In data 12 giugno 2022 il corpo elettorale, italiano, pari a 50.909.668 di elettori, di cui 4.736.205 residenti all’estero (- fonte Ministero dell’Interno – ) è stato chiamato ad esprimersi sui cinque quesiti referendari, promossi dai partiti dei Radicali italiani e dalla Lega.
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Fin dai primi exit pool è parso chiaro che i quesiti referendari non hanno suscitato molto interesse tra i cittadini. Una volta ultimato lo spoglio presso le 61.569 sezioni dislocate su tutti i 7.903 Comuni d’Italia e atteso l’esito delle 1.147 Comunicazioni della Circoscrizione Estero l’esito ufficiale è stato impietoso, consegnando alla storia il peggior risultato, in termini di disimpegno dal voto, in un referendum.
La tornata referendaria è stata, dunque, segnata dal fortissimo astensionismo che ha determinato il minimo storico, con un’affluenza pari al 20,9% , per quanto riguarda l’istituto del referendum.
I cinque quesiti referendari avevano ad oggetto l’abrogazione delle seguenti norme di legge:
- Quesito referendario numero 1: abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi. (cd. “legge Severino” dal nome dell’allora Guardasigilli sotto il Governo Monti). (Scheda rossa).
- Quesito referendario numero 2: limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art.274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale. (Scheda arancione).
- Quesito referendario numero 3: separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati. (scheda gialla).
- Quesito referendario numero 4: partecipazione, con annessa valutazione, dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte. (Scheda grigia).
- Quesito referendario numero 5: abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura. Di fatto, si propone di espungere la norma che prescrive per ogni candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura l’appoggio compreso da un minimo di venticinque ad un massimo di cinquanta magistrati. L’obiettivo era quello di limitare il potere delle correnti dopo le aspre critiche suscitate nel recente passato per le nomine del CSM. (Scheda verde).
Indice
- Quale soglia di partecipazione era necessaria per raggiungere il quorum elettorale?
- Lo storico dei referendum abrogativi e non nella storia repubblicana
- Storico: l’elevata affluenza ai referendum, abrogativi, del 1978 e del 1981
- Il primo e unico referendum consultivo del 1989
- Lo storico dei 4 referendum costituzionali
- Considerazioni conclusive
1. Quale soglia di partecipazione era necessaria per raggiungere il quorum elettorale?
Ai sensi dell’articolo 75 Costituzione, co. 4 “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”.
2. Lo storico dei referendum abrogativi e non nella storia repubblicana
Analizzando lo storico dei referendum disponibile e consultabile sul sito degli open data del Governo e, quindi, gestito dal Ministero dell’Interno si ricava la partecipazione dei cittadini italiani ai vari referendum proposti dal 1946 nel corso del tempo.
Dal 1946 i cittadini italiani sono stati chiamati ad esprimersi su 74 referendum. Di questi ben 68 hanno natura abrogativa, 1 avente carattere istituzionale, 1 d’indirizzo e 4 referendum costituzionali. Si ricorda che questi ultimi, diversamente del referendum abrogativo, non è previsto un quorum per la validità.
Il primo referendum svoltosi ha natura istituzionale e riguarda la determinazione della forma di governo al termine della seconda guerra mondiale e la conseguente scelta tra la Repubblica e la Monarchia. Il 02/06/1946 la partecipazione popolare al quesito referendario fu altissima. A fronte di un corpo elettorale di 28.005.449 i votanti furono 24.946.878 registrando un’affluenza pari all’ 89,08 % degli aventi diritto, suddivisi in 12.718.641 (54,27%) in favore del sì e in 10.718.502 (45,73%) in favore del no. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 1.509.735. All’esito del referendum sulla forma istituzionale dello Stato nacque la Repubblica Italiana.
