordi per settore (industria, commercio, agricoltura) e su un vasto numero di contratti di categoria, raramente integrati da accordi territoriali o aziendali, che comunque là dove esistono non hanno generalmente altra funzione all’infuori di quella di un mero regolamento di esecuzione”16 e solo agli inizi degli anni ’60 si adottano sperimentazioni di contrattazione localizzata17.
All’indomani della approvazione dell’articolo 8 del dl 138, numerosi commentatori si sono espressi sulla costituzionalità della norma motivandola con la circostanza che l’articolo 39 della Costituzione riguarderebbe solo la contrattazione nazionale18. Abbiamo veduto, però, che la norma censurata dalla Corte costituzionale nella sentenza 106 comprendeva anche la contrattazione integrativa provinciale e non esiste la controprova che, ove investiti della questione, i giudici di legittimità non si sarebbero pronunciati sulla illegittimità costituzionale della efficacia erga omnes della contrattazione aziendale ove adottata al di fuori dei limiti imposti dall’articolo 39 (ma nella sentenza del ’60 non potevano farlo semplicemente perché la contrattazione aziendale praticamente non esisteva). In ogni caso l’articolo 8 fa riferimento anche alla “contrattazione territoriale” e come abbiamo veduto tale parametro geografico, almeno al livello provinciale, non è servito a distogliere la scure della Corte.
A nostro sommesso avviso il rischio di una pronuncia di incostituzionalità dell’articolo 8, sotto il profilo della estensione erga omnes della efficacia delle specifiche intese (aziendali e territoriali) in aperta violazione dell’articolo 39 co. 4 della Costituzione, rimane assai concreto a meno che non se ne eccepisca (come per la legge Vigorelli) la eccezionalità e transitorietà ( ma nulla nella sua attuale formulazione autorizza a farlo), in attesa di una norma costituzionale che modifichi l’articolo 39. Se ne deduce che sarebbe opportuno, in sede di definitiva conversione, una modifica della norma in tal senso.
Ulteriore profilo di incostituzionalità può essere desunto dalla praticamente illimitata competenza funzionale assegnata alla contrattazione aziendale e territoriale. La Corte Costituzionale ha infatti affermato che, anche in caso di attuazione dell’art. 39 della Costituzione, la tutela dei diritti dei lavoratori resterebbe affidata alle norme di legge inderogabili che disciplinano la materia: “la Corte non ritiene fondata la tesi secondo la quale l’art. 39 contiene una riserva normativa o contrattuale, in favore dei sindacati, per il regolamento dei rapporti di lavoro. Una tesi siffatta, segnatamente se enunciata in termini così ampi, contrasterebbe con le norme contenute, ad esempio, negli articoli 3, 35 e 36 Cost., le quali, al fine di tutelare la dignità personale del lavoratore ed il lavoro in qualsiasi forma e da qualunque prestato e di garantire al lavoratore una retribuzione sufficiente ad assicurare una vita libera e dignitosa, non soltanto consentono, ma insieme impongono al legislatore di emanare norme che, direttamente o mediatamente, incidono nel campo dei rapporti di lavoro” (Corte Cost. 106/1960).
Infine, oltre ai rilievi evidenziati, , eccezioni sono state sollevate alla lettera attualmente contenuta nel comma 3 il quale recita “ Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.”. Al riguardo è stato fatto notare19 che “si tratta di norma sicuramente incostituzionale perché la Corte di cassazione con l’ordinanza 28 gennaio 2011 n° 2112 e ancor prima la Corte costituzionale con sentenza n° 311/2009 hanno sottolineato che l’art. 6 della Carta europea dei diritti dell’uomo vieta ai legislatori di fare leggi che incidano nei processi in corso il che sostanzialmente significa anche vietare leggi con efficacia retroattiva giacché ovviamente la retroattività significa incidenza sui processi esistenti. E poiché per l’art. 117 della Costituzione l’Italia deve applicare le convenzioni internazionali cui ha aderito l’incostituzionalità dell’intervento normativo “ad aziendam”, appare già per questo solo motivo evidente. “.
1 Il criterio di prossimità è stato recentemente oggetto di rinnovata attenzione da parte della giurisprudenza, particolarmente per quanto concerne gli aspetti relativi alla determinazione della giusta retribuzione. V. , ad esempio, S. Spinelli, “Lavoro” , vol 1
2 Sul punto v. nostro articolo pubblicato in The World Of Il Consulente n. 10, “La nuova contrattazione aziendale dopo l’Accordo interconfederale del 18 giugno”
3 T.Treu in “ Articolo 8, sempre peggio“, in www.manuelaghizzoni.it/?p=25146 : “Il riferimento dell’articolo 8 è invece del tutto indeterminato, per cui la rappresentatività ivi prevista può essere riferita ad ambiti territoriali variabili, anche molto circoscritti: provincia, comuni, oppure ambiti più ristretti, senza nessun ancoraggio a dimensioni e parametri significativi. Di qui la possibile rottura del sistema, che dovrebbe preoccupare tutti, non solo i sindacati, ma anche le associazioni imprenditoriali”
4 V. A. Pandolfo e M.Faioli , “Lavoro e produttività nell’economia globale. La contrattazione collettiva decentrata dopo la manovra di ferragosto 2011” in www.federalismi.it
