In questa prospettiva, la sentenza in esame (§§ 79 e ss.) “rammenta che, ai sensi dell’articolo 46, le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive1 rese dalla Corte sulle controversie nelle quali sono parti, e il Comitato dei Ministri è incaricato di vigilare sull’esecuzione di tali sentenze. Ne consegue in particolare che, quando la Corte conclude per l’esistenza di una violazione, lo Stato convenuto ha l’obbligo giuridico di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, se del caso, individuali, da integrare nel proprio ordinamento giuridico interno al fine di porre un termine alla violazione constatata e di eliminarne, per quanto possibile, le conseguenze (si vedano, tra le altre, Xenides-Arestis c. Turchia, n. 46347/99, §§ 39-40, 22 dicembre 2005; Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 233, CEDU 2006-V; Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 192, CEDU 2004-V; Bottazzi c. Italia [GC], n. 34884/97, § 22, CEDU 1999-V; e Di Mauro c. Italia [GC], n. 34256/96, § 23, CEDU 1999-V). Lo Stato deve altresì adottare tali misure nei confronti delle altre persone che si trovano nella stessa situazione del o dei ricorrenti, in quanto il suo obiettivo deve essere in particolare quello di risolvere i problemi che hanno portato la Corte alla constatazione di violazione (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000-VIII; Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], n. 28957/95, § 120, CEDU 2002 VI; Lukenda c. Slovenia, n. 23032/02, § 94, CEDU 2005 X; e S. e Marper c. Regno Unito [GC], nn. 30562/04 e 30566/04, § 134, CEDU 2008). Nell’ambito dell’esecuzione delle sentenze della Corte, il Comitato dei Ministri sottolinea costantemente tale obbligo (Bourdov c. Russia (n. 2), n. 33509/04, § 125, CEDU 2009; si vedano, in particolare e tra le altre, le risoluzioni ResDH(97)336, IntResDH(99)434, IntResDH(2001)65 e ResDH(2006)1).
80. In linea di principio, non spetta alla Corte definire quali possano essere le misure di riparazione appropriate che lo Stato convenuto può adottare per adempiere ai propri obblighi rispetto all’articolo 46 della Convenzione. Tuttavia, quando è stato rilevato un malfunzionamento nel sistema nazionale di tutela dei diritti dell’uomo, la Corte ha cura di agevolarne la soppressione rapida e effettiva (Driza c. Albania, n. 33771/02, § 125, CEDU 2007 XII, e Vyerentsov c. Ucraina, n. 20372/11, § 94, 11 aprile 2013).
81.Nella presente causa, la Corte ha concluso per la violazione dell’articolo 142 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 83, a causa dell’impossibilità per i ricorrenti, al momento della nascita della figlia, di far iscrivere quest’ultima nei registri dello stato civile attribuendole il cognome della madre. Tale impossibilità derivava da una lacuna del sistema giuridico italiano, secondo il quale il «figlio legittimo»4 è iscritto nei registri dello stato civile con il cognome del padre, senza possibilità di deroga, nemmeno in caso di consenso tra i coniugi in favore del cognome della madre. Quando ha constatato l’esistenza di una lacuna nella legislazione nazionale, la Corte normalmente ne individua la causa al fine di aiutare lo Stato contraente a trovare la soluzione appropriata e il Comitato dei Ministri a vigilare sull’esecuzione della sentenza (si vedano, ad esempio, Maria Violeta Lăzărescu c. Romania, n. 10636/06, § 27, 23 febbraio 2010; Driza, sopra citata, §§ 122-126; e Ürper e altri c. Turchia, nn. 14526/07 e altri, §§ 51 e 52, 20 ottobre 2009). Tenuto conto della situazione sopra constatata, la Corte ritiene che dovrebbero essere adottate riforme nella legislazione e/o nella prassi italiane al fine di rendere tale legislazione e tale prassi compatibili con le conclusioni alle quali è giunta nella presente sentenza, e di garantire che siano rispettate le esigenze degli articoli 8 e 14 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Vyerentsov, sopra citata, § 95)”5.