Quorum massimo e minimo raggiunto
La più alta partecipazione del corpo elettorale coincide con la prima consultazione referendaria dal carattere abrogativo che ebbe ad oggetto l’istituto del divorzio. Introdotto con la Legge 1 dicembre 1970, n. 898 – Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio – (conosciuta anche come “legge Fortuna – Baslini” prendendo il cognome dei primi firmatari del progetto di legge in sede parlamentare) venne osteggiata, fin dalla promulgazione, dal fronte antidivorzista fino ad arrivare alla promozione del quesito referendario sulla spinta delle forze cattoliche presenti in Parlamento e grazie all’ opera del comitato per il referendum sul divorzio. La tornata referendaria si svolse in data 12/05/1974 con il seguente quesito: “Volete che sia abrogata la legge 1º dicembre 1970, n. 898, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”?”. La partecipazione popolare al quesito referendario fu altissima. A fronte di un corpo elettorale di 37.646.322 i votanti furono 33.023.179 registrando un’affluenza pari all’ 87,72 % degli aventi diritto, suddivisi in 13.157.558 (40,74%) in favore del sì (ovvero favorevoli all’abrogazione dell’istituto e in 19.138.300 (59,26%) favorevoli al no (ossia al mantenimento della Legge Fortuna – Baslini). Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 727.321. (Quorum raggiunto). Nonostante le diverse consultazioni referendarie svoltesi nel corso del tempo, il referendum sul divorzio rimane, come scritto sopra, ancora, quello che registra la più alta partecipazione del corpo elettorale per quanto riguarda i referendum abrogativi. Al risultato straordinario in termini di partecipazione registrato per il suddetto referendum faceva da contraltare, prima dei cinque quesiti sulla giustizia del 12/06/2022, quello svoltosi in data 21/06/2009. Sebbene diverse, di certo le tematiche non avevano minore importanza. Si trattava di tre quesiti referendari riguardanti: 1. Elezione della Camera dei Deputati. Abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste. Per il quesito in oggetto a fronte di un corpo elettorale di 50.040.016 di cittadini i votanti furono 11.754.453 registrando un’affluenza pari al 23,49 % degli aventi diritto, suddivisi in 8.051.861 (77,63% ) in favore del sì e in 2.320.365 (22,37%) favorevoli al no, le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 1.382.227; 2. Elezione del Senato della Repubblica. Abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste. Per il quesito in scrutinio, sempre, a fronte di 50.040.016 di cittadini aventi diritto di voto gli elettori recatesi alle urne furono 11.771.322 pari al 23,52 % del corpo elettorale, suddivisi in 8.049.188 (77,68%) favorevoli al sì e 2.313.042 (22,32%) favorevoli al no, le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 1.409.092; 3. Elezione della Camera dei Deputati. Abrogazione della possibilità per uno stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione. Per il quesito in commento votarono 12.021.101 di cittadini pari al 24,02 % degli aventi diritto, suddivisi in 9.490.486 (87,00%) favorevoli al sì e 1.417.843 (13,00%) favorevoli al no, le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 1.417.843. Il referendum comprensivo dei tre quesiti esaminati risultò non valido poiché non si raggiunse il quorum.
3. Storico: l’elevata affluenza ai referendum, abrogativi, del 1978 e del 1981
Referendum abrogativo del 1978
Tra i due dati opposti si ricordano altri referendum abrogativi che hanno avuto una notevole partecipazione popolare, ricordiamo a tal proposito il referendum, proposto dai Radicali, svoltosi il 11/06/1978 riguardante due diversi questi: l’abolizione della Legge 22 maggio 1975, n. 152 – Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico – e il primo tentativo di abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Il primo quesito referendario – riguardante l’ordine pubblico – si presentava nel seguente modo: “Volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152, recante “Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”, come modificata, nell’art. 5, dall’art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533, “Disposizioni in materia di ordine pubblico”?”. L’affluenza raggiunse l’81,19 % degli aventi diritto. Si recarono alle urne 33.489.688 di cittadini a fronte di un corpo elettorale pari a 41.248.657. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 7.400.619 (23,54%) favorevoli al sì e quindi all’abolizione della norma e 24.038.806 (76,46%) favorevoli al conservazione della disposizione. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 2.050.263. Il quesito referendario riguardante l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti era formulato nel seguente modo: “Volete voi che sia abrogata la legge 2 maggio 1974, n. 195, “Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici”, come modificata, nell’art. 3, terzo comma, lettera b, dall’articolo unico della legge 16 gennaio 1978, n. 11, “Modifiche alla legge 2 maggio 1974, n. 195, concernente norme sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici”?”. A fronte di un corpo elettorale pari a 41.248.657 di cittadini, i votanti furono 33.488.690 pari all’ 81,19 %. I voti vennero ripartiti nel seguente modo: 13.691.900 (43,59%) favorevoli al sì e quindi all’abolizione della norma e 17.718.478 (56,41%) a favore della conferma della norma. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 2.078.312. Sebbene il quorum venne ampiamente raggiunto i due no resero vana promozione del referendum ad opera del partito dei Radicali italiani.
