Indice
- I fatti
- I motivi di ricorso
- Le valutazioni della Corte di Cassazione
- La decisione della Corte di Cassazione
1. I fatti
La Corte di Appello di Firenze, riformando la sentenza del Tribunale di Lucca, aveva accertato la responsabilità dell’Ospedale locale per la morte di un paziente, in quanto aveva ritenuto che la stessa era dipesa dalla condotta colposa dei sanitari che lavoravano per la struttura sanitaria, e conseguentemente aveva condannato l’Ospedale al risarcimento dei danni subiti dal coniuge del paziente deceduto.
In particolare, i giudici di secondo grado avevano fondato la propria decisione sostenendo che, nonostante con riferimento alla fattispecie oggetto di causa fosse già intervenuta una sentenza penale che aveva accertato che il fatto non sussisteva, l’effetto preclusivo del giudicato penale all’interno del giudizio civile si verifica soltanto quando vi sia una coincidenza delle parti dei due giudizi e che comunque gli elementi della colpa e del nesso di causalità che costituiscono l’illecito civile vanno valutati in maniera diversa rispetto all’illecito penale (in particolare, per quanto riguarda il nesso di causalità, in sede civile la valutazione deve essere compiuta in applicazione della regola del “più probabile che non”).
In considerazione di ciò, secondo i giudici fiorentini, il giudice civile può utilizzare le prove che sono state raccolte nel giudizio penale, ma comunque arrivare ad una decisione diversa in ordine alla responsabilità dell’autore dell’illecito (anche se nel giudizio penale è stata esclusa una responsabilità nella causazione dell’evento).
Nel caso di specie, i giudici di appello avevano ritenuto che il Tribunale avesse errato nel rigettare la domanda risarcitoria del coniuge del paziente deceduto, in primo luogo, in quanto detto coniuge ben avrebbe potuto agire nei confronti della struttura sanitaria in sede civile proprio perché quest’ultima non era stata parte del procedimento penale. In secondo luogo, in quanto il giudice civile avrebbe dovuto compiere una valutazione giuridica diversa in ordine al nesso di causalità fra condotta e danno, diversa da quella compiuta dal giudice penale e dalle risultanze probatorie in atti era possibile ritenere sussistente una responsabilità dell’Ospedale in ragione della condotta posta in essere dai suoi sanitari.
La struttura sanitaria proponeva, quindi, ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Firenze.
2. I motivi di ricorso
Il ricorso proposto dall’Ospedale si fonda su due motivi, collegati fra di loro, che infatti sono stati trattati congiuntamente dalla Corte di Cassazione.
Secondo il primo motivo, la corte territoriale avrebbe errato nell’applicare la regola di cui all’art. 652 c.p.p. che disciplina gli effetti del giudicato penale all’interno del giudizio civile.
In particolare, secondo la ricorrente non sarebbe corretto ritenere che sia necessario che – non solo la parte civile (cioè il danneggiato), ma anche – il responsabile civile debba partecipare al giudizio penale affinché si possa verificare l’effetto estensivo nel giudizio civile dell’accertamento del fatto compiuto nel giudizio penale. La regola, invece, dovrebbe essere applicata nel senso che l’accertamento dell’insussistenza del fatto (compiuta in sede penale) dovrebbe produrre effetti nei confronti del danneggiato (parte civile nel processo penale) anche contro parti diverse dall’imputato assolto in sede penale e in particolare anche contro il responsabile civile che non ha partecipato al giudizio penale.
In secondo luogo, secondo la ricorrente la Corte di appello avrebbe errato nella decisione secondo cui il giudice civile può ricostruire i fatti accertati nel giudizio penale in modo da ritenere sussistente il nesso di causalità fra condotta ed evento utilizzando una diversa prospettiva di valutazione: quindi affermare la responsabilità civile per la condotta posta in essere anche in assenza di una responsabilità penale (tale possibilità, secondo i ricorrenti sarebbe ammissibile soltanto quando il giudizio penale si è concluso con una sentenza assolutoria per cui “il fatto non costituisce reato” e non invece con una sentenza assolutoria per cui “il fatto non sussiste”).
Con il secondo motivo di ricorso, invece, l’Ospedale ha sostenuto l’erroneità della decisione di seconde cure laddove questa ha non correttamente applicato la regola sulle obbligazioni solidali di cui all’art. 1306 c.c. secondo cui, nel caso in cui non ci sia coincidenza dei soggetti che hanno partecipato al giudizio penale con quelli del giudizio civile, il condebitore solidale può avvalersi della sentenza favorevole ottenuta da un altro condebitore e quindi opporla al creditore comune, a meno che detta sentenza non sia fondata su ragioni personali rispetto al condebitore che l’ha ottenuta e a meno che non sia già intervenuto un giudicato diretto (nei confronti del condebitore solidale che vuole utilizzare la sentenza resa a favore dell’altro condebitore) che sia per lui sfavorevole.
