Motivi del ricorso in Cassazione
Tra le varie censure portate avanti alla Cassazione – avverso la propria condanna in secondo grado – il legale lamentava l’errata interpretazione del termine “generalità” della persona offesa e del verbo “divulgare”, per aver egli unicamente indicato un nome comune di persona (della minorenne vittima dell’abuso), disgiunto dal cognome, che ben avrebbe potuto riferirsi ad un numero indeterminato di soggetti. Deduceva altresì di aver divulgato un fatto in realtà mai verificatosi, atteso che l’imputata sua assistita era stata assolta dalla Corte d’Appello, perché il fatto non sussiste. Lamentava infine come i giudici di merito avessero omesso di considerare la condotta degli stessi genitori della minore, che avevano parlato in pubblico (in tv, alla radio, nella stampa) dei fatti costituenti reato, fornendo essi stessi i particolari più specifici circa l’identità della figlia (cognome, residenza, nome e luogo dell’asilo).
Enunciare il solo nome di battesimo non rende pubbliche le “generalità”
Le presenti censure sono accolte dalla Corte Suprema. I Giudici territoriali, in particolare, avevano concluso che la sola enunciazione del nome di battesimo della bambina da parte del legale imputato (di per sé non idonea ad integrare il reato contestato), ben avrebbe potuto, in tal caso, portate alla identificazione della vittima, rendendo possibile l’immediata associazione del nome con il cognome della stessa, già precedentemente divulgato dai genitori.
Un ragionamento logico viziato, secondo gli Ermellini. Infatti, se nessuna divulgazione delle generalità era stata rinvenuta nella condotta del padre della vittima – che aveva diffuso via radio su scala nazionale ben altre e più specifiche informazioni sulla propria figlia – non si comprende come, a maggior ragione, la sola enunciazione del nome di battesimo sia stata ritenuta idonea a rendere pubbliche le generalità della bambina. Sulla scorta di detta argomentazione la Cassazione, non rinvenendo ulteriori prove circa la sussistenza del reato ascritto, annulla la pronuncia impugnata ed assolve l’avvocato.
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