Assegno emesso in mancanza di autorizzazione del trattario

Ai fini della configurabilità dell’illecito amministrativo disciplinato dall’art. 1 della legge n. 386 del 1990 (emissione di assegno in difetto di autorizzazione da parte del trattario), come sostituito dall’art. 28 del d.lgs. n. 507 del 1999, grava sulla Prefettura l’onere di dimostrare che il traente fosse effettivamente a conoscenza della revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni.
Da ciò discende che, nell’ipotesi in cui la Prefettura non dovesse produrre nel relativo giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione la documentazione attestante l’avvenuta comunicazione al traente dell’intervenuta revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni, il relativo provvedimento sanzionatorio dovrà essere annullato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, con la recentissima sentenza n. 10676 del 20 aprile 2023.

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Indice

1. Introduzione

La revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni è una sanzione amministrativa accessoria la cui irrogazione può conseguire alla violazione da parte del traente del divieto di emettere assegni in difetto di provvista (contemplato dall’art. 2 della Legge 386/1990), ovvero del divieto di emettere assegni in difetto di autorizzazione da parte del trattario (contemplato dall’art. 1 della Legge 386/1990).
Orbene, l’emissione di un assegno in difetto di autorizzazione ad emetterli comporta che l’Istituto di Credito presso il quale viene portato all’incasso il titolo dovrà astenersi dall’effettuare alcun pagamento (con la conseguenza che l’assegno dovrà essere comunicato impagato), e la banca dovrà altresì procedere ad effettuare un’ulteriore segnalazione alla Centrale di Allarme Interbancaria (CAI).
L’iscrizione al CAI (archivio gestito dalla Banca d’Italia nel quale vengono raccolti e documentati gli utilizzi anomali di assegni bancari, come anche di assegni postali e carte di pagamento) è effettuata in conseguenza delle comunicazioni effettuate dagli enti che procedono alle relative segnalazioni, quali: Istituti di Credito, Uffici Postali, Intermediari Finanziari, Prefetture e l’autorità Giudiziaria.
Alla suddetta iscrizione consegue, in automatico, la revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni.
Tale disciplina è contenuta all’interno dell’art. 9 della medesima Legge 386/1990, che prevede che:
–       in caso di emissione di un assegno in mancanza di autorizzazione, l’iscrizione al CAI deve essere effettuata entro il ventesimo giorno dalla presentazione al pagamento del titolo;
–       in caso di emissione di un assegno in difetto di provvista, l’iscrizione al CAI deve essere effettuata decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione del titolo previsto dall’art. 8 della medesima Legge (che consente al traente di effettuare il pagamento dell’assegno, degli interessi, della penale e delle eventuali spese di protesto, per evitare di incorrere nella relativa sanzione amministrativa) senza che quest’ultimo abbia fornito la prova dell’avvenuto pagamento.
In tale ultima ipotesi, peraltro, l’iscrizione al CAI del nominativo del traente non potrà avere luogo se non prima che siano decorsi almeno dieci giorni dalla data di ricevimento della comunicazione di cui all’art. 9-bis, ovvero del c.d. “preavviso di revoca” (di cui si dirà di seguito).
L’iscrizione nell’archivio della Centrale di Allarme Interbancaria, come detto, determina la revoca di ogni autorizzazione ad emettere assegni, nonché l’obbligo di restituire quelli non ancora utilizzati. Peraltro, una nuova autorizzazione ad emettere assegni non potrà essere concessa se non dopo che sia decorso il termine di sei mesi dall’iscrizione del nominativo del traente nel suddetto archivio.
Una particolare disciplina è dettata poi dall’art. 9 bis della Legge 386/1990, che, con specifico riferimento all’ipotesi di revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni conseguente all’emissione di un assegno per difetto di provvista, prevede che, in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, di un assegno, l’Istituto di Credito trattario dovrà comunicare al traente che, scaduto il termine di sessanta giorni indicato nell’articolo 8 per effettuare il pagamento dell’assegno senza che abbia fornito prova dello stesso, il suo nominativo verrà iscritto nell’archivio della Centrale di Allarme Interbancaria, e che dalla medesima data gli verrà revocata ogni autorizzazione ad emettere assegni.
La predetta comunicazione prende il nome di “preavviso di revoca”, e deve essere effettuata dal trattario a mezzo telegramma o con raccomandata con avviso di ricevimento (o comunque con qualsiasi altro mezzo idoneo a garantire la certezza sia della data di spedizione che di quella di ricevimento) presso il domicilio eletto del traente, entro il termine di dieci giorni dalla data di presentazione al pagamento del titolo.
La ratio sottesa a tale previsione è evidentemente quella di consentire al traente che è incorso nel compimento dell’illecito amministrativo di cui sopra di conoscere l’intervenuta revoca da parte del trattario dell’autorizzazione ad emettere assegni, e ciò al fine di evitare che la contestazione dell’infrazione dell’emissione di un assegno in difetto di autorizzazione possa avvenire in mancanza di una reale ed effettiva consapevolezza da parte dello stesso.
Va da sé, invece, che, una volta comunicata al traente la revoca da parte del trattario dell’autorizzazione ad emettere assegni (attraverso il predetto “preavviso di revoca”), l’eventuale emissione di nuovi titoli avverrà con la consapevolezza di incorrere nella commissione del relativo illecito amministrativo e dunque di esporsi all’irrogazione delle relative sanzioni.