Referendum abrogativo del 1981
Altra tornata referendaria che vide un’ampia partecipazione del corpo elettorale è quella svoltasi il 17/05/1981 che proponeva cinque quesiti referendari tra loro eterogenei. Il primo di questi, proposto dal Partito Radicale, aveva ad oggetto l’ordine pubblico e nello specifico l’abrogazione della cd. legge Cossiga, che era stata elaborata per affrontare il fenomeno del terrorismo in Italia negli anni Settanta. Il quesito era formulato nel seguente modo: “Volete voi l’abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge con legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica)?”. A fronte di un corpo elettorale di 43.154.682 di cittadini si recarono alle urne 34.257.197 di cittadini pari al 79,38 % degli aventi diritto. I voti vennero ripartiti nel seguente modo: 4.636.809 (14,88%) favorevoli al sì e quindi all’abrogazione della norma e 26.524.667 (85,12%) a favore della conferma della stessa. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 3.095.721. Il secondo quesito referendario, promosso sempre dai Radicali italiani, riguardava l’abolizione della pena dell’ergastolo. Il quesito era strutturato nel seguente modo: “Volete voi che siano abrogati gli articoli 17, comma primo n. 2 (l’ergastolo) e 22 del codice penale approvato con regio decreto 10 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni?”. A fronte di un corpo elettorale di 43.154.682 di cittadini si recarono alle urne 34.277.194 di cittadini pari al 79,43 % degli aventi diritto. I voti vennero ripartiti nel seguente modo: 7.114.719 (22,63%) favorevoli al sì e quindi all’abrogazione della norma e 24.330.954 (77,37%) a favore della conferma della stessa. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 2.831.521. Il terzo quesito referendario, anche questo promosso dal Partito Radicale, riguardava l’abolizione delle norme sulla concessione del porto d’armi. Il quesito era strutturato nel seguente modo: “Volete voi l’abrogazione dell’art. 42, comma terzo (il questore ha facoltà di dare licenza per porto d’armi lunghe da fuoco e il prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65), del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e successive modificazioni?”. A fronte di un corpo elettorale, sempre, di 43.154.682 di cittadini si recarono alle urne 34.275.376 di cittadini pari al 79,42 % degli aventi diritto. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 4.423.426 (14,08%) favorevoli al sì e quindi all’abrogazione della norma e 26.995.173 (85,92%) a favore della conferma della stessa. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 2.856.777. Il quarto quesito referendario, promosso sempre dai Radicali italiani, riguardava l’abrogazione di adempimenti e i controlli di tipo amministrativo e anche giurisdizionale, riferiti all’interruzione volontaria della gravidanza, con tutte le sanzioni previste in caso di inosservanza delle modalità configurate dalla Legge 22 maggio 1978, n. 194 – Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza -. Il quesito era strutturato nel seguente modo: “Volete voi l’abrogazione degli articoli 1; 4; 5; 6 lettera b) limitatamente alle parole: “tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”; 7; 8; 9 comma primo, limitatamente alle parole: “alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 e”, e comma quarto limitatamente alle parole: “l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e”, nonché alle parole: “secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8”; 10 comma primo limitatamente alle parole: “nelle circostanze previste dagli articoli 4 e 6”, nonché alle parole: di “cui all’articolo 8”, e comma terzo limitatamente alle parole: “secondo quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 5 e dal primo comma dell’articolo 7”; 11 comma primo (L’ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l’intervento è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia dell’intervento stesso e della documentazione sulla base della quale è avvenuto senza fare menzione dell’identità della donna.); 12; 13; 14; 19 comma primo (Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni.), comma secondo (La donna è punita con la multa fino a lire centomila.), comma terzo limitatamente alle parole: “o comunque senza l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 7,”, comma quinto (Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.) e comma settimo (Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma.); 22 comma terzo (Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso il fatto prima dell’entrata in vigore della presente legge, se il giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli articoli 4 e 6.) della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”?”. A fronte di un corpo elettorale di 43.154.682 di cittadini si recarono alle urne 34.270.200 di cittadini pari al 79,41 % degli aventi diritto. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 3.588.995 (11,58%) favorevoli al sì e quindi all’abrogazione della norma e 27.395.909 (88,42%) a favore della conferma della stessa. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 3.285.296. Il quinto e ultimo quesito referendario, di orientamento contrario al precedente, promosso dal “Movimento per la vita”, riguardava l’abrogazione di ogni circostanza giustificativa ed ogni modalità dell’interruzione volontaria della gravidanza, come previste dalla Legge 22 maggio 1978, n. 194 – Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza -. Il quesito era strutturato nel seguente modo: “Volete voi l’abrogazione degli articoli 4, 5, 6, limitatamente alle parole “dopo i primi novanta giorni”, “tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”, “o psichica”; 8,12,13,14,15,19, primo comma, limitatamente alle parole “negli articoli 5 o 8”; terzo comma: “Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o comunque senza l’osservanza delle modalità previste dallo articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni.”; quarto comma: “La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi.”; quinto comma: “Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.”; settimo comma: “Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma” della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”?”. A fronte di un corpo elettorale di 43.154.682 di cittadini si recarono alle urne 34.277.119 di cittadini pari al 79,43 % degli aventi diritto. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 10.119.797 (32,00%) favorevoli al sì e quindi all’abrogazione della norma e 21.505.323 (68,00%) a favore della conferma della stessa. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 2.651.999.
