È una questione di ambito di applicazione: il diritto europeo prevale, se adeguatamente dettagliato, sul diritto interno, imponendone la non applicazione, solo nell’ambito delle competenze proprie dell’Unione europea: e la circolazione interna agli Stati dei cittadini di quegli Stati non rientra tra le competenze dell’Unione europea. In assenza di una legge che imponga un obbligo generalizzato di vaccinazione, la normativa di cui al D.L. 105/2021 non troverebbe valida base legale: tuttavia giova segnalare come allo stato degli atti la non sicurezza delle conoscenze scientifiche non permetta di imporre un obbligo generalizzato. Ma il Green Pass non obbliga alla vaccinazione, essendo un documento identificativo ottenibile anche attraverso la semplice sottoposizione a tampone che risulti poi negativo o dimostrando l’avvenuta guarigione dal Covid. Neanche può ritenersi violata la riserva dio legge di cui all’art. 32 Cost. in base alla quale solo la legge può imporre trattamenti sanitari obbligatori. La sottoposizione a tampone non può essere considerata trattamento sanitario obbligatorio, facendosi riferimento per tale a procedure mediche più complesse.
Il GREEN PASS ha rilievo anche sotto il profilo degli artt. 3 e 16 Cost. Esso consente la libera circolazione delle persone in sicurezza rispettando il principio di uguaglianza.
Il D.L. 105/2021 è un atto avente valore di legge che costituisce una legittima limitazione alla libera circolazione dei cittadini per motivi di sanità pubblica. Il principio di uguaglianza non può dirsi violato in quanto esso postula di trattare situazioni uguali in maniera uguale e situazioni diverse in maniera diversa. Chiaro come la condizione di vaccinato è diversa da quella dei non vaccinati: I soggetti vaccinati non sono uguali ai non vaccinati, perché, se è vero che possono anch’essi positivizzarsi, ammalarsi di Covid-19 e contagiare gli altri, è altresì vero che, per loro, è meno probabile che ciò accada e, se anche dovesse accadere, comunque la malattia per loro produce conseguenze meno pericolose. Dunque, indirettamente, i vaccinati proteggono i non vaccinati (a) sia perché si ammalano di meno, (b) sia perché, se anche si ammalano, sono meno contagiosi, (c) sia perché, se anche si ammalano, hanno minore necessità di cure sanitarie, lasciando le risorse del Servizio sanitario nazionale libere di intervenire a tutela degli altri malati (di Covid-19 o altre patologie): per tutti questi motivi, dunque, il green pass consente ai vaccinati di partecipare in relativa sicurezza – e comunque mantenendo sempre attive tutte le precauzioni relative a mascherine, distanziamento fisico ecc. – ad alcune attività sociali dalle quali è, invece, meglio che siano esclusi i non vaccinati.
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Gli aspetti giuridici dei vaccini
La necessità di dare una risposta a una infezione sconosciuta ha portato a una contrazione dei tempi di sperimentazione precedenti alla messa in commercio che ha suscitato qualche interrogativo, per non parlare della logica impossibilità di conoscere possibili effetti negativi a lungo termine. Il presente lavoro intende fare chiarezza, per quanto possibile, sulle questioni più discusse in merito alla somministrazione dei vaccini, analizzando aspetti sanitari, medico – legali e professionali, anche in termini di responsabilità. Fabio M. DonelliSpecialista in Ortopedia e Traumatologia, Medicina Legale e delle Assicurazioni e in Medicina dello Sport. Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano nel Dipartimento di Scienze Biomediche e docente presso l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino. Già docente nella scuola di Medicina dello Sport dell’Università di Brescia, già professore a contratto in Traumatologia Forense presso l’Università degli Studi di Bologna e tutor in Ortopedia e Traumatologia nel corso di laurea in Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Siena. Responsabile della formazione per l’Associazione Italiana Traumatologia e Ortopedia Geriatrica. Promotore e coordinatore scientifico di corsi in ambito ortogeriatrico, ortopedico-traumatologico e medico-legale.Mario GabbrielliSpecialista in Medicina Legale. Già Professore Associato in Medicina Legale presso la Università di Roma La Sapienza. Professore ordinario di Medicina Legale presso la Università di Siena. Già direttore della UOC Medicina Legale nella Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Legale dell’Università di Siena, membro del Comitato Etico della Area Vasta Toscana Sud, Membro del Comitato Regionale Valutazione Sinistri della Regione Toscana, autore di 190 pubblicazioni.Con i contributi di: Maria Grazia Cusi, Matteo Benvenuti, Tommaso Candelori, Giulia Nucci, Anna Coluccia, Giacomo Gualtieri, Daniele Capano, Isabella Mercurio, Gianni Gori Savellini, Claudia Gandolfo.