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2. Normativa di riferimento

Art. 1 Legge n. 386 del 15/12/1990 Chiunque emette un assegno bancario o postale senza l’autorizzazione del trattario è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire due milioni a lire dodici milioni.
Se l’importo dell’assegno è superiore a lire venti milioni o nel caso di reiterazione delle violazioni, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da lire quattro milioni a lire ventiquattro milioni.
Nei casi previsti dai commi 1 e 2 non è ammesso il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’articolo 16 della legge 24 no Art. 9 Legge n. 386 del 15/12/1990 In caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, di un assegno per mancanza di autorizzazione o di provvista, il trattario iscrive il nominativo del traente nell’archivio previsto dall’articolo 10- bis.
2. L’iscrizione è effettuata:
a) nel caso di mancanza di autorizzazione, entro il ventesimo giorno dalla presentazione al pagamento del titolo;
b) nel caso di difetto di provvista, quando è decorso il termine stabilito dall’articolo 8 senza che il traente abbia fornito la prova dell’avvenuto pagamento, salvo quanto previsto dall’articolo 9- bis, comma 3.
L’iscrizione nell’archivio determina la revoca di ogni autorizzazione ad emettere assegni. Una nuova autorizzazione non può essere data prima che sia trascorso il termine di sei mesi dall’iscrizione del nominativo nell’archivio.
La revoca comporta il divieto, della durata di sei mesi, per qualunque banca e ufficio postale di stipulare nuove convenzioni di assegno con il traente e di pagare gli assegni tratti dal medesimo dopo l’iscrizione nell’archivio, anche se emessi nei limiti della provvista”.
Art. 3 Legge n. 689 del 24/11/1981Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa”.
Art. 18 Legge n. 689 del 24/11/1981 Entro il termine di trenta giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire all’autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell’articolo 17 scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità.
L’autorità competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi, se ritiene fondato l’accertamento, determina, con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento, insieme con le spese, all’autore della violazione ed alle persone che vi sono obbligate solidalmente; altrimenti emette ordinanza motivata di archiviazione degli atti comunicandola integralmente all’organo che ha redatto il rapporto.
Con l’ordinanza-ingiunzione deve essere disposta la restituzione, previo pagamento delle spese di custodia, delle cose sequestrate, che non siano confiscate con lo stesso provvedimento. La restituzione delle cose sequestrate è altresì disposta con l’ordinanza di archiviazione, quando non ne sia obbligatoria la confisca.
Il pagamento è effettuato all’ufficio del registro o al diverso ufficio indicato nella ordinanza-ingiunzione, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione di detto provvedimento, eseguita nelle forme previste dall’articolo 14; del pagamento è data comunicazione, entro il trentesimo giorno, a cura dell’ufficio che lo ha ricevuto, all’autorità che ha emesso l’ordinanza.
Il termine per il pagamento è di sessanta giorni se l’interessato risiede all’estero.
La notificazione dell’ordinanza-ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio che adotta l’atto, secondo le modalità di cui alla legge 20 novembre 1982, n.890.
L’ordinanza-ingiunzione costituisce titolo esecutivo. Tuttavia l’ordinanza che dispone la confisca diventa esecutiva dopo il decorso del termine per proporre opposizione, o, nel caso in cui l’opposizione è proposta, con il passaggio in giudicato della sentenza con la quale si rigetta l’opposizione, o quando l’ordinanza con la quale viene dichiarata inammissibile l’opposizione o convalidato il provvedimento opposto diviene inoppugnabile o è dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la stessa”.
Art. 22 Legge n. 689 del 24/11/1981 Salvo quanto previsto dall’ articolo 133 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e da altre disposizioni di legge, contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la sola confisca gli interessati possono proporre opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. L’opposizione è regolata dall’ articolo 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”.

3. Revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni e relativo procedimento sanzionatorio

Effettuata l’iscrizione al CAI, l’Istituto di Credito provvede ad effettuare apposita segnalazione alla Prefettura, la quale, a sua volta, procede ad avviare il relativo procedimento sanzionatorio disciplinato dalla legge n. 689 del 1981.
Il suddetto procedimento amministrativo si apre con la notifica da parte della Prefettura di un verbale di accertamento di violazione amministrativa, con il quale viene contestata al traente la violazione dell’art. dall’art. 1 della legge n. 386 del 1990, ovvero l’emissione di un assegno bancario in difetto di autorizzazione da parte del trattario.
Con il medesimo provvedimento la Prefettura provvede altresì ad invitare l’autore dell’illecito contestato a pagare la sanzione amministrativa in misura ridotta (facoltà invero non ammessa con riferimento alla violazione in esame), informandolo che, in difetto, si procederà all’emissione di un’ordinanza ingiunzione, con conseguente applicazione di una sanzione in misura maggiore.
Avverso il verbale di contestazione dell’illecito amministrativo, ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 18 della legge 689/1981, l’interessato ha la facoltà di presentare scritti difensivi, che dovranno essere inviati alla medesima autorità che ha redatto il predetto verbale di accertamento (nel caso di specie alla Prefettura).
Il termine è di trenta giorni, e decorre dalla data della contestazione o della notificazione della violazione.
Attraverso gli scritti difensivi l’autore dell’illecito può esporre le argomentazioni che, secondo lui, escludono la possibilità di ritenere configurabile la commissione della violazione, ovvero esporre qualsiasi ulteriore argomentazione che possa indurre l’Autorità a concludere il procedimento sanzionatorio mediante un provvedimento di archiviazione.
Con i medesimi scritti, l’istante può altresì far pervenire all’autorità competente documenti a supporto delle proprie deduzioni difensive, e può anche chiedere di essere sentito personalmente.
In conseguenza di ciò, l’Autorità che ha emesso il verbale di accertamento dell’infrazione può procedere o con l’archiviazione del procedimento sanzionatorio, se ritiene fondate le doglianze e/o le eccezioni sollevate dall’autore dell’illecito attraverso gli scritti difensivi, ovvero, ai sensi di quanto previsto dal comma 2 del già citato art. 18 L. 689/1981, all’emissione di ordinanza motivata (c.d. ordinanza ingiunzione), con cui determina la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare (unitamente ad eventuali sanzioni accessorie), e ne ingiunge il pagamento insieme con le spese.
Avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Prefettura è possibile proporre opposizione entro il termine di trenta giorni dalla notificazione della stessa, mediante ricorso al Giudice di Pace del luogo in cui è stata commessa la violazione.
Il relativo procedimento si svolge secondo la disciplina del rito del lavoro, salvo quanto diversamente previsto dall’art. 6 del d.lgs. 150/2011 (che disciplina nello specifico il procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione).
Con il ricorso, in via preliminare, può essere chiesta anche la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, a condizione però che ricorrano gravi motivi.
Se il Giudice dovesse ritenere fondate le doglianze sollevate dal ricorrente, ovvero se dovesse ritenere che non vi sono prove sufficienti della responsabilità di quest’ultimo, con sentenza procederà ad accogliere l’opposizione, e dunque ad annullare l’ordinanza ingiunzione e le sanzioni (principale ed accessoria) con essa irrogate.

