Limiti all’utilizzo delle misure di semplificazione amministrativa
I limiti – oggettivi – all’utilizzo dell’autocertificazione (rectius: delle misure di semplificazione amministrativa) sono esplicitati (principalmente) dall’art. 49, c. 1, del T.U. sulla documentazione amministrativa (1): “I certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore”.
La norma riproduce fedelmente l’art. 10, c. 1, del d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403, Regolamento di attuazione degli articoli 1, 2 e 3 della legge 15 maggio 1997, n. 127, in materia di semplificazione delle certificazioni amministrative.
La ratio delle – eterogenee – limitazioni è variamente argomentata. Secondo il Dipartimento della funzione Pubblica – progetto ‘Semplifichiamo’ (2) – “per quanto riguarda i certificati medici e sanitari prevale l’interesse primario alla tutela della salute, rispetto a quello della semplicità per i cittadini”.
Nella Relazione (di accompagnamento) allo schema di regolamento per l’attuazione dell’art.1 della legge 15 maggio 1997, n.127, in materia di semplificazione amministrativa (id est: al d.P.R. 403/1998), si legge che “alle tre grandi categorie di strumenti per la sostituzione di certificati ad ampio raggio disciplinate dai Capi I e II si affianca un’altra categoria di certificati e certificazioni”, ovvero “quei certificati che non possono essere sostituiti con altri strumenti in grado di fornire certezze giuridiche dotate dello stesso grado di attendibilità”. Si aggiunge che “gli interessi individuali e collettivi connessi con le certezze giuridiche di cui sono portatori tali certificati sono tali da non consentire una semplificazione basata sulla loro sostituzione con altri strumenti di certezza né, tantomeno, sulla loro eliminazione dall’ordinamento”, pur potendosi “introdurre forme di semplificazione organizzativa, riguardanti cioè diverse modalità per la richiesta e l’utilizzo di tali certificati (un esempio in tal senso è l’art. 11, comma 2, relativo all’acquisizione di certificati medici da parte delle segreterie delle scuole)”.
In definitiva, si precisa, “il caso di questa categoria residuale di certificati non sostituibili con altri strumenti di certezza si colloca all’estremo opposto rispetto alle categorie di cui ai Capi I e II, per le quali le esigenze di semplificazione e quelle di certezza erano conciliabili attraverso un intervento di eliminazione di certificati per sostituzione con strumenti più agili e meno onerosi per i cittadini. In questo caso, viceversa, gli interessi cui fanno riferimento i certificati in questione sono tali per cui non essendo le due esigenze conciliabili deve prevalere quella di certezza”.
Ad avviso di autorevole dottrina, “per tutte le amministrazioni l’utilizzo dei tradizionali certificati diventa, comunque, residuale e di fatto viene limitato a quei casi particolari in cui, per la natura dei dati da certificare e per il tipo di operazioni richieste dall’attività di certazione, non è possibile il ricorso alla dichiarazione dell’interessato: ci si riferisce, in particolare, ai casi individuati dall’art. 10 del regolamento in esame che, in un vero e proprio «elenco di eccezioni» alla regola dell’autocertificazione, menziona i certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità Ce, di marchi e brevetti” (3). Lo stesso autore precisa, poi, che “oggi l’utilizzo dei normali certificati nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi viene limitato a quei particolari casi in cui, per la natura dei dati da certificare e per il tipo di operazioni richieste dall’attività di ‘certazione’, non è possibile il ricorso alla dichiarazione dell’interessato (…riferendosi ai casi individuati dall’art. 49 del d.p.r. 445/2000…ndA)” (4).
Altra dottrina pone l’accento, ora sul fatto che le certificazioni in parola “richiedono una particolare competenza tecnica e specialistica del soggetto dichiarante” (5), ora sulla necessità di preservare “la garanzia di autenticità per i documenti emessi in determinati settori più delicati di altri” (6).
Quanto alla ‘natura’ della norma, è da rilevare che le limitazioni in parola afferiscono all’alveo regolamentare (…con le relative conseguenze quanto alla ‘fonte’ – eventualmente – abrogatrice …). Il provvedimento che le ricomprende , infatti, è un c.d. testo unico misto (7), in cui coesistono norme legislative e norme regolamentari; e tale è, appunto, l’art. 49.
Il decreto legge 73/2017
Prima del 2017, erano quattro le vaccinazioni (pediatriche) obbligatorie in Italia: l’antidifterica (l. 891/1939), l’antitetanica (l. 292/1963), l’antipolio (l. 51/1966) e l’antipatite B (l. 65/1991).