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Rapporto tra diritto interno ed europeo
Una recente sentenza della Corte costituzionale, la 269/2017, introduce un’importante novità in tema di rapporto tra diritto interno ed europeo. Al lettore non specialistico va premesso un punto. Come deve comportarsi il giudice italiano innanzi ad un’incompatibilità tra le regole dei due ordinamenti? Se le norme europee, per la loro conformazione, hanno efficacia diretta – sono cioè sufficientemente precise da risolvere direttamente il caso concreto, senza l’intervento mediatore del legislatore – il giudice italiano è tenuto a non applicare la norma nazionale con esse contrastante, garantendo così il primato delle prime. Se, al contrario, tale diretta efficacia manca, il giudice deve sollevare la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, la quale valuterà se annullare la norma interna.
Un contrasto non fondato tra normativa interna e normativa comunitaria
Orbene, è opportuno anzitutto chiarire un primo aspetto: i green pass e le restrizioni disposte per i soggetti che ne sono sprovvisti sono due cose ben distinte, per quanto correlate.
Una delle tesi sostenute da coloro che lamentano l’illegittimità del green pass, infatti, si basa su una disposizione recentemente introdotta dal decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, che modifica il comma 8 dell’art. 9 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, al fine di precisare che «le disposizioni dei commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi ove compatibili con i regolamenti (UE) 2021/953 e 2021/954». Da qui la conclusione secondo cui il green pass sarebbe incompatibile con il regolamento (UE) 2021/953 e quindi illegittimo, tenuto conto del considerando n. 36 il quale recita nel seguente modo: «È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati».
La tesi sarebbe in sostanza questa: dal momento che il green pass si applica solo ove compatibile con il regolamento UE, e dal momento che detto regolamento prevede espressamente che non si possano fare discriminazioni nei confronti dei soggetti che hanno scelto di non vaccinarsi, ecco che il pass si rivelerebbe non obbligatorio o addirittura illegittimo.
Tuttavia, il sillogismo non regge. Anzitutto, per il semplice fatto che la disposizione normativa secondo cui «le disposizioni dei commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi ove compatibili con i regolamenti (UE) 2021/953 e 2021/954» si riferisce ai primi otto commi dell’art. 9 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52. Si riferisce cioè alle disposizioni normative che disciplinano le Certificazioni verdi (art. 9) e non già a quelle che prevedono restrizioni nei confronti di chi non ne sia in possesso (art. 9-bis). La distinzione è dirimente.
Pertanto, sono le norme che attualmente dispongono a quali soggetti possa essere conferito il green pass, nonché la durata della certificazione (9 mesi per i vaccinati, 6 mesi per i guariti e 48 ore per chi si è sottoposto a tampone) e l’equivalenza con le analoghe certificazioni rilasciante da Stati Ue o extra-Ue ad essere applicabili solo ove compatibili con le disposizioni contenute nel citato Regolamento (UE) 2021/953, che detta norme in tema di rilascio, verifica ed accettazione dei Certificati COVID-19 al fine di agevolare la libera circolazione da parte dei loro titolari, nonché nel coevo Regolamento (UE) 2021/954, che dispone l’applicazione delle norme sulle Certificazioni anche ai cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti o residenti nel territorio degli Stati membri. Non le norme in tema di restrizioni all’accesso a servizi o attività.
In secondo luogo, il sillogismo si rileva fallace ove sin consideri che il divieto di discriminazione, di cui al “considerando” n. 36, si riferisce agli spostamenti tra Paesi europei e non a quelli all’interno dei medesimi, in quanto l’obiettivo è tutelare la libera circolazione dei cittadini in ambito europeo e non già, come si potrebbe erroneamente pensare, all’interno dei territori dei singoli Stati.
Il testo del “considerando”, chiamato impropriamente in causa, richiama peraltro il solo certificato di vaccinazione – e non anche quelli di guarigione e di test – e precisa che questo «non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri». In sostanza, gli Stati membri non devono – rectius, non dovrebbero – fare in modo che il certificato di vaccinazione costituisca condizione per circolare tra gli Stati europei o per utilizzare i mezzi di trasporto transfrontalieri. Nulla a che vedere, come si può notare, con le restrizioni disposte dal recente decreto-legge.
A quanto detto si aggiunga inoltre che l’art. 11 del Regolamento (UE) 2021/953 precisa che resta «salva la competenza degli Stati membri di imporre restrizioni per motivi di salute pubblica» e prevede che, qualora gli Stati accettino le Certificazioni verdi, non debbano imporre ulteriori restrizioni alla libera circolazione, quali ulteriori test, quarantena o isolamento, che non siano necessarie e proporzionate al fine di tutelare la salute pubblica. Il che significa che, ove le condizioni peggiorassero, anche i cittadini europei dotati di certificazioni potrebbero essere soggetti ad ulteriori restrizioni.
