Il Ministero della Salute è decaduto dalla possibilità di far valere la prescrizione, non avendola tempestivamente eccepita nella causa civile per risarcimento danni da emotrasfusione da sangue infetto; non può, quindi, porre il decorso del termine alla base del diniego di transazione.
Ciò posto, non riveste questione rilevante, da porre all’attenzione della Plenaria, quella relativa alla retroattività del termine decadenziale (cinque anni) per proporre la suddetta transazione in dipendenza della domanda di indennizzo da emotrasfusione infetta, che non costituisce questione rilevante ai fini della soluzione della controversia.
Peraltro, il quesito con cui il rimettente ha dubitato della legittimità del dm, introdotto nel 2012, che introduce un termine decadenziale per proporre la transazione, che, se applicato ai fatti pregressi, quando cioè l’interessato non poteva prevedere che sarebbe stato introdotto, sarebbe lesivo del suo affidamento, non può essere esaminato dalla Plenaria, perché motivo assorbito in primo grado e non riproposto in appello, perciò rinunciato.
Non essendo stati messi in dubbio neppure gli approdi di cui alla Plenaria 16/2021, il Plenum del Consiglio di Stato rimette la questione alla Sezione remittente, per un rinnovato esame della stessa.
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1. La vicenda
Un soggetto affetto da “thalassemia major”, avendo contratto l’epatite C a causa di emotrasfusioni, presentava nel 1996 domanda di indennizzo, ai sensi della l. 210/1992, la quale prevede una misura di compensazione economica in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile, a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.
Nel 2007, proponeva intervento adesivo nel corso di un processo civile pendente innanzi al Tribunale di Roma, promosso da altri per ottenere la condanna del Ministero della Salute al risarcimento del danno da inadeguata vigilanza dell’Amministrazione sulla qualità del sangue destinato alle trasfusioni.
Con sentenza del 2014, il Tribunale di Roma riconosceva la responsabilità del Ministero per i contagi, accertando il diritto degli attori e degli intervenienti al risarcimento, da quantificare in separato giudizio.
Il giudizio di appello avverso tale sentenza è ancora pendente.
In pendenza del processo innanzi al Tribunale di Roma, l’interveniente aveva manifestato al Ministero il proprio interesse alla transazione ex artt. 33 l. 222/2007 e 2, commi 361-365, l. 244/2007.
Il Tar Lazio, con sentenza del 2012, stante l’inerzia del Ministero, gli ordinava di pronunciarsi, con provvedimento espresso, sulle domande di adesione alla transazione entro 90 giorni.
Nel maggio 2020, il Ministero della Salute, previo avviso di rigetto e di ricezione delle controdeduzioni del danneggiato, comunicava all’appellato che la sua domanda di adesione alla transazione non poteva essere accolta per prescrizione del diritto, essendo trascorso il termine di cui all’art. 5, lettera a), del decreto ministeriale n. 61889 del 2012, di cinque anni, decorrente dalla data di richiesta dell’indennizzo, ai sensi della legge n. 210 del 1992.
Con ricorso di primo grado, l’interessato poneva a fondamento della sua domanda di annullamento, i seguenti motivi:
i) il Ministero della Salute sarebbe decaduto dalla possibilità di far valere la prescrizione, non avendola tempestivamente eccepita nella causa civile (in particolare, per non aver formulato l’eccezione nel primo atto difensivo successivo all’intervento), e quindi non avrebbe potuto porre il decorso del termine alla base del diniego di transazione;
ii) in subordine, l’art. 5, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale n. 61889 del 2012 si sarebbe dovuto disapplicare, in quanto contrastante con la normativa di rango primario, che disciplina la prescrizione e, in particolare, con l’art. 2938 c.c. (per il quale la prescrizione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice) e con l’art. 167 c.p.c. (che impone al convenuto la tempestiva formulazione dell’eccezione non rilevabile d’ufficio, sotto pena di decadenza).
