Per approfondire questo tema abbiamo organizzato il corso Percorso Sostenibilità ESG. Strumenti pratici per le professioni
Indice
- 1. Le criticità di oggi
- 2. Il futuro rischio ambientale
- 3. Il rischio ambientale nel presente
- 4. Crisi di impresa indotta da rischio ambientale e responsabilità
- 5. Il corretto comportamento di amministratori e sindaci. Assetti organizzativi e bilancio d’esercizio
- 6. Rischio ambientale e rischio da transizione ecologica
- 7. Volume consigliato per approfondire
- Percorso Sostenibilità ESG. Strumenti pratici per le professioni
1. Le criticità di oggi
Per quanto attiene alla pandemia Covid sono state dettate disposizioni che prevedono la sterilizzazione dell’apparato normativo volto a salvaguardare la continuità aziendale e il capitale sociale, in ragione della situazione emergenziale creata dal Covid e dai provvedimenti legati al fenomeno pandemico.
Nulla è previsto, a livello di disposizioni normative, per quanto attiene alla disciplina societaria, con riguardo al tema della guerra con l’ucraina, che viene trattato più su un piano politico che su un piano strettamente giuridico
Il tema della criticità climatica ha originato una pletora di atti e di iniziative, politiche è giuridiche, locali ed internazionali.
Sono stati sottoscritti accordi internazionali (l’ultimo è l’accordo di Parigi del 2015) sono state dettate disposizioni che, in una prospettiva di resilienza, incentivano ed incoraggiano la sostenibilità ambientale e la transizione ecologica.
Tuttavia non vi sono norme espresse di diritto societario che riconoscano una necessità attuale, di valutare, all’interno degli adeguati asseti organizzativi, il rischio climatico.
2. Il futuro rischio ambientale
La lettura delle pubblicazioni scientifiche disponibili trasmette comunque alcuni concetti.
In primo luogo il cambiamento climatico, secondo la letteratura scientifica prevalente, sarebbe riconducibile a comportamenti umani che possono essere o non essere tenuti.
In secondo luogo, il cambiamento climatico è già parzialmente intervenuto come fatto storico. Si sono già prodotti, cioè degli effetti non reversibili che sono destinati a mutare il clima ed il territorio nell’orizzonte temporale dei prossimi 30/100 anni. Questa circostanza non è più suscettibile di cambiamento. Ovvero qualunque cosa venga fatta da adesso in avanti non si riuscirà ad evitare che nei prossimi 30/100 anni si verifichino determinate circostanza (IPCC Sixth Assessment Report Climate Change 2021: The Physical Science Basis).
In terzo luogo, se non si sarà on grado di intervenire sulla emissione di gas ad effetto serra, i cambiamenti climatici sono destinati ad accelerare con conseguenze descritte come catastrofiche per intere popolazioni e paesi.
Questi assunti sono presi come dato di fatto dal presente lavoro.
Questi assunti sono tratti da documenti redatti dagli organismi interazionali deputati ad esprimere le riflessioni condivise dalla maggior parte dei paesi sulle considerazioni valutate come attendibili della comunità scientifica mondiale. Ciò detto si aprono due ordini di valutazione, rilevanti sotto il profilo del tema che ci interessa, ovvero degli adeguati assetti organizzativi.
La prima. I cambiamenti climatici non reversibili sono tali da determinare effetti di cui si deve necessariamente tenere conto oggi in un’ottica di prevenzione e di valutazione del rischio che è l’ottica in cui devono operare gli adeguati assetti organizzativi?
La seconda. Come deve essere valutata la possibilità che i comportamenti indotti dalle norme e dagli incentivi non riescano ad invertire la spirale che sta portando verso gli scenari “catastrofici”?
L’attenzione della politica e dell’economia sembra -giustamente- concentrata sul secondo ordine di valutazioni precisamente al fine di evitare che gli scenari catastrofici diventino attuali.
Il tema della sostenibilità, a livello sociale ed ambientale delle politiche economiche a livello macro e micro è una positiva e coinvolgente novità.
Si parla di tematiche e/o criteri ESG con riferimento a tre aree principali, precisamente Environmental (ambiente), Social (società) e Governance, in cui “Ogni pilastro fa riferimento a un insieme specifico di criteri come l’impegno ambientale, il rispetto dei valori aziendali e se un’azienda agisce con accuratezza e trasparenza o meno.
