ATO rifiuti solidi urbani e ATO acqua. Riflessioni su una tassa ritenuta onerosa ed iniqua.-

Il decreto legislativo di attuazione di alcune direttive CEE (91/156/CEE) in materia di rifiuti, cosiddetto Decreto Ronchi, ? del 5 febbraio 1997, n? 22; mentre la Legge Regionale che delimita e disciplina gli Ambiti territoriali ottimali ? la n? 25 del 6 settembre 1999.

Tra i presupposti istitutivi degli ATO c’? l’esigenza di razionalizzare, cio? rendere pi? efficienti, efficaci ed economici, i servizi pubblici relativi al settore idrico ed a quello dei rifiuti solidi urbani. Ma, stando alle bollette pervenute ai cittadini, lo stupore ? stato di constatare l’ eccessiva onerosit? dei tributi richiesti per superfici abitative di circa 100 mq.? per una famiglia composta da quattro persone ed altrettanto gravosi per locali ad uso non abitativo. E tanto maggiore ? stato lo stupore per i tagli subiti dai gi? compressi bilanci familiari quanto pi? si ? acquisita la consapevolezza che a fare da cornice della "benvenuta nuova tassa" ? uno scenario inquietante, che sa di grottesco, per il fatto che gli ATO sono delle societ? per azioni che liquiderebbero lauti compensi ai propri consigli di amministrazione del tenore di sei o sette mila euro, pagati dal cittadino.

Da qualche iniziativa intrapresa da qualche Comune, sembra che le tariffe imposte ai cittadini non siano state determinate dall’ente locale, previa individuazione del costo complessivo del servizio e con una modulazione delle tariffe che assicurino agevolazioni per le utenze domestiche e per la raccolta differenziata (come prescritto dall’art. 3 del DPR 27 aprile 1999, n? 158 e art. 49, comma 10, del Dlgs. 5 febbraio 1997, n? 22), bens? direttamente dall’ATO. Si aggiunga, inoltre, che la tariffa non avrebbe usufruito dell’abbattimento previsto, in quanto l’Ato non avrebbe ancora avviato la raccolta differenziata e la raccolta di materiale riciclabile come carte, materiale ferroso ed altro.

Poich? gli ATO nascono come imprese private, ? giusto che si differenzino da una impresa privata qualunque, in quanto il loro fine costitutivo ? rappresentato dallo svolgimento di un servizio pubblico essenziale, le cui tariffe "pubbliche" sono imposte unilateralmente, non derivando dal mercato, cio? dall’incontro della domanda e dall’offerta dei beni e servizi al consumo in regime di libera concorrenza.

Ci? significa che il consumatore non ? posto in condizioni di scegliere, a m? d’esempio, tra questo e quel paio di scarpe, o tra questo o quel detersivo, ma ? costretto a soggiacere alle deliberazioni di un consiglio di amministrazione di una S.p.A., che stabilisce parametri in regime di monopolio quale risultato di una politica gestionale confacente alle strategie aziendali.

Giuridicamente, ma anche eticamente, il balzello ha un senso solo se discende dal volume reddituale complessivo dell’unit? familiare e non gi? quando venga determinato in funzione della composizione del nucleo familiare. Giacch?, se l’indice rivelatore di redditivit?, cui ? commisurata la tassa, si basa esclusivamente sul numero dei componenti la famiglia, ci? implica – per il diritto tributario – la "legittimazione" del sistema di tassazione proporzionale. Vale a dire, stabilito che per la Pubblica Amministrazione un tributo debba essere fissato – a m? d’esempio – nel 10%, tutti i contribuenti pagheranno il 10%, sia che producano un reddito di 100 euro, sia che ne producano un altro in ragione di 10.000 euro.
A mio modesto avviso, nelle nuove bollette che verranno adottate dagli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali), si ravvisano gli estremi della imposizione proporzionale del tributo, in considerazione della riconducibilit? della tassa alla persona. Vai a dimostrare che non ? corretto operare in questo modo. Vai a dimostrare che non ? assolutamente pensabile che se una persona produce un sacchetto di spazzatura, non ? mica detto che quattro persone facenti parte di una stessa famiglia ne producono quattro di sacchetti. Di conseguenza, va gi? da se che il criterio della proporzionalit? non ? immediatamente perseguibile, n? sul piano logico-deduttivo, n? tanto pi? sul piano costituzionale.