4. Il principio di diritto elaborato dalla Giurisprudenza

Tornando ad analizzare la specifica ipotesi di commissione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 1 della L. n. 386 del 1990, ovvero emissione di un assegno in difetto di autorizzazione da parte del trattario, costituisce ormai ius receptum nella Giurisprudenza di Legittimità il principio in forza del quale, ai fini della configurabilità del predetto illecito amministrativo, “incombe sulla Prefettura l’onere di fornire la prova che il traente fosse effettivamente a conoscenza della revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni, mediante la produzione dell’avviso di ricevimento della lettera raccomandata o del telegramma con cui è stata effettuata la relativa comunicazione, ovvero mediante altre prove, orali o documentali, o presunzioni semplici, dalle quali possa desumersi la consapevolezza del difetto di autorizzazione da parte del privato”.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Seconda, con la sentenza n. 10676 del 20 aprile 2023, richiamando un orientamento invero già risalente all’interno della medesima Corte, espresso dalla Sezione Quinta con la sentenza n. 23015 del 30 ottobre 2009.
Conseguentemente, ai fini della configurabilità dell’illecito amministrativo in esame (e dunque della legittimità del relativo provvedimento sanzionatorio) non è sufficiente che sia intervenuto un provvedimento di revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni, ma è altresì necessario che la revoca sia stata effettivamente comunicata al traente, che quindi deve essere stato messo nelle condizioni di venire a conoscenza della revoca della suddetta facoltà.
Ciò in linea con il principio sancito dall’art. 3 della Legge 689/1981, che prevede che, nelle violazioni per cui è applicabile una sanzione amministrativa, il trasgressore è responsabile della propria azione od omissione purché cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
La ratio sottesa al summenzionato principio di diritto, infatti, consiste nel garantire che l’autore dell’illecito possa essere chiamato a rispondere unicamente se, al momento dell’emissione del titolo, questi fosse stato effettivamente a conoscenza del fatto che gli era stata revocata l’autorizzazione ad emetterli.
A tal fine, è proprio l’avvenuta comunicazione della revoca che realizza la finalità di far conoscere al titolare del conto corrente l’intervenuto recesso da parte della Banca prima che questi proceda all’emissione di nuovi assegni.
Così facendo, per un verso, si garantisce che il traente sia messo nelle condizioni di avere effettiva conoscenza del provvedimento di revoca, e, per altro verso, in caso di emissione di assegni in data successiva alla ricezione della predetta comunicazione (preavviso di revoca) da parte del traente, si avrà la certezza che l’emissione degli assegni è avvenuta con la consapevolezza da parte dello stesso della sopravvenuta inesistenza dell’autorizzazione del trattario ad emetterli, e dunque di incorrere nella commissione dell’illecito amministrativo contemplato dall’art. 1 della Legge 386/1990.
Conseguentemente, alla luce di quanto sin qui esposto e di quanto chiarito dalla Giurisprudenza nella sopra richiamata sentenza, è per tali ragioni che si ritiene che, nel relativo giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione, gravi sulla Prefettura l’onere di dimostrare che il traente fosse effettivamente a conoscenza della revoca dell’autorizzazione da parte del trattario ad emettere assegni. Diversamente, infatti, non vi sarebbe prova in ordine alla sussistenza del requisito soggettivo prescritto dal summenzionato art. 3 della legge 689/1981 ai fini della configurabilità dell’illecito amministrativo in esame.

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