Il Tar ha accolto il ricorso, ordinando all’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza del ricorrente.
Sebbene il procedimento sul risarcimento e quello relativo alla transazione rientrino nell’ambito di giurisdizioni diverse, sussiste tra gli stessi un collegamento: l’accesso alla transazione è condizionata alla pendenza del giudizio risarcitorio e presuppone che non sia stata emessa una sentenza, che ha dichiarato la prescrizione del diritto.
L’Amministrazione non può liberamente decidere se avvalersi di tale strumento, essendo tenuta a verificare, caso per caso, se sussistono i presupposti previsti dalla legge per farvi ricorso, potendo esimersi dal ricorrervi solo quando sussista una preclusione normativa.
Il ricorrente aveva, già in sede procedimentale, rappresentato come il Tribunale di Roma, con sentenza del 2014, si fosse pronunciato in senso favorevole ai danneggiati e come il Ministero non avesse eccepito nei suoi riguardi l’intervenuta prescrizione del diritto. L’amministrazione non poteva respingere la domanda transattiva, trincerandosi dietro al mero richiamo all’art. 5, comma 1, lettera a), d.m. 61889/2012, ma avrebbe dovuto approfondire la problematica prospettata dal danneggiato, indicando compiutamente le ragioni giuridiche per le quali negare l’accesso alla procedura transattiva pur a fronte di una sentenza esecutiva attestante il diritto al risarcimento.
Il Ministero ha transatto controversie identiche a quella in esame, circostanza che impone un ulteriore approfondimento istruttorio per il rispetto del basilare principio della parità di trattamento.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Ministero della Salute.
L’appellante, con un unico motivo, ha dedotto che, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto ministeriale n. 61889 del 2012 (c.d. decreto moduli) – attuativo dell’art. 2, comma 2, del regolamento ministeriale n. 132 del 2009, secondo cui “per la stipula delle transazioni si tiene conto dei principi generali in materia di decorrenza dei termini di prescrizione del diritto” – l’Amministrazione non potrebbe stipulare una transazione, in presenza di pretese che risultino prescritte, per essere trascorsi oltre cinque anni tra la data della domanda di indennizzo e la notifica della citazione introduttiva del giudizio di risarcimento e non sussista la prova di atti interruttivi successivi.
A questa soluzione, non osterebbe la circostanza che il Tribunale civile, respingendo l’eccezione di prescrizione, abbia nel frattempo condannato (in via generica) il Ministero al risarcimento dei danni in favore di tutti gli attori e degli intervenuti in giudizio (tra i quali anche l’appellato).
La sentenza civile di primo grado è stata appellata dal Ministero della Salute, invocando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in difetto di altre prove, la prescrizione (quinquennale) delle richieste risarcitorie decorre, al più tardi, dalla data di presentazione della domanda di indennizzo (ampiamente decorso).
Il rigetto della richiesta di transazione sarebbe legittimo, in considerazione del fatto che non sussisterebbe un diritto del soggetto danneggiato, e un correlato obbligo dell’Amministrazione, alla stipulazione della transazione.
L’appellato si è costituito in giudizio, insistendo per l’infondatezza del gravame.