Tratto comune alle vaccinazioni suddette era il divieto di accesso ai servizi scolastici per i bambini non vaccinati (art. 47 d.P.R. 1518/1967) e la previsione di una sanzione penale a carico dei genitori inadempienti, affiancata – nei casi più gravi – allo strumento previsto dall’art. 333 c.c.. Successivamente, però, si revocò il divieto (di accesso) in parola (art. 1 d.P.R. 355/199) e si procedette alla depenalizzazione, prevedendo – blande – sanzioni amministrative (l. 689/1991).
Alle vaccinazioni obbligatorie si affiancarono, alla fine degli anni ’90, cinque vaccinazioni raccomandate: morbillo, rosolia, parotite, pertosse ed Haemophilus influenzae.
In tal modo, com’è stato rilevato, “si diede origine … a un sistema dove tra vaccinazioni obbligatorie e vaccinazioni raccomandate non si percepiva differenza alcuna, esistendo anzi una sostanziale equiparazione basata sulla loro uguale utilità sanitaria” (8). Si raggiunsero, in tal modo, percentuali assai significative di bambini vaccinati, tali da assicurare la c.d. immunità di gregge.
Contemporaneamente, due fattori contribuirono a destabilizzare il sistema: l’affermarsi di movimenti di opinione contrari alle vaccinazioni, per una (asserita) pericolosità delle stesse, e il progressivo coinvolgimento delle regioni, culminato con il riconoscimento – grazie alla riforma costituzionale del 2001 – della potestà concorrente: è lo Stato ad avere competenza esclusiva nello stabilire quali sono le “prestazioni sanitarie essenziali” (LEA) che devono essere garantite a tutti cittadini, mentre è responsabilità delle singole Regioni predisporre le modalità gestionali ed organizzative del servizio sanitario (9). Per effetto di tale assetto, sono possibili significative differenze non solo tra le regioni, ma anche all’interno della stessa regione.
Alla luce dell’Accordo Stato-Regioni del 2005 (10), in cui, tra l’altro, si ipotizzava un percorso volto – anche – alla possibile sospensione sperimentale dell’obbligo vaccinale, alcune regioni, privilegiano la scelta libera ed informata da parte dei genitori; nel Veneto, in particolare, la l.r. 3/2007 sancisce, seppur con alcuni accorgimenti – la sospensione dell’obbligo vaccinale per l’età evolutiva.
Con il decreto Lorenzin (11), il governo si propone sia di garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica, che di assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale, che, infine, di garantire il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea.
All’uopo, come rileva il massimo organo consultivo (12), si prevedono tre differenti regimi, rispettivamente, per gli anni scolastici 2017/2018, 2018/2019 e per quelli successivi. Per l’anno scolastico 2017/2018 si applica(va)no gli articoli 3 e 5 dell’articolato legislativo, sicché già vige(va) il divieto di accesso nel caso di mancata presentazione della documentazione idonea a comprovare l’adempimento dell’obbligo vaccinale; peraltro, essendo entrato in vigore ad iscrizioni (scolastiche) già perfezionate, il legislatore prevede(va) un regime transitorio – regolato dall’art. 5 – in relazione ai termini per la presentazione della documentazione.
Nell’anno scolastico 2018/2019 si applica unicamente l’articolo 3 e, quindi, i genitori (e le figure a questi equiparate) dovevano produrre la prescritta documentazione all’atto dell’iscrizione del minore (ossia entro il termine di scadenza dell’iscrizione o entro il successivo 10 luglio, qualora si fosse optato per l’iniziale presentazione di una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà), ferma restando la regola del divieto di accesso nell’ipotesi di mancata produzione della documentazione de qua. Infine, per gli anni scolastici 2019/2020 e successivi, si applicherà soltanto l’articolo 3-bis, recante il meccanismo semplificato e informatizzato, con la conseguenza che, qualora dal controllo effettuato sulle banche di dati delle aziende sanitarie locali risulti l’inadempimento dell’obbligo vaccinale, si produrrà l’effetto automatico della decadenza dall’iscrizione dell’alunno e, quindi, a maggior ragione varrà anche il divieto dell’accesso ai servizi scolastici.