I criteri ESG assumono la forma di una sorta di punteggio di credito sociale in cui tutte e tre le categorie vengono utilizzate per illustrare la quantità di rischio di un’azienda per gli investitori. Il rating ESG viene solitamente calcolato in base ai dati e alle metriche relativi alle risorse immateriali di un’organizzazione. Di conseguenza, la decisione di investire non si basa esclusivamente sul rendimento economico di un’organizzazione, ma anche su valori quali il rispetto dell’ambiente e una governance efficace.
Di pari passo e nella stessa prospettiva si pongono le disposizioni sul bilancio di sostenibilità, ovvero sul documento che -sinteticamente- descrive l’impatto della attività -tra l’altro- sull’ambiente.
Nella piena condivisione di tale prospettiva, e dell’ottica di resilienza sottesa all’applicazione di tali criteri e dello sviluppo di tale pensiero positivo, non si può tuttavia trascurare la necessità di affrontare le conseguenze non reversibili del cambiamento climatico destinate a prodursi nel prossimo orizzonte temporale.
Neppure può essere passato sotto silenzio e non considerata la possibilità che gli incentivi e gli interventi per l’inversione del riscaldamento globale non siano sufficienti ad invertire il trend di riscaldamento globale, e dunque sul fatto che le conseguenze presentate come catastrofiche- del riscaldamento non si verifichino.
3. Il rischio ambientale nel presente
Che cosa occorre fare oggi? Che cosa devono fare oggi le società italiane rispetto al rischio climatico, a parte cercare di intervenire sulle emissioni di Gas ad effetto serra per intercettare benefici ed agevolazioni e per evitare prospettive catastrofiche?
La domanda può anche essere così posta. Il territorio italiano non è tutto sottoposto ad un rischio uniforme.
Vi sono zone che sono maggiormente sottoposte al rischio di mutamenti in ragione di eventi legati al cambiamento climatico.
Alcuni (banali) esempi.
Le coste, visto che il mutamento climatico produrrà un innalzamento del livello del mare.
Le stazioni sciistiche, nell’ipotesi di un innalzamento della temperatura.
In relazione a dette località, in cui vi è un rischio climatico differenziato (nel senso di maggiore) è necessario, da parte delle imprese che vi operano, una particolare cautela, una espressa considerazione del rischio climatico all’interno degli assetti organizzativi?
Banalizzando. L’impresa titolare di una concessione balneare cioè del diritto di utilizzare economicamente una spiaggia collocata a livello del mare, spiaggia che finirebbe sott’acqua -o che sarebbe soggetta a frequenti inondazioni- nell’ipotesi di innalzamento del livello del mare di 30/50 cm., è un soggetto che deve tenere conto di questo accadimento che la comunità scientifica da come certo?
Il titolare di un albergo collocato in una stazione sciistica in una zona dove, statisticamente , la quantità di neve caduta ogni anno è minore e tende criticamente a non essere sufficiente per far funzionare una stazione sciistica, deve mettere in conto da un punto di vista imprenditoriale, il rallentamento e la cessazione dell’attività in ragione del cambiamento climatico? Come tale peculiare valutazione impatta sugli assetti organizzativi? nel senso che gli assetti organizzativi debbono valutare specificamente il particolare rischio legato al cambiamento climatico di quella specifica attività di impresa ?
A cascata.
La banca che ha come cliente lo stabilimento balneare e/o l’albergo nella stazione sciistica a rischio, deve effettuare una specifica valutazione di detto rischio climatico cui soggiace l’attività di impresa per “pesarlo” rispetto alla concessione del credito e/o rispetto alle condizioni da applicare?
La risposta a queste domande sconta un dato ambiguo.
La presenza di situazioni di rischio climatico così gravi da cambiare la morfologia del territorio dovrebbe essere oggetto di provvedimenti normativi e/o amministrativi che affrontano il rischio climatico ed i relativi mutamenti del territorio. Non si conosce dell’esistenza di provvedimenti normativi volti ad anticipare gli effetti di cambiamenti climatici.
Questo silenzio “agnostico” del legislatore non aiuta la qualificazione dei comportamenti degli imprenditori in relazione al rischio climatico.