Non solo. Il suddetto modo di operare, a mio parere, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione. Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignit? sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. L’art. 3 viene invocato per la parte relativa alla "dignit? sociale" di quei contribuenti che intendano formarsi una famiglia e non v’? ragione che gli stessi vengano penalizzati da un sistema tributario che persegua la capacit? di procreazione dei consociati.

Art. 53: "Tutti sono tenuti a concorrere alle stese pubbliche in ragione della loro capacit? contributiva".
E’ fin troppo chiaro, anche per i non addetti ai lavori, come il principio costituzionale del prelievo fiscale informi la propria politica sul gettito erariale non gi? sul sistema proporzionale della eguale ed indiscriminata partecipazione dei sacrifici economico-finanziari alla spesa pubblica di ciascun contribuente, bens? in modo direttamente proporzionale o progressivo del volume complessivo della propria capacit? contributiva. Cio? a dire, maggiore ? il reddito complessivo prodotto dal nucleo familiare, maggiore dev’essere inteso il concorso del sacrificio richiesto al mantenimento della
spesa pubblica.

A tal riguardo, la Corte Costituzionale, nel richiamare la propria costante giurisprudenza (sentenze nn? 159 del 1985, 23 del 1968, 128 del 1966; 30 del 1964; 12 del 1960;) afferma che il principio di progressivit? previsto dall’ art. 53 della Costituzione non si riferisce alle singole imposte, bens? all’ ordinamento tributario considerato nel suo complesso.

Sembra il caso paragonare, per analogia, la nuova tassa ATO alla soppressa I.C.I.A.P. (imposta comunale per l’esercizio di arti e professioni e di imprese), cui la Corte Costituzionale, con sentenza n? 103 del 1991, ha dichiarato la parziale illegittimit? dell’art. 1 del decreto-legge 2 marzo 1989, n? 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale) convertito, con modificazioni, in legge 24 aprile 1989, n? 144, nella parte in cui non consentiva ai contribuenti di fornire alcuna prova contraria in ordine alla propria effettiva redditivit?.

Questa imposta, come si ricorder?, meglio nota al grosso pubblico come tassa sulla superficie delle attivit? destinate all’esercizio di attivit? commerciali, imprenditoriali e professionali, era applicata in eguale misura a tutti i contribuenti che esercitassero una arte, un’impresa od una professione.

Pagavano in eguale misura, cio?, il tabaccaio che disponeva di 100 mq. di locali, ma che dichiarava un reddito di 100.000.000 delle vecchie lire ed il gioielliere con 100 mq. di locali e 800.000.000 di lire.
Ricordiamo che il giudizio di illegittimit? costituzionale ? stato motivato dall’osservanza che l’incidenza percentuale dell’imposta dovuta risultava inversamente proporzionale alla capacit? contributiva espressa dagli indici assunti dalla legge, e cio? il reddito e la superficie dell’insediamento produttivo, e non era quindi rispettosa del criterio della progressivit? espressamente previsto nel parametro costituzionale invocato.

Dal raffronto dell’I.C.I.A.P. appena su richiamata con la tassa ATO emergono due aspetti di riflessione: 1) l’incidenza percentuale del nuovo balzello non tiene conto della capacit? contributiva di ciascun nucleo familiare, ma ? espressa solamente in termini di numero dei componenti la famiglia. Pi? si ? in famiglia e pi? si paga.

E’ scandaloso osservare che i bollettini dei versamenti della nuova tassa perverrano negli stessi importi a due famiglie tipo con lo stesso carico familiare di quattro persone: una con 100 di reddito; l’altra con 500 di reddito. 2) Si assister? contemporaneamente ad una asserita irrazionale disomogeneit? del sistema impositivo, potendo ogni ATO fissare importi di tassazione diversi da ATO S.p.A ad ATO S.p.A., se non da Comune a Comune per attivit? identiche.

I su accennati principi sulla "progressione impositiva" dovrebbero costituire linee di condotta da seguire, cui non si pu? derogare.

Battaglia Sebastiano

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento