La Cassazione non ha condiviso le argomentazioni dei Giudici dell’appello – che avevano invece condannato l’imprenditore a sei mesi di reclusione – per i quali quest’ultimo, emettendo fatture nei confronti dei clienti, avrebbe così continuato ad aggravare l’ingente debito tributario. Non è dato comprendere, tuttavia, come la doverosa emissione di fatture per prestazioni veramente effettuate, e per il relativo importo, possa essere letta in questa ottica. Secondo la Corte d’Appello, pertanto – erroneamente – la situazione di illiquidità sarebbe stata provocata da una precisa scelta imprenditoriale. Né la medesima Corte pare aver preso in esame i numerosi interventi che l’imprenditore avrebbe adottato per fronteggiare la crisi verificatasi, mediante azioni ed ingiunzioni a carico dei debitori, così come l’impiego del proprio patrimonio personale. Trattasi invero – chiariscono i Giudici Supremi – di un accertamento assai rilevante nella verifica dell’elemento soggettivo del reato in questione.
Assolto l’imprenditore che prova l’assoluta impossibilità di pagare le imposte
Non imputabilità della crisi ed impossibilità di fronteggiarla
Per costante e consolidato indirizzo ermeneutico, infatti, l’imputato, come nella specie, può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere al proprio debito di imposta – quale clausola di esclusione della responsabilità penale – a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti: a) il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda: b) l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi nel caso concreto.
Occorre in altri termini la prova che non sia stato possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo egli posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una crisi di liquidità, le somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause del tutto indipendenti alla sua volontà. Tutte azioni – conclude la Cassazione – che l’imprenditore ricorrente, mediante idonee allegazioni, aveva sottoposto ai Giudici di merito, ma che questi avevano omesso di considerare. La sentenza di condanna va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello.
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