Provvedimenti in materia di obblighi societari da assumere come conseguenza del cambiamento climatico sono invece dettati nell’ambito dell’ordinamento bancario dalla BCE e della Banca d’Italia si riportano le indicazioni -definite come non vincolanti- dettate dalla BCE (Guida sui rischi climatici e ambientali: Aspettative di vigilanza in materia di gestione dei rischi e informativa, Novembre 2020):
“5. Gli enti dovrebbero affidare le competenze per la gestione dei rischi climatici e ambientali all’interno della struttura organizzativa applicando il modello basato sulle tre linee di difesa.
6. Ai fini della reportistica interna, i dati sui rischi aggregati segnalati dagli enti dovrebbero rifletterne le esposizioni ai rischi climatici e ambientali, in modo da consentire all’organo di amministrazione e ai comitati endoconsiliari pertinenti di assumere decisioni informate.
7. Ci si attende che gli enti integrino i rischi climatici e ambientali quali fattori determinanti per le categorie di rischio preesistenti all’interno dei sistemi di gestione dei rischi esistenti, ai fini della loro gestione e del loro monitoraggio su un orizzonte temporale sufficientemente lungo nonché in vista del regolare riesame dei relativi presidi. Gli enti dovrebbero individuare e quantificare tali rischi nel quadro del proprio processo complessivo finalizzato ad assicurare l’adeguatezza patrimoniale.
8. Nella gestione del rischio di credito, ci si attende che gli enti tengano conto dei rischi climatici e ambientali in tutte le fasi pertinenti del processo di concessione e che ne effettuino il monitoraggio all’interno dei propri portafogli.
9. Gli enti dovrebbero considerare il possibile impatto avverso di eventi climatici sulla continuità operativa, nonché la misura in cui la natura delle attività svolte possa accrescere i rischi reputazionali e/o di responsabilità legale.”
La valutazione del cambiamento climatico come fattore di rischio da spesare in sede di bilancio o come fattore di rischio attuale elemento che deve essere valutato a livello di assetti organizzativi rappresenta, dunque, una ipotesi da valutare.
Questa è, in proposito, la valutazione dell’Assirevi (Climate risk & financial reporting”, Assirevi):
“ad oggi, il framework contabile IAS/IFRS, comunemente adottato nel contesto nazionale per la preparazione dei bilanci d’esercizio delle società che si qualificano come enti di interesse pubblico, non fornisce elementi espliciti per la presentazione e la valutazione degli impatti derivanti dai rischi correlati al cambiamento climatico. Tuttavia, in determinate circostanze, potrebbe sussistere la necessità di fornire specifiche informazioni al riguardo, in applicazione dei principi contenuti nello stesso framework, anche al fine di rispondere ai numerosi richiami in tal senso effettuati negli ultimi anni da standard setters e authorities nazionali e internazionali. Particolarmente significativo a tale proposito, da ultimo, è quanto indicato dall’ESMA nelle sue “European common enforcement priorities for 2022 annual financial reports.”
In definitiva ci troviamo in un contesto in cui la adozione di misure preventive rispetto al rischio ambientale è suggerito, ma non imposto.
4. Crisi di impresa indotta da rischio ambientale e responsabilità
Partendo dal presupposto che, attualmente, la inclusione di tale rischio nelle valutazioni condotte in sede di bilancio rappresenta una eccezionalità e non ciò che attualmente viene fatto nella generalità dei bilanci, se ne deve desumere che tale comportamento non è ritenuto, allo stato cogente e vincolante. Volendo essere meno categorici diremo che tale comportamento non rientra allo stato tra quelli che la buona prassi ritiene vincolanti per le società.
Il punto è che, in un qualche modo, occorre porsi il problema rispetto alla valutazione di tale comportamento nel futuro, per capire se, nel futuro la circostanza che gli amministratori e i sindaci non abbiano valutato congruamente il rischi ambientale possa rappresentare una circostanza di cui sono accusati.
Occorre considerare che il rischio ambientale non colpirà necessariamente, in futuro la maggioranza delle imprese -scenario che solitamente genera una soluzione politica e non giudiziaria del problema-
E’ invece possibile che il rischio ambientale intervenga come fattore che genererà una crisi irreversibile di una minoranza delle imprese ed in tale scenario, viceversa il comportamento tenuto dalla maggioranza (ovvero non aver preso nella adeguata considerazione il rischio climatico) che generi conseguenze critiche per una minoranza delle imprese (quelle che entreranno in crisi come effetto del cambiamento climatico), sarà l’autorità giudiziaria a farsi carico del problema.