Si noti infine come la richiamata sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non sia ancora divenuta definitiva (6)
Cittadino bipolide nato in Italia: l’Ufficiale di stato civile italiano, nel momento in cui forma l’atto di nascita del bambino, su richiesta dei genitori (che agiscono in veste di rappresentanti legali del minore), attribuisce il cognome in applicazione della legge della seconda cittadinanza7.
Come riferito, hanno aderito a questa impostazione, ordinando la rettificazione dei corrispondenti atti di nascita Trib Verona , Decreto 15 gennaio 2009 e Trib. Trento, Decr. 29 giugno 2012 in caso di minori cittadini italiani e francesi ai quali i genitori avevano chiesto di attribuire il solo cognome materno così come consentito dalla legge francese.
Gli Ufficiali di stato civile italiani avevano invece ritenuto ─ erroneamente8 ─ di fare applicazione dell’art. 19 L. 218/959.
Segue l’estensione dell’attribuzione cognome al cittadino bipolide (cittadino italiano e cittadino di un Paese extra U.E.) del cognome spettante secondo lo Stato extra U.E.: Trib. Lamezia Terme, Decr. 25 gennaio 2010.
La Convenzione dell’Aja 8 settembre 1982 prevede ad ogni modo l’emissione di un certificato da cui risultino i vari cognomi che identificano la stessa persona nei vari ordinamenti degli Stati di cui è cittadina.
E’ stato autorevolmente affermato che il cognome “gode di una distinta tutela nella sua funzione di strumento identificativo della persona e che, in quanto tale, costituisce parte essenziale ed irrinunciabile della personalità”; il diritto al nome e all’identità personale costituisce il bene di ogni singolo individuo a “essere se’ stesso, inteso come rispetto dell’immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l’individuo.
L’identità personale costituisce quindi un bene per se’ medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno e’ riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata” (Corte Cost., sentenza del 3 febbraio 1994, n. 13).
Anche la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che il cognome non svolge la sola funzione pubblicistica di identificare gli appartenenti a un determinato nucleo familiare “ma assolve a una fondamentale funzione di natura privatistica, quale strumento identificativo della persona. La protezione dell’identità personale […] trova […] il suo nucleo centrale nella tutela del nome” (Cass., Sez. I, sentenza n. 12641/2006).
Come anticipato sub nota n. 14, ci si sofferma ora brevemente sulla disciplina che la legge italiana prevede per l’attribuzione del prenome.
Gli articoli 34 e ss. D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, stabiliscono, in particolare, che non è possibile imporre al bambino:
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lo stesso nome del padre (nemmeno, come invece è possibile negli USA, se il nome del figlio dovesse essere seguito da “Junior”) vivente (se il padre si chiama Lorenzo e il figlio viene chiamato Lorenzo Maria, senza virgole, non ci sono problemi, anche se Maria è femminile ma preceduto da Lorenzo è chiaro che si tratta di un nome composto maschile);
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lo stesso nome di un fratello o di una sorella viventi;
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cognomi come nomi (ad es. non è possibile attribuire come prenome “Maradona” al neonato che di cognome è “Rossi”;
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nomi ridicoli [come ad esempio al bambino il prenome Dario o alla bambina prenome Dina che hanno come cognome Lampa; lo stesso dicasi per Perla (prenome) Pace (cognome), Tromba Daria, Bigo Dino, Licenziato Assunto; parimenti, a chi spetta il cognome “Vigile” o “Sabatino” non può essere attribuito, rispettivamente, il nome “Urbano” oppure “Domenica”] o vergognosi, essendo invece non più previsto il divieto di dell’attribuzione di prenomi geografici come Italia, Europa o America per i quali vi era comunque una certa tolleranza. Il prenome era accettata in quanto legato alla mitologica ninfa greca figlia di Oceano e Teti e madre di Prometeo-
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I nomi stranieri che sono imposti ai bambini aventi la cittadinanza italiana, devono essere espressi in lettere dell’alfabeto italiano, con la estensione alle lettere: J, K, X, Y, W e, dove possibile, anche con i segni diacritici (dieresi, accenti circonflessi, cedija, tilde ecc. ecc.) propri dell’alfabeto della lingua di origine del nome. Quindi, per esempio, un nome giapponese o cinese, può essere attribuito anche a un bambino solo cittadino italiano, ma il nome deve essere scritto con caratteri alfabetici e non in ideogrammi. Mentre un nome scandinavo può contenere caratteri come ö, ä, å.
