Attacco alle forze ONU: configurazione di “crimini di guerra”

A poche ore dall’attacco dell’Israel Defense Force alla missione UNIFIL in Libano, costato il ferimento di due Caschi Blu indonesiani, il Ministro della Difesa Crosetto nel corso di una conferenza stampa – quanto mai opportuna – ha parlato di un atto che potrebbe configurarsi come una grave violazione del diritto internazionale, e specificamente come «crimine di guerra». Trattandosi di un’alta carica istituzionale, che certamente si è avvalsa di un parere dei consiglieri giuridici e militari della struttura di governo, alla parole va riconosciuto un senso specifico nella  definizione giuridica della situazione sotto il profilo del diritto internazionale.

Indice

1. Lo svolgimento dell’attacco e le ipotesi di qualificazione


Se le risposte ufficiali di Israele confermassero che non si è trattato di un «errore o incidente» – qualche osservatore ha ipotizzato un atto inconsulto di fanatici riservisti nella catena di comando – e soprattutto se tali condotte dovessero ripetersi, si tratterebbe di un attacco deliberato, di fronte al quale è fondamentale reagire secondo il diritto internazionale e non arretrare sulla difesa della funzione imparziale e di pacificazione delle Forze Onu, i ‘Caschi Blu’. Israele imputa alla missione Unifil di non essere stata in grado di dare attuazione al mandato della Risoluzione 1701 (2006): questa prevedeva il training e il supporto di sicurezza in favore dell’ esercito regolare libanese, le Lebanese Armed Forces (LAF), nel loro rischieramento nel Sud del paese, mantenendo tra la Blue Line e il fiume Litani un’ ‘area cuscinetto’ libera da assetti armati che non fossero quelli del Governo libanese e di Unifil, in sostanza per disarmare Hezbollah e far rientrare Israele nei suoi confini. Dopo l’attacco, l’Ambasciatore israeliano all’Onu Danon ha ricordato che era stato ‘raccomandato’ alle forze Unifil di spostarsi a 5 Km a Nord «per evitare pericoli mentre i combattimenti si intensificano e la situazione lungo la Linea Blu rimane instabile a causa dell’aggressione di Hezbollah». Ha richiamato che l’obiettivo di Israele non è quello di occupare il Libano, ma di allontanare Hezbollah in modo che 70.000 israeliani possano tornare alle loro case nel nord di Israele. Secondo altri analisti l’intervento contro le forze Onu, non a caso realizzato anche in uno degli attacchi con la distruzione di telecamere areali, mirerebbe concretamente a non avere testimonianze di ciò che l’IDF si accingerebbe a fare sul campo di battaglia, come il possibile impiego di bombe al fosforo o altre azioni di bombardamento indiscriminato. Rimane fondata dunque l’ipotesi più accreditata secondo cui l’area contigua alla predisposizioni di Unifil sarebbe la principale via di penetrazione su cui Israele intenderebbe sfondare per circoscrivere l’area del sud del Libano controllata da Hezbollah.

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2. le reazioni di Italia e Unifil