La circolare Grillo-Busetti
In attesa di (eventuali) sviluppi legislativi (13), la circolare Grillo-Busetti (14) ha – sostanzialmente – esteso – anche – per l’anno scolastico 2018/2019 la possibilità di fruire della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (già) prevista dal decreto Lorenzin (oltre i termini ivi indicati). L’intervento ministeriale prescrive un ampliamento temporale dell’utilizzo dell’autocertificazione – per inciso, sia per le regioni (e province autonome) dotate di anagrafe vaccinale e che si siano avvalse della procedura semplificata ex art. 3 bis del d.l. 71/2017, che per le altre –, giustificandolo, rispetto all’opportunità, con “l’effetto, prodotto dall’intervento normativo del 2017, di arresto del trend in diminuzione delle coperture vaccinali”, consentendo, in tal modo, “di tenere in maggiore considerazione le esigenze di semplificazione dell’attività amministrativa, senza pregiudizio per l’interesse pubblico alla tutela della salute”, quanto all’aspetto (propriamente) giuridico, col fatto che l’art. 3, c. 1, del decreto Lorenzin “non prescrive che venga necessariamente consegnato alle istituzioni scolastiche, formative ed educative un certificato di avvenuta vaccinazione, ma, più in generale, qualsivoglia documentazione che possa essere considerata “idonea” a comprovare l’effettuazione, anche nel corso dell’anno scolastico e del calendario annuale, delle vaccinazioni obbligatorie” (15).
Com’è noto, la circolare de qua ha sollevato numerose polemiche, a vari livelli: politico, mediatico e, soprattutto, scolastico-sanitario.
Autocertificabilità del percorso vaccinale (?)
Diciamo subito che non giova alla causa dell’autocertificazione il parallelismo con la situazione del 2017, quando si accettava – tranquillamente – la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà: è evidente che là vi era la copertura – quale contro limite alla deroga (all’utilizzo dell’autocertificazione), stabilita dall’art. 49, c. 1, T.U. 445/2000 – “della normativa di settore”, costituita, appunto, dal d.l. 73/2017. Di contro, non è questa la sede per analizzare la complessa questione connessa al valore delle circolari, che costituisce una delle principali argomentazioni giuridiche addotte da quanti contestano il provvedimento in esame: basterà ricordare che – effettivamente – dottrina e giurisprudenza maggioritarie concordano sulla collocazione ordinamentale delle circolari, con conseguente applicazione del criterio gerarchico per la risoluzione delle antinomie.
Lasciando – per il momento – sullo sfondo le (superiori) esigenze di sanità pubblica, ci chiediamo se il certificato di vaccinazione possa rientrare nell’ambito dei certificati medici e/o sanitari, nell’ottica limitativa ex art. 49, c. 1, T.U. 445/2000, o non si risolva – piuttosto – in una mera riproduzione di dati sanitari (id est: vaccinazioni eseguite) registrati in pubblici elenchi.
Non ha dubbi il collegio dei professori ordinari di Pediatria, affermando che “questo importante risultato (…“un trend incrementale nella copertura vaccinale verso quella auspicata soglia di gregge del 95%, grazie alla quale meno bambini si ammaleranno e meno bambini presenteranno le temibili complicanze sopra citate”…ndA) non può essere messo in crisi da una Circolare Ministeriale che non solo confligge con la vigente normativa sulla certificazione delle vaccinazioni obbligatorie, ma contrasta anche con l’art. 49 del DPR 445/2000 cosiddetto della “sburocratizzazione”, che testualmente recita: “I certificati medici, sanitari, ……. non possono essere sostituiti da altro documento”” (16).
Per parte nostra – limitatamente, com’è ovvio, al profilo documentale – nutriamo qualche perplessità. Non intendiamo sostenere che il certificato di vaccinazione non sia un certificato che rientra nell’alveo medico-sanitario; vogliamo (tentare di) dimostrare, piuttosto, che non rientra in quella tipologia di certificazioni (medico-sanitarie), richiamate dal divieto autocertificativo.
Il certificato medico è variamente definito nella letteratura medico-giuridca. Secondo autorevole dottrina, “il certificato medico è una attestazione scritta relativa a fatti di natura tecnica, obiettivamente rilevati nell’esercizio professionale, dei quali l’atto è destinato a provare la verità”, con l’avvertenza che “non può definirsi tale il documento che contiene soltanto un giudizio personale di chi lo redige, senza menzionare la obiettività clinica che lo sottende” (17).
Ad avviso di altri, “il certificato medico (…è…) la testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può produrre affermazione di particolari diritti soggettivi previsti dalla legge, ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo o della collettività aventi rilevanza giuridica e/o amministrativa”, precisando che “i contenuti possibili del certificato medico sono non soltanto le dichiarazioni circa lo stato di salute o di malattia, ma ogni fatto di natura tecnico-sanitaria che il medico ha potuto riscontrare direttamente nell’esercizio della sua professione (ad esempio, la sottoposizione a vaccinazioni, l’idoneità al lavoro, l’idoneità alla pratica sportiva, la salubrità degli ambienti di lavoro, ecc.)”, cosicché vi rientrano “anche fattispecie che non riguardano soltanto la salute o la malattia, ma anche eventi come la nascita o la morte, che il medico è chiamato a constatare di persona” (18).