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nome corrispondente al sesso (sulla possibilità di attribuire il prenome Andrea anche a un neonato di sesso femminile, in quanto nome sessualmente neutro: Cass. Civ., Sez. I, 20/12/2012, n. 20385)
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non si possono dare come prenome più di tre prenomi separati. In caso di più nomi, se il secondo e/o il terzo nome sono separati da virgola, negli estratti e nei certificati rilasciati dall’Ufficiale di stato civile e di anagrafe viene riportato solo il primo dei nomi (art. 35, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 come modificato dall’art. 5, comma 2, L. 10 dicembre 2012, n. 219).
Altresì, l’art. 34, comma 4, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 prevede che se il dichiarante, pur avvertito dall’Ufficiale di Stato Civile che il prenome che intende attribuire al minore non è consentito, persiste nel suo proposito, l’Ufficiale di stato civile non può rifiutarsi (come in passato) di attribuire al bambino il nome indicato dal genitore ma deve formare l’atto di nascita con prenome (che si ritiene non consentito) voluto dal dichiarante; in tale evenienza l’Ufficiale di stato civile deve darne immediatamente notizia al competente Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario ai fini dell’eventuale promovimento del giudizio di rettificazione (artt. 95 ss. D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) e informando di ciò il/i genitore/i.
Al bambino cittadino straniero si applicano le norme dettate dalla sua legge nazionale in tema di nome; se segue, pertanto, la stessa procedura descritta per l’attribuzione del cognome e cioè che se l’Ufficiale di stato civile non conosce il diritto straniero da applicare al caso di specie, applica la disposizioni nazionali e ne informa l’Autorità dalla quale dipende, ma quid iuris se il dichiarante vuole attribuire un prenome non conforme al diritto nazionale ? Si ritiene che in tal caso l’Ufficiale dello stato civile debba in ogni caso dare applicazione a quanto previsto dall’art. 34, comma 4, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e, quindi, forma l’atto di nascita con il prenome scelto dal dichiarante, informandone l’Autorità dalla quale dipende (Prefetto competente per territorio) e dando notizia al competente Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario ai fini dell’eventuale promovimento del giudizio di rettificazione e informando di ciò il/i genitore/i.
Il prenome potrà essere modificato mediante annotazione a margine dell’atto di nascita su ordine dell’Autorità Giudiziaria e/o su documentazione del Paese di provenienza debitamente legalizzata/postillato e tradotta in lingua italiana.
Nell’ordinamento italiano l’attribuzione del nome ai cittadini italiani spetta congiuntamente ai genitori (artt. 316 e 317-bis C.C.) nel momento in cui gli stessi rendono la dichiarazione di nascita, sulla cui base l’Ufficiale di stato civile forma l’atto di nascita.
In caso di disaccordo far i genitori, gli stessi si dovranno rivolgere al Tribunale per i Minorenni (art. 316, 3 comma del Codice Civile).
Il giudice suggerirà le determinazioni che riterrà più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare; laddove i genitori non trovassero un accordo, il giudice attribuirà il potere di decisione al genitore che risulterà più idoneo a curare l’interesse del figlio.
Tale procedura è lunga, come ci si comporta nel frattempo l’Ufficiale di Stato Civile che deve formare l’atto di nascita? L’atto viene comunque formato con il nome comunicato da chi ha compiuto la dichiarazione di nascita o, in mancanza, dall’ufficiale di stato civile, si procederà poi ad eventuale rettifica all’esito del giudizio davanti al Tribunale per i minorenni.
Quando la scelta non venga compiuta oppure non si conoscano i genitori10, vi provvede l’Ufficiale di stato civile (art. 29 D.P.R., 3 novembre 2000, n. 396).
