Regressione a indagini dopo assoluzione: abnormità

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Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce il divieto del doppio processo (ne bis in idem) e della regressione alle indagini dopo l’assoluzione
Per approfondire si consiglia: Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia

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Corte di Cassazione – Sez. II Pen. – Sentenza n. 35630 del 25 agosto 2023

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Il fatto

La sentenza della Suprema Corte è scaturita dal ricorso del ricorso del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Padova avverso la sentenza emessa dal medesimo Tribunale con la quale si assolveva l’imputato dal reato di appropriazione indebita e si disponeva la trasmissione degli atti all’ufficio della Procura per procedere nei suoi confronti per il reato di furto.
Al che il Pubblico Ministero ha ritenuto che vi fosse una violazione della legge processuale riguardante il divieto di ne bis in idem, in quanto tale regressione del processo creerebbe un inevitabile conflitto con la sentenza di assoluzione.
Nello specifico, con il primo motivo lamentava l’erronea applicazione della legge penale (art. 606 primo comma lett. b. cod. proc. pen.): le risultanze dibattimentali confermano la qualificazione giuridica del fatto dell’imputazione, smentendo la diversa interpretazione dei fatti operata dal giudice.
Con il secondo motivo lamentava, appunto, l’abnormità dell’atto in quanto l’assoluzione congiunta alla trasmissione degli atti si configurano come atti abnormi perché contraddittori e destinati a produrre, con il passaggio in giudicato della sentenza, la preclusione processuale del ne bis in idem.

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Il principio del “ne bis in idem”

Il principio del ne bis in idem

Questo principio è uno dei pilastri del nostro ordinamento, in quanto si vuole evitare che un soggetto venga giudicato più volte per gli stessi fatti quando questi sono stati già definiti, sostanzialmente con sentenza passata in giudicato, ma non solo.
È previsto dall’art. 649 c.p.p. il quale dispone che “l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345.
Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato un procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo enuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo
“.
Le eccezioni riguardano: l’erronea dichiarazione di morte dell’imputato, il sopravvenire di una condizione di procedibilità, quando la sua mancanza aveva determinato l’archiviazione, la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e il venire meno dell’incapacità dell’imputato a partecipare al procedimento o si accerta che tale stato venne erroneamente dichiarato.

La pronuncia della Cassazione

Basandosi su tale disposto, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la fondatezza del ricorso sottolineando che la riqualificazione della fattispecie di reato rientri nelle prerogative del giudice di merito e che non fosse necessario far regredire il processo per questo.
Quanto detto è confermato dall’art. 521 c.p.p. il quale dispone che “nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica“.
E, secondo la Corte, “è proprio la contestazione dell’imputazione il parametro che deve essere considerato dal giudice ai fini dell’applicazione dell’art. 521 cod. proc. pen. poiché, al di là di indicatori formalistici, il profilo di maggior rilievo cui la norma è finalizzata è la tutela del diritto di difesa dell’imputato, che non può essere compressa da una operazione di riqualificazione che ignorasse la diversità strutturale del fatto in contestazione”.
Quindi, conclude la Corte, “la decisione del giudice di assolvere l’imputato ed al tempo stesso di disporre la regressione del processo alla fase delle indagini costituisce atto abnorme poiché ‘spezza il processo in due’, facendone regredire una parte ad una fase anteriore inducendo così il pubblico ministero alla adozione di un provvedimento (la nuova imputazione) destinato a confliggere, in virtù del divieto di doppio processo, con la sentenza di assoluzione, una volta passata in giudicato
“.

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Riccardo Polito

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