Altri, ancora, pongono l’accento sull’ “attestazione di fatti biologici tecnicamente obietti vati”, formulata dal certificato, che “in taluni casi deve, peraltro, riportare anche una valutazione del dato obiettivo constatato,valutazione che andrà svolta, a seconda della necessità, in riferimento alla idoneità al lavoro, alla frequenza scolastica, allo svolgimento delle attività sportive ed altri adempimenti” (19).
Si tende, infine, ad evidenziare “la specialità delle conoscenze professionali ed i margini valutativi cui è soggetta una certificazione medica, dal che l’altissimo grado di responsabilità (davvero insostituibile ) che si assume chi provvede alla certificazione” (20).
Il tratto comune (se non alla quasi totalità, certamente) alla maggioranza dei certificati medici ci sembra costituito da un (a sorta di) ‘apprezzamento’ del redigente; ciò che porta, da un lato, a chiedersi se, al di là della qualificazione formale non si sia (spesso, se non quasi sempre) in presenza di una certazione (21) o – quanto meno – di una certificazione impropria (22); dall’altro, a ricordare la distanza – (quanto meno) penalistica – tra (falsità in) atti pubblici e (falsità in) certificazioni amministrative (23).
Se si conviene su questi punti, riesce difficile negare la differenza tra l’attestazione (certazione, comunemente chiamata certificazione) medica ed il certificato di vaccinazione; là si è in presenza di una valutazione medico-clinica di natura complessa, caratterizzata da uno spazio valutativo (più o meno ampio), qui di una mera trasposizione, in forma certificativa, di quanto (già) registrato agli atti.
Ora, al cospetto di un assetto ordinamentale che: a) privilegia, in primis, lo scambio documentale tra gli apparati amministrativi; b) riconosce, poi, un ruolo assolutamente centrale al(l’istituto del) l’acquisizione d’ufficio, per effetto della quale, per un verso, “i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni”, salva la – sola – possibilità, per l’amministrazione procedente, di chiedere “agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti”, per l’altro, “sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare” (24); c) circoscrive, infine, grazie alla novella del 2011 (25), (la validità e) l’utilizzo delle certificazioni amministrative, relative a stati, qualità personali e fatti, ai soli rapporti interprivatistici, prescrivendo – nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi – la sostituzione dei certificati e degli atti di notorietà con le dichiarazioni sostitutive ex artt. 46 e 47 del T.U. 445/2000 (26), ed obbligando ad apporre sulle certificazioni predette – a pena di nullità – l’avvertenza concernente il divieto di produrle agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi (27); riesce difficile negare – sotto il profilo documentale – la possibilità che il genitore autocertifichi le vaccinazioni effettuate dal minore.
Diritto alla salute ed autonomia del singolo nella (lettura della) Carta costituzionale (offerta dalla dottrina e dal Giudice delle leggi)
Quanto abbiamo finora sostenuto, lo ripetiamo, in relazione all’aspetto – propriamente – documentale.
In un’ottica completamente diversa, ma certamente degna di (maggior) attenzione, si muove l’eccezione, all’utilizzo dell’autocertificazione e/o dell’acquisizione d’ufficio, fondata sulla (potenziale) lesione (costituzionale) della salute pubblica; anche se, pare opportuno sottolinearlo preliminarmente, se di eccezione – di matrice (sostanzialmente) costituzionale – si tratta, (questa) dovrebbe rilevare pure con riferimento alla scuola primaria, per la quale, invece, sembra indiscussa la copertura offerta dall’art. 47 del d.P.R. 1518/1967, com sostituito dall’art. 1, c. 1, del d.P.R. 355/1999.
Appare centrale – nella Carta costituzionale – l’at. 32, ai sensi del quale, per un verso, “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” (comma 1), per l’altro, “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (comma 2).