Si noti, da ultimo, come talora anche il legislatore utilizza il termine “nome” per indicare soltanto il prenome: si intende, in particolare, alludere agli artt. 33, comma 211 e 602 sempre comma 212 C.C., agli artt. 34 e ss. Regolamento per l’ordinamento di Stato Civile13, all’art. 51, nn. 2 e 3 della Legge Notarile14.
Dr. Paolo Richter Mapelli Mozzi
1 Di cui si riporta di seguito il testo integrale: “Sentenze definitive. – 1. La sentenza della Grande Camera è definitiva.
2. La sentenza di una Camera diviene definitiva:
a) quando le parti dichiarano che non richiederanno il rinvio del caso dinnanzi alla Grande Camera; oppure
b) tre mesi dopo la data della sentenza, se non è stato richiesto il rinvio del caso dinnanzi alla Grande Camera; oppure
c) se il Collegio della Grande Camera respinge una richiesta di rinvio formulata secondo l’art. 43.
3. La sentenza definitiva è pubblicata”. (articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con l. 28 agosto 1997, n. 296).
2 “Divieto di discriminazione – Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere garantito senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. La rubrica “Divieto di discriminazione” è stata aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con legge 28 agosto 1997, n. 296.
3 “Diritto al rispetto della vita privata e familiare – 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
La rubrica “Diritto al rispetto della vita privata e familiare” è stata aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con legge 28 agosto 1997, n. 296.
4 Ora figlio concepito o nato durante il matrimonio (art. 231 Codice Civile, come sostituito ad opera dell’art. 8, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in vigore dal 7 febbraio 2014).
5 Il testo originario della sentenza in esame è in lingua francese, che si riporta in parte qua, con evidenziate le stesse parti in grassetto riportate nella corrispondente traduzione italiana; quest’ultima è stata predisposta dal Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata e rivista da Anna Aragona, Rita Pucci, Rita Carnevali e Martina Scantamburlo, funzionari linguistici.
“79. La Cour rappelle que, aux termes de l’article 46, les Hautes Parties contractantes s’engagent à se conformer aux arrêts définitifs rendus par la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties, le Comité des Ministres étant chargé de surveiller l’exécution de ces arrêts. Il en découle notamment que, lorsque la Cour conclut à l’existence d’une violation, l’État défendeur a l’obligation juridique de choisir, sous le contrôle du Comité des Ministres, les mesures générales et/ou, le cas échéant, individuelles à intégrer dans son 16 ARRÊT CUSAN ET FAZZO c. ITALIE ordre juridique interne afin de mettre un terme à la violation constatée et d’en effacer autant que possible les conséquences (voir, entre autres, Xenides-Arestis c. Turquie, no 46347/99, §§ 39-40, 22 décembre 2005 ; Scordino c. Italie (no 1) [GC], no 36813/97, § 233, CEDH 2006-V ; Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, § 192, CEDH 2004-V ; Bottazzi c. Italie [GC], no 34884/97, § 22, CEDH 1999-V ; et Di Mauro c. Italie [GC], no 34256/96, § 23, CEDH 1999-V). L’Etat doit également prendre ces mesures vis-à-vis des autres personnes se trouvant dans la même situation que le ou les requérants, son objectif devant notamment être de résoudre les problèmes qui ont conduit la Cour à son constat de violation (Scozzari et Giunta c. Italie [GC], nos 39221/98 et 41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII ; Christine Goodwin c. Royaume-Uni [GC], no 28957/95, § 120, CEDH 2002-VI ; Lukenda c. Slovénie, no 23032/02, § 94, CEDH 2005-X ; et S. et Marper c. Royaume-Uni [GC], nos 30562/04 et 30566/04, § 134, CEDH 2008). Dans le cadre de l’exécution des arrêts de la Cour, le Comité des Ministres souligne sans cesse cette obligation (Bourdov c. Russie (no 2), no 33509/04, § 125, CEDH 2009 ; voir, notamment et entres autres, les résolutions ResDH(97)336, IntResDH(99)434, IntResDH(2001)65 et ResDH(2006)1).