5 A. Pandolfo e M.Faioli cit..
6 Nel sistema di relazioni industriali tedesco, ricordiamo, il Tarifvertragsgesetz del ‘49, disciplina contenuto, forma ed efficacia dei contratti collettivi. Più a valle tutta una serie di contratti (peraltro non previsti dal Tarifvertragsgesetz): Bund a livello federale, Bezirk – prevalente – a livello di distretto, contratti collettivi «mantello» (Manteltarifverträge), accordi salariali (Lohntarifverträge), contratti collettivi aziendali (Firmentarifverträge), accordi di riallineamento Est-Ovest si incaricano di modulare gli accordi in funzione dei singoli contesti produttivi e delle singole esigenze aziendali. La flessibilità a livello aziendale è comunque garantita dal cd. doppio canale di rappresentanza sindacale. Il consiglio aziendale, eletto tra i lavoratori dell’impresa, affianca il sindacato ( doppio canale) per la soluzione di particolari questioni ( soprattutto di carattere sociale) con appositi accordi di codeterminazione (Betriebsvereinbarung). Sono ammesse clausole di apertura (Öffnungsklauseln) ma sempre nel contesto di una chiara distinzione di ruoli ( effetto sbarramento o Sperrwirkung).
7 Un meccanismo simile era già previsto nelle Linee di riforma della struttura di contrattazione, siglate da Cgil, Cisl e Uil l’8 maggio 2008
8 Una soluzione ispirata e propugnata con successo da Massimo D’Antona
9 Sul punto v, le perplessità espresse in “Dialoghi sull’accordo del 28 giugno 2011” di Paolo Tomassetti e Maria Tuttobene, in www.Adapt .it
10 F,Carinci, “L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?” WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 125/2011
11 “La nuova contrattazione aziendale dopo l’Accordo interconfederale del 28 giugno”, cit.
12 P. Ichino , “L’articolo 8 della manovra servirà solo agli avvocati” in www.pietroichino.it. Secondo l’Autore: “Immaginiamo che un lavoratore licenziato chieda in giudizio l’applicazione dell’articolo 18, e che l’impresa si opponga, mostrando che il contratto aziendale ha previsto la disapplicazione dell’articolo 18. Il lavoratore potrà eccepire che il sindacato stipulante non era effettivamente rappresentativo, oppure che il contratto non ha prodotto aumento di occupazione, oppure che esso non è davvero finalizzato al miglioramento della qualità dei rapporti di lavoro, bensì al loro peggioramento. La probabilità che un giudice del lavoro accolga questa eccezione sarà sempre molto elevata.”. In questo senso anche C. Dell’Aringa in “I licenziamenti non saranno più facili”, Sole 24 ore 6 settembre 2011
13 Negli atti della terza sottocommissione, quella incaricata della elaborazione del testo, non vi è traccia di riferimenti a forme di contrattazione diversa da quella nazionale
14 “Al di là della intitolazione della legge e delle intenzioni che il legislatore si è attribuite, o che sono state attribuite al legislatore, vale la realtà delle norme contenute nella legge di delegazione e il modo col quale la delegazione è stata esercitata: l’una e l’altro non lasciano dubbi sul fatto che la legge abbia inteso di conferire e abbia in effetti conferito efficacia generale a contratti collettivi e ad accordi economici con forme e procedimento diversi da quelli previsti dall’art. 39 della Costituzione.” (sentenza Corte cost. 106/1962)
15Ad es. Sentenza Corte cost. 19/1976, Nella specie si trattava del contratto integrativo provinciale relativo ai dipendenti degli istituti di cura privati della provincia di Caserta, recepito con d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 538.
16 Gino Giugni, ”Esperienze corporative e post-corporative nei rapporti collettivi di lavoro in Italia”, Il Mulino, 1956
17 Ad esempio il protocollo d’intesa siglato il 5 luglio del 1962 fra le organizzazioni sindacali dell’industria di Stato e le Federazioni sindacali dei laboratori metalmeccanici nell’ambito delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di categoria. Il sistema contrattuale disegnato da questo protocollo è caratterizzato da un’articolazione fondata su rinvii dalle sedi negoziali superiori a quelle periferiche.
18 Ad ese. R. De Luca Tamajo in “E’ un’apertura, non va data una valenza ideologica”, Sole 24 Ore 6 settembre 2011
19 P.Alleva, “La “manovra”: sul lavoro è sovversiva e incostituzionale” in www.dirittisocialiecittadinanza.org
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