Nel tempo si è assistito ad un consolidamento dei principi e delle condizioni che, ad avviso della giurisprudenza, devono sussistere perché si possa consentire ad un ente giuridico di impugnare a giusto titolo un atto dell’autorità amministrativa (impugnazione di atto amministrativo) suscettibile di ledere gli interessi ambientali; in altri termini, sono state enucleate le condizioni perché si consenta di agire in giudizio per la tutela della dimensione collettiva del bene ambiente, andando dunque oltre la tutela dell’interesse del singolo che si ritiene leso dall’azione delle amministrazioni.
La recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, del 16 maggio 2018, n. 2910 offre l’occasione per fare il punto di quanto nel tempo i giudici amministrativi hanno affermato al riguardo.
I limiti e le condizioni per l’impugnazione secondo la giurisprudenza amministrativa
Nella fattispecie, una s.r.l. presentava alla regione istanza di autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003, ed istanza di valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell’art. 23, d.lgs. n. 152/2006, per “impianto eolico composto da 10 aerogeneratori della potenza di 3 MW ciascuno per complessivi 30 MW” ed opere elettriche connesse.
A seguito di parere complessivamente negativo emesso dalla regione, la società presentava ricorso al T.A.R. per l’annullamento, previa sospensiva, del provvedimento dirigenziale nella parte in cui esprimeva giudizi negativi di compatibilità ambientale per quattro aerogeneratori, nonché quattro giudizi positivi, ma “subordinati” ad accertamenti demandati all’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione unica.
A seguito dell’accoglimento dell’istanza cautelare da parte del T.A.R., la regione convocava la conferenza dei servizi che veniva chiusa “con prevalenza di pareri positivi”, tra i quali anche quelli favorevoli di VIA e VINCA (valutazione di incidenza ambientale); successivamente l’associazione WWF operante nel territorio impugnava al T.A.R. il decreto regionale VIA, vedendosi riconosciuta dal tribunale la legittimazione attiva.
A seguito di appello al Consiglio di Stato da parte della regione, la questione è stata affrontata e risolta dai giudici di Palazzo Spada, per quello che qui interessa, nei termini che seguono.
L’ente regionale, in particolare, censura la legittimazione ad agire dell’associazione WWF a causa dell’assenza del requisito di un’adeguata stabilità e rappresentatività di quest’ultima sul territorio. Trattasi, come si vedrà, di uno dei requisiti che la giurisprudenza richiede perché si possa configurare la possibilità per un ente giuridico di ricorrere in giudizio avverso provvedimenti amministrativi ritenuti lesivi di un interesse collettivo alla salvaguardia del bene ambiente. L’operazione ermeneutica da parte dei giudici sul punto ha così consentito di superare la dimensione strettamente individuale della garanzia di un’azione amministrativa corretta e conforme ai principi nazionali ed europei in campo ambientale nell’emanazione di provvedimenti autorizzatori.
Ma quali sono le condizioni che devono sussistere affinché anche un ente giuridico possa perseguire in giudizio la tutela del bene ambiente?
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