80. En principe, il n’appartient pas à la Cour de définir quelles peuvent être les mesures de redressement appropriées de la part de l’Etat défendeur pour s’acquitter de ses obligations au regard de l’article 46 de la Convention. Cependant, lorsqu’un dysfonctionnement a été décelé dans le système national de protection des droits de l’homme, la Cour a le souci d’en faciliter la suppression rapide et effective (Driza c. Albanie, no 33771/02, § 125, CEDH 2007-XII, et Vyerentsov c. Ukraine, no 20372/11, § 94, 11 avril 2013).
81. Dans la présente affaire, la Cour a conclu à la violation de l’article 14 de la Convention, combiné avec l’article 8, en raison de l’impossibilité pour les requérants, lors de la naissance de leur fille, de faire inscrire celle-ci dans les registres d’état civil avec comme nom de famille celui de sa mère. Cette impossibilité découlait d’une défaillance du système juridique italien, selon lequel tout « enfant légitime » est inscrit dans les registres d’état civil avec comme nom de famille celui du père, sans possibilité de dérogation même en cas de consensus entre les époux en faveur du nom de la mère. Lorsqu’elle a constaté l’existence d’une défaillance dans la législation interne, la Cour a eu pour habitude d’en identifier la source afin d’aider l’Etat contractant à trouver la solution appropriée et le Comité des Ministres à surveiller l’exécution du jugement (voir, par exemple, Maria Violeta Lăzărescu c. Roumanie, no 10636/06, § 27, 23 février 2010 ; Driza, précité, §§ 122-126 ; et Ürper et autres c. Turquie, nos 14526/07 et autres, §§ 51 et 52, 20 octobre 2009). Compte tenu de la situation constatée ci-dessus, la Cour estime que des réformes dans la législation et/ou la pratique italiennes devraient être adoptées afin de rendre cette législation et cette pratique compatibles avec les conclusions auxquelles elle est parvenue dans le présent arrêt, et d’assurer le respect des exigences des articles 8 et 14 de la Convention (voir, mutatis mutandis, Vyerentsov, précité, § 95)”.
6 Cfr. sub nota n. 46.
7 Muovendo dal presupposto che la prima cittadinanza sia quella italiana.
8 In primis perché trattasi di regola incompatibile con il principio di non discriminazione sancito dalla sentenza Garcia Avello (in tal senso, cfr. richiamato Decreto Trib. Di Trento del 29 giugno 2012) e, in secundis, perché l’art. 19 L. 218/95 è una norma di diritto interno italiana, che regola il funzionamento della legge italiana di diritto internazionale privato e non può essere applicata ala norme di conflitto contenute in trattati internazionali. L’art. 2, comma 1, L. 218/95 prevede infatti che “Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia”.
9 Sopra riportato nel testo integrale.
10 Nel qual caso “non possono essere imposti nome o cognomi che facciano intendere l’origine naturale, o cognomi di importanza storica o appartenenti a famiglie particolarmente conosciute nel luogo in cui l’atto di nascita è formato” (art. 34, comma 3, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396), come, ad esempio, il prenome “Esposito” o “Diotallevi”, che a tutt’oggi hanno una notevole diffusione a livello nazionale.
11 Che così recita: “Nel registro [n.d.r.: delle persone giuridiche] devono indicarsi la data dell’atto costitutivo e quella del decreto di riconoscimento, la denominazione, lo scopo, il patrimonio, la durata, qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica e il cognome e il nome degli amministratori con la menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza”.
12 In virtù del quale “La sottoscrizione [n.d.r.: del testamento olografo] deve essere posta alla fine delle disposizioni. Se anche non è fatta indicando nome e cognome, è tuttavia valida quando designa con certezza la persona del testatore”.
13 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
14 Legge 16 febbraio 1913 n. 89 secondo cui l’atto notarile deve, fra l’altro, contenere: “1) […]; 2) il nome, il cognome e l’indicazione della residenza del notaio e del distretto notarile nel cui ruolo è iscritto; 3) il nome, il cognome, la paternità, il luogo di nascita, il domicilio o la residenza delle parti, dei testimoni e dei fidefacienti […]”.
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