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4. Il primo e unico referendum consultivo del 1989
Partecipazione plebiscitaria ebbe anche il primo nonché ad oggi unico, referendum consultivo della storia repubblicana. Svoltosi il 18/06/1989 aveva ad oggetto il Conferimento del mandato costituente al Parlamento Europeo. Privo di efficacia giuridica vincolante, non era previsto nessun quorum, era volto a sondare la volontà dell’elettorato italiano. Il quesito era elaborato nel seguente modo: “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?” A fronte di un corpo elettorale di 46.552.411 di cittadini si recarono alle urne 37.560.404 di cittadini pari al 80,68 % degli aventi diritto. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 29.158.656 (88,03%) favorevoli al sì e 3.964.086 (11,97%) a favore del no. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 4.437.662.
5. Lo storico dei 4 referendum costituzionali
Il referendum costituzionale del 2001
Primo referendum costituzionale della storia repubblicana aveva ad oggetto la modifica al titolo V della parte seconda della Costituzione. Svoltosi in data 07/10/2001 il quesito referendario era strutturato nella seguente maniera: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2001?”. A fronte di un corpo elettorale di 49.462.222 di cittadini si recarono alle urne 16.843.420 di cittadini pari al 34,05 % degli aventi diritto. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 10.433.574 (64,21%) favorevoli al sì e quindi alla modifica del Titolo quinto della seconda parte della Costituzione e 5.816.527 (35,79%) a favore del no. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 593.319. Non era previsto nessun quorum
Il referendum costituzionale del 2006
Il secondo referendum costituzionale della storia repubblicana aveva ad oggetto l’approvazione della legge di modifica alla parte seconda della Costituzione. Svoltosi il 25/06/2006 2001 il quesito referendario era strutturato nel seguente modo: “Approvate il testo della Legge Costituzionale concernente “Modifiche alla Parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005?”. A fronte di un corpo elettorale di 49.772.506 di cittadini si recarono alle urne 26.110.925 di cittadini pari al 52,46 % degli aventi diritto. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 9.970.513 (38,71%) favorevoli al sì e quindi alla modifica della seconda parte della Costituzione e 15.783.269 (61,29 %) a favore del no. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 357.143. Non era previsto nessun quorum.
Il referendum costituzionale del 2016
Il terzo referendum costituzionale della storia repubblicana aveva ad oggetto la cd. riforma costituzionale Renzi-Boschi, ovvero la proposta di revisione della Costituzione della Repubblica Italiana contenuta nel testo di legge costituzionale approvato dal Parlamento italiano il 12 aprile 2016. Il progetto di riforma presentato dal Governo Renzi prevedeva “il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”. Svoltosi il 4 dicembre 2016 il quesito referendario era strutturato nel seguente modo: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”. A fronte di un corpo elettorale di 50.773.284 di cittadini si recarono alle urne 33.244.258 di cittadini pari al 65,48 % degli aventi diritto. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 13.431.087 (40,88%) favorevoli al sì e quindi alla modifica e 19.421.025 (59,12%) a favore del no. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 392.146. Non era previsto nessun quorum. All’esito delle operazioni di spoglio elettorale con conseguente mancata approvazione della riforma l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi rassegnò le proprie dimissioni.