Con ordinanza di rimessione alla Plenaria, la Terza Sezione del Consiglio di Stato deduceva che:
- 1) se per la pregressa giurisprudenza della stessa Sezione, l’art. 5, comma 1, lett. a) d.m. 4 maggio 2012, il ricorso alla transazione sarebbe precluso in caso di prescrizione del diritto al risarcimento (poiché il suo scopo era quello di evitare una condanna dell’Amministrazione), per la successiva Plenaria 16 del 2021, i termini di cui alle lettere a) e b) art. 5 cit. non attengono alla prescrizione del diritto al risarcimento, ma a ragioni legate alla limitatezza delle risorse messe a disposizione e, probabilmente, al grado di interesse e bisogno del danneggiato presuntivamente evincibile dai tempi di attivazione del giudizio;
- 2) l’atto di intervento dell’interessato nel giudizio risarcitorio innanzi al Tribunale di Roma risale al 2007, mentre la domanda di indennizzo era stato presentato nel 1996, per cui il diritto a transigere si sarebbe già prescritto nel 2001 (cinque anni dopo). Ciò potrebbe sostenersi solo in linea di principio, ma occorre considerare che, nei fatti, il d.m. era intervenuto solo nel 2012, molto dopo la domanda di indennizzo e lo stesso intervento nel giudizio risarcitorio, perciò sarebbe stato irragionevole che un soggetto venisse penalizzato (nel senso di subire una preclusione assoluta a poter accedere alla definizione transattiva della propria controversia) per il mancato rispetto di una scadenza prevista da una disposizione, che non era in vigore al momento in cui egli pose in essere l’adempimento in questione (ossia la domanda di indennizzo ai sensi della legge n. 210/1996);
- 3) peraltro, l’appellato era parte di un giudizio civile collettivo, coinvolgente altri soggetti, i quali avevano avuto accesso alla transazione sulla base della precedente giurisprudenza della Sezione Terza;
- 4) pertanto, la ratio stessa della disposizione sarebbe volta non solo a velocizzare e a semplificare le procedure di indennizzo, ma anche a risparmiare all’Amministrazione i tempi del contenzioso e il rischio di maggiori esborsi in caso di condanna;
- 5) in presenza di una domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c. ritualmente proposta (e peraltro accolta dal Tribunale civile di primo grado) e di domande di indennizzo reiteratamente proposte dall’interessato già prima dell’azione in giudizio, l’art. 5, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 4 maggio 2012 non sarebbe ostativo alla stipula della transazione;
- 6) i tempi e le modalità del diniego hanno violato un legittimo affidamento dell’appellato circa il buon esito della propria domanda, che ha certamente ostacolato la sua possibilità di avvalersi dell’ulteriore possibilità di transazione, prevista dal decreto n. 90 del 2014.
Su queste basi, la Terza Sezione ha deferito all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:
- 1) se, fermo quanto affermato dalla Plenaria 16/2021 sulla natura non prescrizionale, ma decadenziale dei termini di cui all’art. 5, lett. a) e b) d.m. 4 maggio 2012, le disposizioni ministeriali siano proporzionali e ragionevoli, nella misura in cui fanno dipendere l’ammissibilità della domanda transattiva dalla tempestività di una condotta (giudizio risarcitorio rispetto alla presentazione di una domanda di indennizzo) contemplata prima di dette disposizioni, quando nessuna decadenza era prevedibile;
- 2) se, alla stregua del principio di buona fede, sia consentito all’Amministrazione motivare il diniego alla transazione sul mancato rispetto dei termini in questione, anche laddove lo sviluppo della vicenda procedimentale e giudiziale (fino al sopravvenire di una sentenza di condanna dell’Amministrazione al risarcimento, ancorché non definitiva, come nel caso di specie) possa aver ingenerato in capo all’interessato un affidamento per una celere definizione della propria controversia.
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2. Il decisum del Collegio Plenario
In via preliminare, rileva il Collegio che l’ordinanza di rimessione – pur avendo posto a suo fondamento quanto previsto dall’art. 99, comma 3, c.p.a., per il quale una Sezione del Consiglio di Stato deve sottoporre la questione all’esame dell’Adunanza Plenaria, se essa non condivide un principio di diritto da questa enunciato, non ha posto in discussione i principi affermati dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 16 del 2021, pur se ha fatto “salva l’eventuale rimeditazione di tale orientamento”.
Ciò chiarito, non sussistono i presupposti perché la Plenaria esamini le questioni deferite dalla Sezione Terza.