In tale contesto, la prevedibilità delle conseguenze dirompenti del cambiamento climatico, là dove colpiranno, sembrerà matematica alla luce della pletora di pubblicazioni e studi scientifici che già oggi evidenziano il problema.
In tale contesto – non attuale ma futuro – la circostanza di avere o non avere tenuto conto del rischio ambientale come strumento di valutazione del rischio di default sarà circostanza valutata nella sua correttezza alla luce dei (pochi) elementi giuridici sopra indicati e dei molti elementi scientifici che depongono nello stesso senso.
5. Il corretto comportamento di amministratori e sindaci. Assetti organizzativi e bilancio d’esercizio
La creazione di una organizzazione e di una struttura attorno alla figura dell’imprenditore vuole essere un modo per rendere più razionali e meno arbitrarie le decisioni dell’imprenditore. Evitando che l’arrivo della crisi e l’individuazione di soluzioni alla crisi seguano dinamiche più psicologiche che razionali.
Il fatto che il rischio di cui si deve tenere conto sia legato ad accadimenti futuri è un cambiamento di visuale notevole, da un punto di vista normativo, con riferimento al tema della responsabilità: la possibilità o la probabilità che accada domani qualcosa deve essere oggi oggetto di valutazione.
Rispetto al rischio climatico una ulteriore difficoltà che si pone rispetto all’imprenditore è costituita dal fatto che viene imposta la valutazione di un aspetto che fuoriesce dall’ambito dell’attività d’impresa
La platea degli imprenditori, non è omogenea, sotto il profilo soggettivo, perché in essa coesistono sia soggetti estremamente strutturati che operano in modo globalizzato secondo schemi organizzativi complessi, sia soggetti che, all’inverso, non sono attualmente neppure minimamente strutturati.
La pretesa che tutti detti soggetti siano in grado di prendere posizione e di fare valutazioni non solo sulla propria area di business, ma anche su eventi esterni, è prospettiva per alcuni imprenditori radicalmente nuova e molto impegnativa, imponendo un ragionamento di attualizzazione del rischio futuro quanto agli effetti sulle decisioni attuali, da parte dell’imprenditore, che non è adottata neppure dal legislatore. Che ad oggi non ha preso in esame pianificazione del territorio legata ai mutamenti causati del cambiamento climatico.
Ciò nonostante una evoluzione dell’assetto organizzativo nel senso indicato ovvero nel senso di prendere in considerazioni rischi legati ad una serie di criticità e di cambiamenti che si stanno rivelando epocali e propri di questo momento storico sembra inevitabile.
Sotto tale ultimo aspetto prendiamo atto del fatto che, almeno a livello di società di capitali, le iniziative assunte da ciascuna impresa al fine di dimostrare di aver adottato degli assetti organizzativi adeguati rimangono iniziative di cui non è prevista una idonea pubblicità né un adeguato trattamento in sede di bilancio.
Non si prevede infatti espressamente che nel bilancio di esercizio si dia conto di quanto fatto per rendere gli assetti organizzativi adeguati al rischio ambientale, per illustrare quali rischi sono stati presi in considerazione e sono stati fronteggiati.
Oltretutto nell’attuale contesto normativo, se ad esempio una determinata impresa ritenesse di fare accantonamenti in relazione ad un rischio ambientale cui si trova esposta, non avrebbe certezza alcuna che detto accantonamento non verrebbe contestato come una forma surrettizia per deprimere il risultato d’esercizio.
Per non parlare dell’aspetto fiscale legato al tema della tassazione di detto accantonamento, che in realtà, se correlato a un forte rischio ambientare, potrebbe essere essenziale per la stessa sopravvivenza dell’impresa.
6. Rischio ambientale e rischio da transizione ecologica
Tale atteggiamento “agnostico” del legislatore, semmai interviene come fattore di rischio imprenditoriale aggiuntivo
Il legislatore è intervenuto sul tema ambientale in modo da incentivare la transizione ecologica.
Uno di questi incentivi vuole che la transizione ecologica che ha ad oggetto auto o motoveicoli preveda, che dal 2035 non sia più possibile mettere in vendita auto a combustibile fossile.
Ora questo significa che tutta la filiera produttiva dell’automotive legata al sistema di combustione degli auto/moto veicoli entro il 2035 dovrà essere o riconvertita o dovrà cessare la produzione.
Il questo caso l’orizzonte del cambiamento indotto dal mutamento climatico è ancora più breve: 12 anni.