Secondo la ricorrente, infatti, nel caso di specie sarebbe applicabile proprio il citato art. 1306 c.c., in quanto sussisterebbe un vincolo solidale tra l’Ospedale e i suoi sanitari che hanno posto in essere la condotta “incriminata” in ragione della unicità della condotta da cui deriva sia la responsabilità dei sanitari che quella della struttura medesima. Pertanto, l’Ospedale potrebbe opporre al coniuge danneggiato il giudicato favorevole di assoluzione ottenuto dai sanitari dell’Ospedale nei confronti della stessa parte danneggiata e quindi di rigetto della domanda risarcitoria che la stessa aveva promosso nei loro confronti.
3. Le valutazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha preliminarmente riepilogato i principi che disciplinano gli effetti del giudicato penale all’interno del giudizio civile.
Secondo gli Ermellini, nel nostro sistema non sussiste una unità della giurisdizione e soprattutto il giudizio penale non prevale su quello civile: vi è invece una completa autonomia e separazione fra i due giudizi, salvo alcune regole che prevedono delle correlazioni fra i medesimi, come quella dell’art. 652 c.p.p. che prevede l’efficacia del giudicato penale di assoluzione all’interno del giudizio civile o amministrativo avente ad oggetto il danno derivante dalla condotta penalmente rilevante.
Si tratta, però, di una norma assolutamente eccezionale e pertanto non è possibile la sua applicazione analogica oltre i casi espressamente previsti dalla stessa norma; inoltre, tale eccezionalità, impone di limitare il più possibile il perimetro di applicazione della stessa, sempre tenuto conto dei limiti costituzionali del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio.
Pertanto, l’efficacia del giudicato penale all’interno del giudizio civile avente ad oggetto il risarcimento del danno dipendente dalla condotta penalmente rilevante può operare soltanto al verificarsi delle seguenti condizioni (indicate espressamente dalla citata norma):
(i) sia stata emessa una sentenza penale irrevocabile di assoluzione che ha accertato
a- che il fatto non sussiste oppure
b- che l’imputato non l’ha commesso oppure
c- che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima;
(ii) la sentenza sia stata pronunciata a seguito di dibattimento;
(iii) nel giudizio penale vi sia stata la partecipazione del danneggiato come parte civile oppure quest’ultimo sia stato messo in condizione di parteciparvi (e non vi ha partecipato).
Nel caso in cui venga accertato nel giudizio penale che il fatto non sussiste, il “fatto” deve essere inteso come il nucleo oggettivo del reato nella sua realtà fenomenica: in altri termini, ciò che viene accertato è la condotta posta in essere dall’imputato, l’evento che si è verificato e il nesso di causalità materiale tra detta condotta ed evento, nonché le circostanze di tempo, luogo e modi in cui si sono svolti.
In caso di applicazione della regola di cui all’art. 652 c.p.p., quindi, il giudice civile non può ricostruire in maniera diversa l’episodio, rispetto alla ricostruzione che è stata compiuta dal giudice penale: in altri termini, il giudice civile non può ritenere inesistenti fatti accertati dal giudice penale o viceversa ritenere esistenti fatti che il giudice penale ha escluso che si siano verificati. Invece, il giudice civile può accertare le altre modalità del fatto che non sono state considerate dal giudice penale e accertare l’elemento soggettivo del fatto. Inoltre, il giudice civile può compiere una diversa qualificazione dei fatti che sono stati accertati dal giudice penale, rispetto alla qualificazione fatta da quest’ultimo: in altri termini, il giudice civile può riesaminare i fatti accertati nel giudizio penale e valutarli in base al diverso titolo di responsabilità civile (rispetto al titolo della responsabilità penale).
Infine, i giudici di Cassazione hanno affermato che, secondo l’orientamento costante della stessa Corte, la sentenza penale di assoluzione può spiegare effetto di giudicato nel giudizio civile avente ad oggetto il risarcimento del danno, con riferimento all’accertamento compiuto in sede penale che il “fatto non sussiste”, soltanto se in sede civile la domanda di risarcimento sia stata proposta dalla vittima nei confronti dell’imputato oppure di un altro soggetto che abbia comunque partecipato al giudizio penale nella veste di responsabile civile.
Pertanto, ci deve essere una coincidenza soggettiva tra le parti del processo penale e quelle del processo civile avente ad oggetto il risarcimento del danno.