Il referendum costituzionale del 2020
Il quarto e ad oggi ultimo referendum costituzionale della storia repubblicana è stato indetto per approvare o respingere la legge di revisione costituzionale – “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” -. inerente il taglio del 36,5% dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: da 630 a 400 alla Camera, da 315 a 200 al Senato. Sebbene fosse previsto originariamente per il 29 marzo 2020, il referendum è stato celebrato il 20 e 21 settembre a seguito della pandemia di COVID-19. Il quesito referendario era formulato nel modo seguente: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?”. A fronte di un corpo elettorale di 50.955.985 di cittadini si recarono alle urne 26.050.227 di cittadini pari al 51,12 % degli aventi diritto. I voti vennero suddivisi nel seguente modo: 17.913.259 (69,96 %) favorevoli al sì e quindi alla riduzione del numero dei parlamentari e 7.691.837 (30,04%) a favore del no. Le schede non valide comprensive di quelle bianche furono 445.131. Non era previsto nessun quorum.
6. Considerazioni conclusive
Provando a dare una spiegazione alla bassa affluenza che ha determinato il flop del referendum sulla giustizia possiamo ricondurla anche, ma non solo, alla decisione della Corte Costituzionale di espungere dalla tornata referendaria temi quali la legalizzazione della coltivazione della cannabis e la legalizzazione dell’eutanasia – sicuramente – più sentiti e più vicini ai cittadini italiani. Sul punto l’esponente dei Radicali italiani Marco Cappato ha invitato gli elettori a far mettere a verbale dal Presidente del seggio elettorale la seguente dichiarazione: “Non mi sarà permesso di votare i referendum in materia di eutanasia e di cannabis, promossi per la prima volta dopo oltre 10 anni con le firme dei cittadini, perché la Corte costituzionale li ha dichiarati inammissibili con motivazioni arbitrarie e in contrasto con quanto previsto dall’articolo 75 della Costituzione.
Questa ennesima negazione del diritto a esercitare la sovranità popolare mediante referendum va contro gli obblighi internazionali della Repubblica italiana e prefigura una violazione dei diritti civili e politici di tutti i cittadini del nostro Paese”.
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Di fatto la bocciatura ad opera della Consulta ha lasciato i soli quesiti referendari riguardanti la giustizia, che diversi cittadini hanno percepito come una, possibile, punizione che il potere legislativo voleva infliggere a quello giudiziario date le frequenti e aspre polemiche tra politica e magistratura proprio nel trentesimo anniversario dell’inchiesta passata alla storia con il nome di “Tangentopoli” nota pure come “Mani pulite”. Non trascurabile appare, anche, il tecnicismo dei quesiti che potrebbe aver indotto parte del corpo elettorale a “disertare” le urne. Infine, si ricorda la disaffezione dell’elettorato nei confronti del voto data dalla scarsa fiducia dei cittadini nei confronti della classe politica. Per converso, attaccano i promotori del referendum affermando che lo stesso sia stato poco pubblicizzato dai mass-media e dagli organi d’informazione. Nel seguente modo si pronuncia il Comitato per il No: “È una debacle, uno dei risultati peggiori nei referendum (…)“I motivi sono molteplici. Innanzitutto non è stato un referendum indetto dai cittadini, è stato un referendum indetto da 9 regioni del centrodestra e quindi calato dall’alto e sentito come una domanda posta da parte del ceto politico alla cittadinanza, mentre era in corso in Parlamento la discussione su un disegno di legge di riforma”. Ed ancora: “Non c’è stato un disinteresse dei cittadini nei confronti della giustizia, c’è stato un disinteresse dei cittadini nei confronti di quesiti, alcuni francamente cervellotici, alcuni marginali, alcuni inutili perché saranno riassorbiti dalla proposta di legge Cartabia e da qui deriva il vuoto nei voti”. Affermando in conclusione che “Chi è presente in Parlamento deve sentire la responsabilità, a maggior ragione visto l’esito disastroso di questo referendum, di concludere una riforma dignitosa che faccia fare un passo in avanti al sistema giustizia”.
Infine, giunti alle conclusioni giova ricordare come la giustizia è sempre stata una tematica molto dibattuta sulla quale numerosi governi hanno tentato di lasciare la propria impronta a volte finendo per determinare la fine degli stessi. A tal proposito si ricorda che il Senato prossimamente provvederà ad esaminare la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura presentata dalla Ministra della Giustizia Marta Cartabia.
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