«Italia e Nazioni Unite non possono prendere ordini da Israele», ha detto il ministro Crosetto, aggiungendo che la questione andava posta nelle sedi Onu, e non certo passando alle vie di fatto prima con le intimazioni e poi con un attacco deliberato contro i Caschi Blu. Unifil è una operazione di peacekeeping, dunque una missione di mantenimento della pace che opera ai sensi del Capitolo VI (Soluzione pacifica delle controversie) della Carta delle Nazioni Unite, voluta a suo tempo da tutte le parti, Israele incluso, realizzata con la partecipazione di 40 Stati. Non si tratta dunque di una operazione di peace-enforcement, di ‘imposizione’ coercitiva con l’uso della forza (es. Guerra del Golfo) ai sensi del capito VII della Carta. Questo inquadramento ha importanti conseguenze, che dunque appare ben colto dagli attori internazionali e dagli osservatori che hanno sottolineato come questo attacco alle forze Unifil può effettivamente configurare una grave violazione del diritto internazionale umanitario, un «crimine di guerra. Secondo le indicazioni del Ministro della Difesa Crosetto non sussistono giustificazioni di sorta, ancor meno la c.d. «necessità militare». La nozione di «necessità militare» è stata a lungo controversa nel dibattito degli studiosi del diritto internazionale dei conflitti armati, che ha portato ad un deciso arretramento della sua applicazione: se prima veniva chiamata in causa la ‘ragione militare’ tout court come causa di giustificazione, oggi non la si può  estendere – secondo una nota citazione di Eisenhower – arbitrariamente alla ‘convenienza militare’, ed ha assunto un significato nettamente opposto. Lungi dal costituire una causa di giustificazione per un’azione altrimenti vietata rappresenta un limite generale dell’azione bellica nel senso che il belligerante dovrebbe impiegare solo la quantità di forza necessaria per sconfiggere il nemico (N. Ronzitti, Diritto internazionale di conflitti armati. Torino). E questo tanto più che la forza di una missione di pace delle Nazioni Unite non può essere considerata ‘belligerante’ e quindi ‘nemico’.  Bene ha fatto dunque il portavoce della missione Unifil a ricordare che in capo a Israele – come alle altre parti – incombe l’obbligo di «garantire la sicurezza e la protezione del personale e delle proprietà dell’Onu». Le norme di riferimento sono chiare, a cominciare dalla stessa Risoluzione ‘vincolante’ 1701 del Consiglio di Sicurezza, e dalla Convenzione sulla sicurezza del personale delle Nazioni Unite e del personale associato (New York, 9 dicembre 1994).

3. La fattispecie dei crimini di guerra e l’applicazione al caso di specie


Fondamentale è dunque l’inquadramento della fattispecie anche nei «crimini di guerra», cui non ci si riferisce come ad una nozione generica del linguaggio comune ad uso giornalistico. Si tratta di una definizione giuridica ben tipicizzata nel diritto internazionale, e specificamente nel diritto internazionale dei conflitti armati, che oggi trova la sua più compiuta rappresentazione nello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, il c.d. Statuto di Roma, approvato il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1° luglio 2002. Lo Statuto introduce alla definizione dei principali ‘crimini internazionali’: il genocidio(art. 6), i crimini contro l’umanità, riferiti ad «attacchi estesi e sistematici contro popolazioni civili» (art.7), l’aggressione, cioè l’attacco deliberato alla sovranità e all’integrità di uno Stato (art.8-bis), e appunto i «crimini di guerra» (articolo 8). Sulla rilevanza giuridica della definizione è importante sottolineare la scelta voluta dei redattori dello Statuto di non essere generica ed indeterminata, tanto da elencare sotto l’articolo 8 oltre 40 specifiche condotte, al fine di caratterizzare con certezza la c.d. ‘tipizzazione’, un principio di garanzia della legislazione penale anche internazionale. In merito lo Statuto definisce la competenza della Corte sui crimini di guerra quando commessi come «parte di un piano o disegno politico» o «su larga scala» (il che significa che agli Stati residua la competenza sui ‘singoli’ crimini guerra), e inquadra la categoria nell’ambito delle previsioni delineate nelle fonti del diritto internazionale dei conflitti armati, in particolare nelle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 (Art. 8, para 2, sub a),  e nelle ‘leggi e usi di guerra’ nel quadro ‘consolidato’ del diritto internazionale dei conflitti armati internazionali (Art.8, para 2, sub b), e dei conflitti armati non internazionali (art. 8, sub c, d, e, f).
Secondo le previsioni dello Statuto dunque all’articolo 8 si considera «crimine di guerra» – al para 2,  b), iii) – «dirigere deliberatamente attacchi contro personale, installazioni, materiali, unità o veicoli utilizzati nell’ambito di una missione di soccorso umanitario o di mantenimento della pace in conformità alla Carta delle Nazioni». La norma richiede il presupposto che tali forze ONU comunque non operino in combattimenti proattivi (cioè al di fuori della legittima difesa, consentita alle peacekeeping) affinché ad esse sia riconosciuto lo stesso «diritto alla protezione accordata ai civili e alle proprietà civili previste dal diritto internazionale dei conflitti armati»: la condizione è quella pertanto soddisfatta nei limiti del mandato ex Capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite, ed è stata certamente osservata nell’azione di pacificazione sinora espletata dalle forze Unifil con forti autolimitazioni per evitare l’escalation. Alle proteste ufficiali, Israele deve rispondere con informazioni chiare, e la disponibilità ad un’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite e delle Corti internazionali.

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maurizio delli santi

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