Sulla base di tali premesse, gli Ermellini hanno esaminato e valutato la portata del giudicato penale, di cui alla sentenza assolutoria ottenuta dai medici nel caso in esame, che l’Ospedale aveva invocato nel giudizio civile introdotto dallo stesso coniuge nei suoi confronti.
In particolare, il giudice penale aveva assolto i medici dell’Ospedale con la formula “perché il fatto non sussiste” dall’imputazione del reato di omicidio colposo. Secondo il tribunale penale, infatti, nonostante la condotta dei medici fosse stata censurabile, per aver omesso di applicare le terapie suggerite dalla migliore scienza ed esperienza per far fronte alla grave insufficienza respiratoria avuta dal paziente deceduto, si doveva escludere la sussistenza del nesso di causalità fra detta omissione e la morte del paziente. In base alle valutazioni espresse dai consulenti tecnici, non vi era la elevata probabilità scientifica, prossima alla certezza, che la morte del paziente sarebbe stata impedita se i medici imputati avessero tenuto la condotta omessa.
Ebbene, secondo i giudici supremi, si tratta di un accertamento circa la non sussistenza del nesso causale fra condotta dei sanitari ed evento morte del paziente. Pertanto, poiché nel caso di specie il coniuge danneggiato si era costituito parte civile nel giudizio penale contro i sanitari, tale giudicato esplica effetti extrapenali anche nel giudizio civile di danno nei confronti degli stessi imputati (cioè appunto dei sanitari medesimi).
Nel giudizio civile oggetto di esame, però, la parte danneggiata non ha agito con la richiesta danni nei confronti dei suddetti sanitari (assolti in sede penale), ma nei confronti dell’Ospedale dove detti sanitari lavoravano.
Pertanto, il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto il giudicato penale invocato dall’Ospedale nel giudizio civile nei confronti della parte danneggiata non può avere effetti, neanche riflessi, su parti diverse da quelle che hanno partecipato al giudizio penale: e – come detto – la struttura sanitaria non aveva partecipato al giudizio penale.
Il secondo motivo, invece, è fondato, in quanto l’effetto favorevole del giudicato penale opera a favore dell’Ospedale quale condebitrice solidale: dunque poiché vi è un rapporto obbligatorio solidale fra ospedale e medici che ivi lavoravano.
Gli ermellini motivano in maniera articolata, ma chiara la propria decisione.
La Corte di Appello di Firenze, nella sentenza impugnata, aveva ritenuto di poter valutare in sede civile il nesso di causalità fra condotta ed evento in maniera diversa rispetto alla valutazione compiuta dal giudice penale: in particolare, in quanto in sede civile si applica il criterio del “più probabile che non” per valutare la sussistenza di tale nesso. In ragione di ciò, la Corte territoriale aveva ritenuto sussistente il nesso di causalità e quindi responsabile la struttura sanitaria del decesso del paziente in ragione della condotta illecita posta in essere dai medici che lavoravano nell’Ospedale.
Si tratta, quindi, di una responsabilità per danni da malpractice medica dipendente da un errore compiuto dal personale medico di cui la struttura sanitaria si è avvalsa per eseguire la prestazione e non invece dipendente da errori organizzativi o comunque profili strutturali della struttura medesima.
In ragione di ciò, il titolo di responsabilità dell’Ospedale è quella per fatto proprio, derivante da comportamento illeciti dei propri ausiliari ai sensi dell’art. 1228 c.c.; mentre non si tratta di una responsabilità per fatto altrui.
Per poter ritenere sussistente tale tipo di responsabilità per la condotta dei propri ausiliari, ai sensi dell’art. 1228 c.c., è necessario che sia accertato un fatto colposo del personale medico di cui la struttura si è avvalsa.
Ebbene, secondo gli Ermellini, è pacifico che la suddetta tipologia di responsabilità della struttura sanitaria è autonoma rispetto alla responsabilità del medico ausiliario (di cui la struttura si è avvalsa per eseguire la prestazione), anche se entrambi detti soggetti rispondono in via solidale nei confronti del danneggiato. Tale responsabilità solidale dipende dal fatto che l’obbligo al risarcimento del danno del medico ausiliario e della struttura sanitaria nasce da un unico evento dannoso che però è imputabile ad entrambi detti soggetti. L’evento è imputabile al medico ausiliario in quanto ha posto in essere la condotta che ha causato l’evento; mentre è imputabile alla struttura sanitaria perché, ai sensi dell’art. 1228 c.c., la stessa risponde della condotta dolosa o colposa dell’ausiliario di cui la stessa si è avvalsa per eseguire la propria prestazione.
In altri termini, perché vi sia la solidarietà nel debito fra due (o più) soggetti, è necessario che il danno sia imputabile a tutti detti soggetti.
Secondo gli Ermellini, quindi, nel caso di specie, è irrilevante il fatto che non vi sia coincidenza tra le parti che hanno partecipato al giudizio penale rispetto a quelle che partecipano al giudizio civile, per escludere l’efficacia nel giudizio civile del giudicato penale di assoluzione dei medici ausiliari dell’ospedale in favore della struttura sanitaria.
Infatti, detta efficacia si verifica lo stesso in applicazione della regola prevista dall’art. 1306 c.c. sulla solidarietà passiva.
Come detto, tale disposizione normativa stabilisce che il giudicato intervenuto fra il credito e uno dei condebitori solidali non ha effetto contro gli altri condebitori, ma che questi ultimi invece possono opporre detto giudicato al creditore (a meno che la sentenza in questione non sia fondata su ragioni personali di uno dei condebitori).
La norma appena richiamata è applicabile soltanto se ricorrono due condizioni:
(i) il giudizio di cui si invoca l’efficacia nei confronti del creditore si sia svolto soltanto tra detto creditore ed uno dei condebitori. In tal caso, gli altri condebitori solidali, che non hanno partecipato a detto giudizio, possono opporre al creditore il giudicato favorevole al condebitore che ha partecipato al giudizio;
(ii) la sentenza pronunciata tra il creditore e uno dei condebitori solidali non sia fondata su ragioni personali di detto condebitore;
(iii) gli altri condebitori solidali abbiano tempestivamente sollevato l’eccezione di giudicato nei confronti del creditore (in quanto si tratta di eccezione in senso stretto, quindi non rilevabile d’ufficio).
Ebbene, nel caso di specie, risultano sussistenti tutte le suddette condizioni e quindi è applicabile il citato art. 1306 c.c.
In primo luogo, il fatto dannoso imputabile a tutti i condebitori (cioè alla struttura sanitaria e ai medici) è unico (cioè la condotta omissiva dei medici). Pertanto, tale condotta è l’elemento costitutivo non soltanto della fattispecie di responsabilità dei medici, ma anche della fattispecie di responsabilità della struttura sanitaria ex art. 1228 c.c..
In secondo luogo, gli Ermellini ritengono che, nel caso di specie, la sentenza assolutoria ottenuta dai medici dell’Ospedale non presenta delle ragioni personali dei medici medesimi, che possano impedire l’operatività della disciplina prevista dall’art. 1306 c.c. poc’anzi esaminata.
In terzo luogo, è pacifico che l’Ospedale non avesse partecipato al processo penale in cui il giudicato assolutorio si è formato.
Infine, l’Ospedale aveva eccepito l’opponibilità del giudicato assolutorio penale dei medici nei confronti dell’attrice sin dalla comparsa di costituzione in primo grado e aveva reiterato l’eccezione anche in sede di precisazione delle conclusioni e in tutto il grado di appello.
In considerazione di ciò, il giudicato penale che ha escluso che i medici abbiano compiuto un illecito colpevole (quindi ha escluso che la condotta omissiva dei medesimi fosse illecita) potrà essere opposto, al creditore danneggiato, dal condebitore solidale che non ha partecipato al relativo giudizio (cioè la struttura sanitaria) per escludere la propria responsabilità civile.
Non essendoci limiti in ordine alla tipologia di giudicato che può essere opposto, ai sensi dell’art. 1306 c.c., al creditore dal condebitore solidale, la struttura sanitaria può opporre al coniuge del paziente deceduto il giudicato assolutorio del giudice penale che ha escluso la responsabilità dei medici dell’Ospedale per aver accertato l’insussistenza del nesso di causalità materiale tra la condotta omissiva dei medici e l’evento morte del paziente.
4. La decisione della Corte di Cassazione
In ragione dell’accoglimento del ricorso, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Firenze impugnata, ritenendo che non fossero necessari ulteriori accertamenti di fatto (in quanto era palesemente fondata l’eccezione di giudicato favorevole ex art. 1306 c.c. sollevata dalla struttura sanitaria), ha deciso nel merito la causa.
In particolare, gli Ermellini hanno rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata dal coniuge del paziente deceduto nei confronti dell’Ospedale, in quanto il giudicato penale che aveva accertato l’insussistenza del nesso di causalità fra la condotta omissiva dei medici e l’evento morte del paziente fa stato anche tra le suddette parti del giudizio risarcitorio.
Tuttavia, in considerazione dell’esito altalenante dei giudizi di merito e della rilevanza delle questioni trattate, i giudici supremi hanno disposto la compensazione integrale delle spese processuali dell’intero giudizio.
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