Affinché l’Adunanza Plenaria possa svolgere la sua funzione nomofilattica ed esaminare i quesiti sottoposti al suo esame, è necessario che l’ordinanza di rimessione: effettui una esaustiva ricostruzione della fattispecie controversa; sollevi una questione rilevante rispetto alla res controversa, nel senso che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione
Non possono essere poste all’esame dell’Adunanza Plenaria questioni meramente ipotetiche e ininfluenti sull’esito del giudizio.
L’Adunanza Plenaria ben può valutare sotto tutti i suoi profili la rilevanza delle questioni sollevate (e non nei limiti della ‘non implausibilità’, come accade per la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia, davanti alle quali si innestano giudizi autonomi e incidentali), in quanto è lo stesso processo, nelle ipotesi legalmente previste, che “prosegue” davanti al medesimo Consiglio di Stato, in diversa composizione.
Ciò premesso, con il primo quesito, la Sezione Terza ha rimesso all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione se le disposizioni contenute nell’articolo 5, lettere a) e b), del decreto ministeriale 4 maggio 2012 “siano compatibili con i principi di proporzionalità e ragionevolezza, oltre che con la ratio della stessa istituzione normativa di uno speciale meccanismo transattivo per le controversie risarcitorie instaurate dai cc.dd. emotrasfusi”.
Tale quesito di diritto sarebbe stato rilevante qualora la Sezione remittente avesse dovuto esaminare il secondo motivo del ricorso di primo grado: esso, invece, fuoriesce dal perimetro del thema decidendum, poiché è stato assorbito in primo grado e non è stato riproposto nel corso del secondo grado del giudizio.
Nel processo amministrativo d’appello, i motivi assorbiti dal TAR vanno riproposti incidentalmente dall’appellato vittorioso in primo grado, con una memoria depositata entro il termine di costituzione in giudizio (di sessanta giorni, decorrente dal perfezionamento della notifica del gravame: cfr. artt. 101, comma 2, e 46, del c.p.a.).
Qualora ciò non avvenga, i motivi assorbiti e non esaminati in primo grado devono intendersi rinunciati, sicché è precluso al Consiglio di Stato il loro esame.
Con il primo quesito di diritto, l’ordinanza di rimessione ha dubitato della legittimità delle disposizioni contenute nel decreto ministeriale del 2012, questione che è stata proposta col secondo motivo del ricorso di primo grado, il quale è stato però assorbito dal TAR e non è stato riproposto in grado d’appello.
Quanto al secondo quesito sollevato dalla Terza Sezione, va rilevato che esso ha sollecitato l’esame della questione se possa ravvisarsi un affidamento giuridicamente tutelabile, quando una disposizione fissi un termine decadenziale, da applicare retroattivamente, cioè tenendo conto del decorso del tempo anteriore alla sua entrata in vigore.
La Plenaria ritiene di non poter esaminare anche tale questione, poiché non risulta rilevante per la definizione della controversia.
La sentenza di primo grado ha accolto il ricorso di primo grado, rilevando che il Ministero, in sede di valutazione della domanda di transazione, non avrebbe tenuto conto del fatto che esso era decaduto dalla possibilità di eccepire la prescrizione, non avendo formulato tale eccezione nel giudizio civile pendente in Corte di Appello.
Nel preavviso di rigetto, peraltro, l’Amministrazione ha dedotto che non potrebbe concludere un contratto di transazione, con chi non potrebbe conseguire in giudizio la condanna al risarcimento.
Il Ministero, in definitiva, non ha posto in discussione la natura prescrizionale del termine: è quindi irrilevante la questione sollevata dalla Sezione Terza, se una disposizione possa fissare un termine di decadenza, dando rilievo al periodo di tempo in precedenza già trascorso.
Gli atti sono stati restituiti alla Sezione, affinché essa proceda a un rinnovato esame dei termini della questione, verificando se il giudizio possa essere definito senza esaminare i quesiti di diritto sollevati o se i quesiti possano essere riproposti, sulla base di una adeguata motivazione.
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