Si è premesso, in dottrina, che “la L. 13 maggio 1978, n. 180 , sugli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, il cui contenuto è confluito senza sostanziali modifiche nella L. 23 dicembre 1978, n. 833 , istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, ha poi introdotto nel sistema una normativa di carattere generale, che ha dato spunti di discussione dottrinaria, oltreché soluzioni giudiziarie contrastanti, in ragione soprattutto di una assoluta indistinzione fra trattamenti sanitari soltanto obbligatori e quelli anche coercitivi. A tal riguardo è stato sottolineato … che le vaccinazioni immuno-preventive, che possono definirsi generali in quanto obbligatorie per tutta la popolazione residente in Italia, sia pure in età infantile, devono distinguersi dai trattamenti coattivi, quali quelli disciplinati – per malattia mentale – dall’ art. 34 della legge n. 833/78, estranei alla fattispecie in esame, che come tutte le misure propriamente coercitive ricadono nella disciplina delle restrizioni della libertà personale dettata dall’art. 13 Cost; trattasi, infatti, di misure che raggiungono il loro obiettivo in virtù, non già della collaborazione più o meno spontanea dell’individuo che vi è sottoposto, ma dell’assoggettamento di quest’ultimo all’impiego della forza” (28).
Altra dottrina, premessa la sottolineatura tradizionale che “a differenza di altri beni costituzionalmente garantiti la cui limitazione può determinarsi anche a tutela di un diverso e non omogeneo interesse, il diritto del singolo di decidere se sottoporsi o meno ad un trattamento terapeutico, in altre parole il suo diritto alla salute come diritto individuale, può essere compromesso soltanto per la necessità di tutela della salute collettiva”, cosicché, in sostanza, “trattamenti sanitari potrebbero essere imposti solo quando fossero necessari, oltre che a curare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, anche a salvaguardare l’interesse pubblico, non ritenendosi sufficiente a legittimare la misura imposta il fatto che essa sia comunque diretta a migliorare le condizioni di vita del singolo”, rileva come “in passato, riconducendo il diritto alla salute tra i c.d. diritti sociali, il precetto costituzionale veniva interpretato soprattutto nel suo riferimento «all’interesse della collettività», attribuendosi così alla salute una rilevanza limitata ai soli rapporti tra Stato e cittadino …, (…mentre …) a partire dalla fine degli anni ’70 si è valorizzata la nozione di salute come fondamentale diritto dell’individuo, vale a dire come «diritto primario ed assoluto pienamente operante nei rapporti tra privati» … sulla base di una lettura coordinata dell’art. 32 con gli altri principi della Costituzione diretti a valorizzare la personalità individuale”; con la conseguenza che “se i trattamenti emotrasfusionali, non costituendo una misura sanitaria obbligatoria, non potrebbero essere imposti a fronte di un valido dissenso del soggetto interessato, viceversa, si deve ritenere legittima l’imposizione di quei trattamenti previsti da specifiche norme di legge, quali, ad esempio, vaccinazioni, esami diagnostici o, ancora, ricoveri ospedalieri in reparto d’isolamento, necessari a fini di tutela della salute collettiva”; in altri termini, “la possibilità di cure sanitarie più rispettose della personalità del paziente, farà dubitare della legittimità di una scelta che imponga uno specifico trattamento; se, tuttavia, tale trattamento è obbligatorio per legge, non sarà consentito il ricorso a terapie alternative”. Discorso diverso si deve fare “quando a dover essere curato è un minore; qui il problema non è più quello del rapporto tra libera determinazione dell’individuo e limiti imposti a tutela della salute pubblica, bensì di definire la natura del consenso che alla terapia medica sono chiamati ad esprimere i suoi genitori”, posto che “il potere dei genitori di consentire o rifiutare i trattamenti sanitari sulla persona del minore rientra nell’ambito dei diritti-doveri loro attribuiti dall’art. 30 Cost.”, affermandosi comunemente, sul punto, “che tale consenso non è dato dai genitori in qualità di rappresentanti legali dell’incapace, ma in attuazione dei compiti dei quali sono investiti istituzionalmente”, cosicché “il rifiuto di sottoporre il minore ad un determinata terapia può venire in conflitto con il loro dovere di provvedere alla cura ed alla salvaguardia della vita del figlio” (29).
Secondo altri, “tradizionalmente il diritto del singolo ad autodeterminarsi in merito alla possibilità di sottoporsi a un trattamento sanitario può essere sacrificato soltanto al fine di tutelare la salute collettiva; un dato trattamento può essere, dunque, imposto dalla legge solo se necessario, oltre che alla tutela della salute del soggetto che vi si sottopone, a garantire la protezione dell’interesse pubblico”. Peraltro, “la nuova centralità riconosciuta dall’ordinamento costituzionale alla persona ha condotto all’affermarsi dell’interesse del singolo al di sopra di quello della collettività, in ossequio ad una lettura del diritto alla salute che riconosce e difende il diritto del singolo ad autodeterminarsi nella vicenda della cura e della malattia”; qualora, però, si sia in presenza di un “trattamento terapeutico rivolto ai nuovi nati, il problema non è tanto quello di risolvere il conflitto tra libertà personale e interesse della collettività, quanto quello di definire la natura e i limiti del consenso alla vaccinazione che sono chiamati ad esprimere i genitori nell’interesse del figlio” (30).