Sotto questo profilo, le società della filiera produttiva saranno investite da un cambiamento che coinvolgerà anche gli adeguati assetti organizzativi.
Il dispendio di energia e di denaro per strutturare la società in modo che sia in grado di valutare ed adottare il “piano b” rispetto alla cessazione non sembra un tema che possa essere risolto internamente dalla singola società: l’intervento della politica sarà fondamentale.
Ma certo, sotto un profilo di responsabilità ed informativo tale circostanza già oggi non può non creare effetti e conseguenze. Né sotto il profilo della valutazione del rischio da parte dell’impresa e del suo assetto organizzativo.
Né sotto il profilo della informazione che deve essere resa a bilancio in merito alla valutazione di tale rischio. Né sotto il profilo della valutazione del rischio intrinseco alla attività di impesa che dovrà essere pesato da terzi in particolare eventuali investitori e finanziatori.
7. Volume consigliato per approfondire
La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) dopo il d.lgs. 104/2017
La nuova disciplina della Valutazione di Impatto Ambientale – VIA – è stata profondamente rinnovata a seguito della pubblicazione del d.lgs. 16 giugno 2017, n. 104. La norma non solo ha prodotto sostanziali modifiche alla struttura della VIA, ma ne ha anche stravolto le procedure. I numerosi cambiamenti (campo di applicazione, elaborati tecnici da produrre, raccordo con l’AIA e le altre procedure autorizzatorie ambientali) hanno offerto lo spunto per realizzare questo manuale che offre all’operatore un essenziale vademecum di riferimento e consente una lettura agevole e chiara della nuova disciplina. Oltre a evidenziare i cambiamenti procedurali della Valutazione di Impatto Ambientale, quest’opera chiarisce gli adempimenti cui sono tenuti i soggetti proponenti, nonché l’articolazione temporale delle diverse fasi.Di pregevole fattura anche l’ampia rassegna di giurisprudenza (nazionale e comunitaria) che offre al lettore un “ventaglio” di principi di diritto utilissimi per orientarsi di fronte alle criticità e alle insidie interpretative insite in una materia così complessa. Il manuale si arricchisce di una completa raccolta di modulistica di supporto (scaricabile online) per l’elaborazione delle istanze di avvio delle procedure ed è corredato da numerose tavole sinottiche e schemi riassuntivi che agevolano l’attività degli operatori.Alfredo Scialò, Avvocato e consulente legale nel campo delle opere pubbliche, specializzato in diritto dell’ambiente con particolare riferimento alle procedure autorizzatorie ambientali e alle discipline settoriali (scarichi idrici, emissioni in atmosfera, bonifiche, rifiuti, terre e rocce da scavo, ecc.) da applicare nella realizzazione ed esercizio di infrastrutture, impianti ed attività potenzialmente inquinanti. In tali ambiti, assiste imprese e stazioni appaltanti, sia in fase stragiudiziale che giudiziale; è docente in corsi di formazione nonchè autore di pubblicazioni nelle riviste specializzate di settore (www.studiolegalescialo.it).
Alfredo Scialò | Maggioli Editore 2017
24.00 €
Percorso Sostenibilità ESG. Strumenti pratici per le professioni
Per approfondire questo tema abbiamo organizzato il corso Percorso Sostenibilità ESG. Strumenti pratici per le professioni.
Il percorso formativo si propone come un percorso formativo altamente operativo e specializzato per i professionisti e figure manageriali che devono affrontare la sfida della sostenibilità e della rendicontazione ESG all’interno di aziende, studi legali, organizzazioni pubbliche e private. Attraverso 15 ore di formazione suddivise in 4 incontri, i partecipanti acquisiranno competenze specifiche e strumenti pratici per applicare le normative, integrare i criteri ESG nei processi aziendali e investire nella sostenibilità come vantaggio competitivo per creare valore a lungo termine.
Il ciclo di webinar si distingue per il taglio operativo e per l’uso di un approccio concreto che i partecipanti potranno trasferire nei propri contesti professionali, con riferimento agli aspetti della rendicontazione, ai profili di interesse propri delle professioni legali, tecnico-ingegneristiche e del management delle imprese pubbliche e private. I temi trattati spaziano dalla rendicontazione ESG ai nuovi obblighi normativi, dalle opportunità strategiche alle tecnologie che favoriscono l’implementazione della sostenibilità, consentendo ad ogni professionista di approfondire e ampliare le competenze anche in un’ottica interdisciplinare.
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