Atti preparatori: la rilevanza penale

Esiste una significativa discussione giurisprudenziale intorno alla rilevanza penale degli atti preparatori in relazione al delitto tentato.

Negli ultimi anni si è sviluppata una significativa discussione giurisprudenziale intorno alla rilevanza penale degli atti preparatori in relazione al delitto tentato.
Sebbene vi siano opinioni divergenti, l’orientamento prevalente sembra riconoscere l’importanza di tali atti, attribuendo loro una funzione determinante nell’inquadrare le fasi iniziali del reato, almeno quando siano univocamente diretti verso la sua esecuzione.
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Indice

1. La distinzione tra atti preparatori ed esecutivi


Per comprendere meglio tale vexata quaestio, è essenziale chiarire che gli atti preparatori si distinguono dagli atti esecutivi per il fatto che questi ultimi implicano già un diretto coinvolgimento nell’azione delittuosa.
L’atto preparatorio, invece, include tutte quelle condotte prodromiche all’esecuzione del reato, come l’acquisto di strumenti necessari (ad esempio una pistola per una rapina) o la pianificazione di incontri per accordi corruttivi.
Tali attività, pur essendo potenzialmente pericolose, non rappresentano ancora l’inizio dell’esecuzione, ma si collocano in una fase anteriore e preparatoria. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

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Codice penale e di procedura penale e norme complementari

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2. Il principio dell’univocità e la sua applicazione pratica


Secondo il brocardo “cogitationis poenam nemo patitur” non è possibile punire i semplici pensieri criminali.
Questo principio è rispettato anche nel contesto degli atti preparatori, in quanto non tutti gli atti che precedono l’esecuzione di un delitto sono penalmente rilevanti.
Infatti, la giurisprudenza ha chiarito che solo quegli atti preparatori che si collocano in una fase avanzata, prossima all’esecuzione, e che presentano un elevato grado di univocità possono essere considerati rilevanti.
Per essere punibili, tali atti devono essere idonei a dimostrare chiaramente l’intenzione criminale e la probabilità che il reato sia commesso, salvo circostanze imprevedibili e indipendenti dalla volontà dell’agente.

3. Le sentenze della Suprema Corte e la configurazione del tentativo punibile


In varie pronunce, la Cassazione ha ribadito che, per configurare un tentativo punibile, non è necessario limitarsi agli atti esecutivi veri e propri.
Anche gli atti preparatori possono configurare un tentativo, a condizione che si tratti di attività che mostrino una concreta e avanzata progressione verso il delitto.
La Corte ha, ad esempio, riconosciuto la punibilità per tentata rapina in casi in cui l’agente aveva già pianificato il crimine nei dettagli e aveva compiuto appostamenti o acquistato le armi necessarie.
Tuttavia, la giurisprudenza sottolinea che non tutti gli atti preparatori sono rilevanti.
Solo quelli che rivelano chiaramente l’intenzione criminosa dell’agente e che rendono probabile la commissione del reato, salvo eventi imprevedibili, possono essere puniti.
Il criterio guida è, dunque, l’univocità dell’azione che deve essere talmente avanzata da rendere evidente l’intenzione criminale.

4. L’evoluzione normativa e il ruolo dell’art. 56 c.p.


Un’analisi sistematica e storica della norma che regola il tentativo di delitto, l’art. 56 c.p., suggerisce che la punibilità degli atti preparatori è coerente con l’impianto del codice.
Nel vecchio Codice Zanardelli, il tentativo era punito solo quando si entrava nella fase esecutiva del delitto.
Ciononostante, con l’attuale formulazione dell’art. 56 c.p., si è superata la rigida distinzione tra atti preparatori ed esecutivi, abbracciando una visione più ampia: ogni atto idoneo e univoco, sebbene preparatorio, può essere punibile, se diretto in modo chiaro e inequivocabile alla realizzazione di un delitto.

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5. Interpretazione letterale e logica del tentativo


L’art. 56 c.p., oltre che sotto un profilo storico e sistematico, trova conferma della propria estensione anche in un’interpretazione letterale.
Tale norma prevede, infatti, che per configurare il tentativo non è necessario che l’agente arrivi a compiere atti esecutivi veri e propri, bensì basta che ponga in essere atti idonei alla realizzazione del delitto.
Questo approccio è confermato anche dalle disposizioni che riguardano la desistenza volontaria e il recesso attivo.
Il codice distingue, infatti, tra chi desiste volontariamente dall’esecuzione, che non viene punito, e chi, invece, impedisce volontariamente la realizzazione del reato dopo aver già iniziato a compiere atti preparatori o esecutivi, il quale è soggetto a una pena attenuata.

6. Considerazioni conclusive


In conclusione, l’attuale interpretazione giurisprudenziale offre una visione dinamica e flessibile del tentativo di reato, attribuendo rilevanza penale anche agli atti preparatori. L’anticipazione della tutela penale rispetto alla fase esecutiva del reato è giustificata non solo dalla pericolosità delle condotte preparatorie, ma anche dalla necessità di prevenire in modo efficace la consumazione di delitti.
La giurisprudenza, quindi, attribuisce un peso crescente alla capacità degli atti preparatori di prefigurare concretamente la realizzazione del reato, rendendo punibile anche il semplice avanzamento nella progressione criminale, purché idoneo e univoco.

Nicolò Pigatto Zanotti

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