Sul tema – specifico – della vaccinazione dei minori, si è evidenziato il principio – elaborato dalla giurisprudenza del S.C. – “per il quale in tema di sanzioni amministrative per la violazione dell’obbligo di relativa sottoposizione il dovere di tutelare la salute del minore da parte del genitore non può risolversi nella negazione, per propria convinzione, dell’esistenza dell’obbligo, o nel timore generico di un pregiudizio per il minore, ma deve concretarsi nella prospettazione di specifiche ragioni che nel singolo caso rendano la vaccinazione pericolosa, e nella dimostrazione di particolari controindicazioni, desunte dalla salute fisica del soggetto da vaccinare, o quanto meno di fatti concreti che siano comunque tali da giustificare l’erronea persuasione di un pericolo per il minore” (31).
Quanto alla giurisprudenza costituzionale, segnaliamo, tra i numerosi arresti:
1) Corte cost. 22 giugno 1990, n. 307 (32), dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della l. 51/1966, Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica, nella parte in cui non prevede, a carico dello Stato, un’equa indennità per il caso di danno derivante, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 2043 c.c., da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, riportato dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa dell’assistenza personale diretta prestata al primo: “Tale precetto (…art. 32 Cost…. ndA) nel primo comma definisce la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”; nel secondo comma, sottopone i detti trattamenti a riserva di legge e fa salvi, anche rispetto alla legge, i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Da ciò si desume che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.
Con riferimento, invece, all’ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute – e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell’imposizione del trattamento sanitario – implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l’essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito”.
2) Corte cost. 27 marzo 1992, n. 132 (33), dichiarativa dell’infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle norme della l. 51/1966, Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica, sollevata con riferimento agli artt. 32 e 34 Cost.: “La previsione di una (mera) sanzione amministrativa, discrezionalmente determinata dal legislatore a carico dell’esercente la potestà genitoriale che non adempie all’obbligo di sottoporre il bambino alla vaccinazione antipoliomelitica entro il primo anno di vita, non esclude la possibilità che il giudice minorile (su ricorso del p.m., dei parenti, o d’ufficio) adotti, ai sensi degli artt. 333 e 336 cod. civ., i provvedimenti idonei per l’attuazione in forma specifica dell’obbligo di vaccinazione anche contro la volontà dei genitori: in tal modo dovendo ritenersi specificamente tutelata la salute del minore nonché il suo diritto all’istruzione, altrimenti compromesso dalla preclusione a frequentare la scuola dell’obbligo, prevista – a tutela della salute collettiva – nei confronti del bambino che non sia stato vaccinato. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione di costituzionalità della L. 4 febbraio 1966 n. 51, sollevata – in riferimento agli artt. 32 e 34 Cost. – assumendo l’incoercibilità dell’obbligo di vaccinazione del minore in caso di inadempimento dei genitori)” (massima)
3) Corte cost. 3 giugno 1994, n. 258 (34), dichiarativa dell’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale della l. 165/1991, Obbligatorietà della vaccinazione contro l’epatite virale B e delle leggi 51/1966, Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomelitica, 891/1939, Obbligatorietà della vaccinazione antidifterica, 292/1963, Vaccinazione antitetanica obbligatoria e 419/1968, Modificazioni alla legge 5 marzo 1963, n. 292, recante provvedimenti per la vaccinazione antitetanica obbligatoria: “Posto che le leggi sulle vaccinazioni obbligatorie n. 165 del 1991, n. 51 del 1966, n. 891 del 1939, n. 292 del 1963 e n. 419 del 1968 (rispettivamente antiepatite B, antipolio, antidifterica e antitetanica) sono finalizzate alla tutela della salute collettiva e che la loro compatibilità con il precetto costituzionale di cui all’ art. 32, Cost., postula – come precisato dalla Corte – il contemperamento tra i valori, ivi contemplati, del diritto alla salute della collettività e del diritto alla salute del singolo, non v’ha dubbio che l’eventuale introduzione di una disciplina normativa puntuale e specifica, a tutela di quest’ultimo, la quale – come richiesto dai giudici ‘a quibus’ – imponga la obbligatorietà di accertamenti preventivi idonei a ridurre, se non ad eliminare, il rischio – sia pure percentualmente modesto – di lesioni all’integrità psico-fisica dell’ individuo per complicanze da vaccino, potrebbe realizzarsi solo attraverso un corretto bilanciamento tra entrambi i detti valori, implicante ineludibilmente l’intervento del legislatore.