Inoltre, il medesimo art. 11 prevede che, qualora uno Stato membro imponga ai titolari di Certificazioni verdi di sottoporsi a test, quarantena o isolamento dopo l’ingresso nel suo territorio, o qualora imponga altre restrizioni ai titolari delle certificazioni perché, per esempio, la situazione epidemiologica è peggiorata, lo Stato stesso debba informare la Commissione e gli altri Stati membri, se possibile 48 ore prima dell’introduzione di tali nuove restrizioni. Insomma, le restrizioni non soltanto non sono vietate, ma sono addirittura consentite.
In definitiva, chi sostiene che il green pass non sia obbligatorio o addirittura che sia illegittimo per contrasto con le norme Ue giunge a conclusioni inesatte.
Quanto al primo aspetto, sebbene il pass non sia effettivamente obbligatorio in senso assoluto, va evidenziato che esso è obbligatorio per accedere a musei, palestre, ristoranti al chiuso e via dicendo, salvo nel caso di soggetti esclusi, per ragioni mediche o di età, dalla campagna vaccinale.
Quanto al secondo, occorre osservare che la presunta illegittimità – delle restrizioni, più che del pass in quanto tale – viene dedotta da una disposizione che si riferisce alle modalità di concessione del pass e non alle restrizioni per chi ne è sprovvisto, nonché da una disposizione del regolamento (UE) 2021/953, contenuta in un “considerando”, che si riferisce agli spostamenti transnazionali e non a quelli interni al territorio di un singolo Stato. Con il che non si vuole asserire, come già detto, che le restrizioni disposte dal recente decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, siano senza ombra di dubbio conformi al quadro costituzionale, ma semplicemente che i profili di incostituzionalità di cui si parla insistentemente, e di cui si è parlato in questo articolo, non sono fondate.
Un considerando, non c’è una norma
Ricordiamo che il diritto comunitario prevale sui diritti nazionali, dunque una norma italiana in contrasto con una europea sarebbe destinata a soccombere. Perché allora questo non accade col divieto di discriminazione nei confronti dei non vaccinati?
Come già detto, il n.36 non è una norma ma un considerando e dunque non ha la possibilità di prevalere sulle norme nazionali. Ma, anche al di là di questo, il considerando n.36 è riferito a un documento europeo specifico, l’EU Digital COVID Certificate, che ha uno scopo ben delimitato. Come si legge all’articolo 1, il regolamento ha lo «scopo di agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione durante la pandemia di Covid-19» da parte dei titolari del green pass europeo e «contribuisce inoltre ad agevolare la revoca graduale delle restrizioni alla libera circolazione poste in essere dagli Stati membri».
Dunque se uno Stato decide di imporre un proprio green pass nazionale, eventualmente anche diverso da quello europeo, ad esempio per accedere ai ristoranti, ai cinema, ai luoghi di lavoro o alle scuole, il regolamento non c’entra. Ma anche per quanto riguarda i trasporti, che hanno invece a che fare con la libertà di circolazione, bisogna fare almeno due considerazioni. In primo luogo, la non discriminazione (circa la libertà di circolazione) di cui parla il considerando n.36 – ci ha confermato ancora Couronne – va intesa nel senso che anche un non vaccinato, ma che abbia un tampone negativo recente o un test recente che attesti l’avvenuta guarigione, ha diritto a ottenere il green pass europeo. Non nel senso che un non vaccinato senza green pass deve avere gli stessi diritti di chi ce l’ha. Il regolamento infatti consente la discriminazione di chi non ha il green pass europeo (quindi – al netto di chi non ha fatto ancora richiesta – di chi non è vaccinato, o non ha un tampone negativo o un certificato di guarigione recente). In secondo luogo, l’articolo 11 del regolamento prevede esplicitamente che gli Stati possano imporre restrizioni ulteriori alla libertà di circolazione «per motivi di salute pubblica».
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Bibliografia:
Volere La Luna, “Il Green Pass e la Costituzione”, 13/09/2021, Francesco Pallante
La Costituzione.info., “Tra Green Pass e norme UE non c’è contrasto”, 13/08/2021, Alessandro Gigliotti
Questione Giustizia, “Sul dovere comunitario e costituzionale di disapplicazione del decreto Green Pass”, 06/08/2021, Osservatorio per la legalità costituzionale
Ius in itinere, “Pass vaccinale o impasse giuridico?”, 11 maggio 2021, Mirella Circiello
Il sole 24 ore, “Ecco perché il Green Pass è costituzionale e può limitare alcune libertà. 17/07/2021, Carlo Melzi d’Eril, Giulio Enea Vigevani
Salvis Juribus, “Green Pass, tesi contrapposte”, 23/08/2021, Fausta La Torre
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