In più occasioni la Corte Costituzionale ha affermato che “il trattamento di quiescenza , al pari della retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro (del quale lo stato di pensionamento costituisce il naturale prolungamento), deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore (ora pensionato) ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa. Tale proporzionalità e adeguatezza devono sussistere non soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche successivamente, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta, secondo valutazioni riservate, anche con riguardo alle disponibilità finanziarie, alla discrezionalità legislativa purchè esercitata in modo non irragionevole e arbitrario”.
Recentemente la stessa Corte, trattando del blocco della perequazione automatica delle pensioni di importo superiore ad otto volte il trattamento minimo INPS voluto dal Governo Prodi per l’anno 2008, pur ribadendo con sentenza n° 316 del 2010 che “la garanzia costituzionale della adeguatezza e della proporzionalità del trattamento pensionistico, cui lo strumento della perequazione automatica è certamente finalizzato, incontra il limite delle risorse disponibili”, nel’occasione ha, altresì sottolineato che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta”
E’ una apertura, sia pure modesta, alle giuste rivendicazioni dei pensionati il cui reddito da pensione, in quanto sganciato dalla dinamica salariale, se non viene adeguatamente tutelato e rivalutato con riferimento alle variazioni del costo della vita, finisce presto con l’impoverirsi decisamente perdendo, a fronte della costante crescita nel tempo dei prezzi dei beni e dei servizi destinati al consumo delle famiglie, l’originario “potere di acquisto”.
Va da sé, infatti, che le reiterate sospensioni del meccanismo perequativo, comportando di fatto una sostanziale decurtazione del “valore” delle pensioni, finiscono col disconoscere l’incidenza obiettiva della erosione inflazionistica sui redditi considerati con gravi ripercussioni sulle economie delle famiglie che vedono sempre più impoverita la loro fonte (spesso unica) di reddito.
Non tenendo in alcun conto dell’avvertimento della Corte Costituzionale il Parlamento, su iniziativa del Governo Monti, di recente è nuovamente intervenuto in materia disponendo, questa volta addirittura per due anni (2012 e 2013), la sospensione della perequazione automatica delle pensioni di importo mensile superiore a tre volte il trattamento minimo INPS (circa 1.400 euro mensile al lordo delle ritenute fiscali).
Una fascia reddituale decisamente bassa che ha fortemente penalizzato oltre sei milioni di pensionati che, a fronte di una crescente inflazione (pari a + 2,7% nel 2012 e + 3,0% nel 2013) si son visti decisamente impoverire ulteriormente il trattamento pensionistico in godimento contro ogni logica e in dispregio di diritti costituzionalmente tutelati.
Il “danno economico” arrecato ai pensionati destinatari del provvedimento è estremamente rilevante non solo per gli anni in cui opera il blocco, ma anche per il futuro atteso che, in difetto di qualunque previsione di recupero negli anni successivi, tale danno si protrae ininterrottamente all’infinito fino ad incidere sulla misura delle pensioni di reversibilità, ove spettanti ai superstiti.
Da qui il dubbio di legittimità costituzionale del provvedimento in interesse atteso che lo stesso verrebbe a ledere taluni principi sanciti dal dettato costituzionale, in particolare quelli della “uguaglianza”, della“adeguatezza” e della “proporzionalità” della retribuzione differita tutelati dagli articoli 3 e 36 Cost., nonché dei principi della capacità contributiva e del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche di cui all’art. 53 Cost.
Ad essere violati sarebbero anche i principi della certezza del diritto e dell’affidamento del cittadino nella sicurezza sociale quali solennemente sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo le cui indicazioni, ai sensi dell’art. 117 Cost., costituiscono “vincoli” da rispettare necessariamente in sede di “esercizio della potestà legislativa” da parte del Parlamento. In particolare sarebbero violati il diritto dell’individuo alla libertà ed alla sicurezza (art. 6), il diritto di non discriminazione che include anche quella fondata sul patrimonio (art. 21), il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente (art. 25), il diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale (art. 33) nonché il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale (art. 34).
A sollevare la questione di legittimità costituzionale sono stati, nel tempo, il Tribunale di Palermo, la Corte dei Conti della Regione Liguria e la Corte dei Conti della Regione Emilia Romagna (quest’ultima con due ordinanze).
La legittimità costituzionale del provvedimento in interesse sarà esaminata dai giudici costituzionali nell’udienza pubblica fissata per il 10 marzo 2015. La pronuncia è attesa dai pensionati serenamente con la certezza che l’iniquità del blocco della rivalutazione automatica delle pensioni, ai fini di un loro adeguamento alle variazioni del costo della vita quali periodicamente accertate dall’ISTAT, sarà definitivamente cancellata con una sentenza rispettosa dei principi posti a fondamento del vivere civile in un contesto di garanzie, di diritti e di certezze quali sanciti dalla Costituzione Italiana nel rispetto anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
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