Infatti, l’adeguamento ai principi costituzionali delle attuali disposizioni – che già stabiliscono la doverosità di osservanza, in sede di esecuzione del trattamento, di opportune cautele e modalità – dovrebbe essere necessariamente attuato mediante una complessa ed articolata normativa di carattere tecnico a livello primario – attesa la riserva di legge – e, nel caso, a livello secondario integrativo, nonché la fissazione di ‘standards’ di fattibilità anche in relazione al rapporto costi-benefici, la cui predisposizione esula dai poteri della Corte, che, tuttavia, non può esimersi dal richiamare l’attenzione del legislatore stesso sulla necessità di risolvere il problema posto dai giudici rimettenti sempre entro i limiti di compatibilità con le esigenze della obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni” (massima)
4) Corte cost. 15 luglio 1994, n. 304 (35), dichiarativa dell’infondatezza di questioni di legittimità costituzionali relative ad alcune norme regionali (Campania): “Questa Corte ha ripetutamente affermato – e il giudice a quo non contesta affatto tale affermazione – che, nell’ambito della tutela costituzionale accordata al “diritto alla salute” dall’art. 32 della Costituzione, il diritto a trattamenti sanitari “è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento” (v. sent. n. 455 del 1990; v. anche sentt. nn. 218 del 1994, 247 del 1992, 40 del 1991, 1011 del 1988, 212 del 1983, 175 del 1982). Ciò comporta, come questa Corte ha precisato nelle decisioni appena menzionate, che, al pari di ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, il diritto a trattamenti sanitari, essendo basato su norme programmatiche che impongono al legislatore un obbligo costituzionale all’attuazione della tutela della salute, diviene per il cittadino “pieno e incondizionato” nei limiti in cui lo stesso legislatore, attraverso una non irragionevole opera di bilanciamento fra i valori costituzionali e di commisurazione degli obiettivi conseguentemente determinati alle risorse esistenti, predisponga adeguate possibilità di fruizione delle prestazioni sanitarie. Analizzando l’attuazione che il legislatore ha conferito al diritto costituzionale all’assistenza sanitaria, occorre precisare, innanzitutto, che, ai sensi dell’art. 19 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), le prestazioni riabilitative sono considerate prestazioni sanitarie a tutti gli effetti e che, in base all’art. 26 della medesima legge n. 833 del 1978, le stesse prestazioni sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i propri servizi ovvero, quando queste non siano in grado di fornire direttamente le prestazioni, da istituti convenzionati con le predette unità sanitarie, i quali operino nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni. Il quadro legislativo rilevante ai fini della decisione in esame è, poi, completato dall’art. 25, ultimo comma, della legge n. 833 del 1978, il quale demandava alle Regioni di stabilire, per le sole prestazioni di cura, “i casi nei quali potranno essere consentite forme straordinarie di assistenza indiretta”, e dall’art. 3 della legge n. 595 del 1985, il quale dispone che “le prestazioni sanitarie sono erogate, di norma, in forma diretta attraverso le strutture pubbliche o convenzionate” e, inoltre, prevede che “le leggi regionali e provinciali stabiliscono quali tra dette prestazioni possono essere erogate anche in forma indiretta, nel caso in cui le strutture pubbliche o convenzionate siano nella impossibilità di erogarle tempestivamente in forma diretta”, rinviando alle medesime leggi per la determinazione delle modalità di accesso a tali prestazioni e del concorso dell’utente alla spesa sostenuta (fermo restando il limite massimo di questo concorso pari all’ammontare della tariffa prevista per la medesima prestazione dalle convenzioni vigenti)…Come si è precedentemente ricordato, questa Corte ha ripetutamente affermato che nel bilanciamento dei valori costituzionali che il legislatore deve compiere al fine di dare attuazione al “diritto ai trattamenti sanitari” (art. 32 della Costituzione) entra anche la considerazione delle esigenze relative all’equilibrio della finanza pubblica.
Non v’è dubbio che, se queste ultime esigenze, nel bilanciamento dei valori costituzionali operato dal legislatore, avessero un peso assolutamente preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute connesso all’inviolabile dignità della persona umana, ci si troverebbe di fronte a un esercizio macroscopicamente irragionevole della discrezionalità legislativa. Ma, se si considera la norma contestata nell’ambito del complessivo ordinamento legislativo, si deve ritenere che così non è, dal momento che, nel caso in cui la disabilità dovesse comportare esigenze terapeutiche indifferibili (caso che, a detta del giudice a quo, non corrisponde a quello sottoposto al suo esame), il nucleo essenziale del diritto alla salute sarebbe salvaguardato da quelle disposizioni di legge (v. art. 3 della legge n. 595 del 1985 nonché le norme regionali di attuazione) che legittimano il ricorso a forme di assistenza indiretta, anche all’estero, nelle ipotesi in cui le strutture del servizio sanitario, incluse quelle convenzionate, non fossero in grado di assicurare un tempestivo intervento sanitario, reso indifferibile dalle condizioni di salute della persona bisognosa di prestazioni riabilitative.”
5) Corte cost. 18 aprile 1996, n. 118 (36), dichiarativa dell’illegittimità costituzionale degli artt. 2, c. 2, e 3, c. 7, della l. 210/1992, Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, nella parte in cui escludono, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento prima dell’entrata in vigore della predetta legge e l’ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge, il diritto – fuori dell’ipotesi dell’art. 2043 del codice civile – a un equo indennizzo a carico dello Stato per le menomazioni riportate a causa di vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica da quanti vi si siano sottoposti e da quanti abbiano prestato ai primi assistenza personale diretta: “L’esatto inquadramento del problema di costituzionalità che la Corte è chiamata a risolvere presuppone la chiarificazione del significato del diritto costituzionale alla salute con riferimento al caso in cui la sua dimensione individuale confligga con quella collettiva, ipotesi che può ricorrere tipicamente nei casi di trattamenti sanitari obbligatori, tra i quali rientra la vaccinazione antipoliomielitica. La disciplina costituzionale della salute comprende due lati, individuale e soggettivo l’uno (la salute come fondamentale diritto dell’individuo), sociale e oggettivo l’altro (la salute come interesse della collettività). Talora l’uno può entrare in conflitto con l’altro, secondo un’eventualità presente nei rapporti tra il tutto e le parti.
In particolare – questo è il caso che qui rileva – può accadere che il perseguimento dell’interesse alla salute della collettività, attraverso trattamenti sanitari, come le vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto individuale alla salute, quando tali trattamenti comportino, per la salute di quanti ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile. Tali trattamenti sono leciti, per testuale previsione dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad una riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza n. 258 del 1994, con l’esigenza che si prevedano ad opera del legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il rischio di complicanze. Ma poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto. Il caso da cui trae origine il presente giudizio di costituzionalità ne è un esempio. La vaccinazione antipoliomielitica comporta infatti un rischio di contagio, preventivabile in astratto – perché statisticamente rilevato – ancorché in concreto non siano prevedibili i soggetti che saranno colpiti dall’evento dannoso. In questa situazione, la legge che impone l’obbligo della vaccinazione antipoliomielitica compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate “scelte tragiche” del diritto: le scelte che una società ritiene di assumere in vista di un bene (nel nostro caso, l’eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio di un male (nel nostro caso, l’infezione che, seppur rarissimamente, colpisce qualcuno dei suoi componenti).
L’elemento tragico sta in ciò, che sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri. Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche – e per la vaccinazione antipoliomielitica non è così -, la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà a questo genere di scelte pubbliche. …L’anzidetto carattere della vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, in un ordinamento come è il nostro, orientato a riconoscere valore fondamentale alla persona come individuo (art. 2 della Costituzione), comporta una condizione da cui ne dipende la legittimità, condizione ulteriore rispetto a quelle prescritte nel secondo comma dell’art. 32 della Costituzione – quasi un altro elemento di rafforzamento della riserva di legge ivi prevista – secondo quanto è chiarito nella sentenza n. 307 del 1990 di questa Corte, la quale costituisce il necessario punto di riferimento della presente decisione. In quell’occasione la Corte costituzionale ha affermato che il rilievo dalla Costituzione attribuito alla salute in quanto interesse della collettività, se è normalmente idoneo da solo “a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale”, cioè a escludere la facoltà di sottrarsi alla misura obbligatoria (si veda, altresì la sentenza n. 258 del 1994), non lo è invece quando possano derivare conseguenze dannose per il diritto individuale alla salute. Impregiudicato qui il problema del rilievo da riconoscersi all’obiezione di coscienza nei confronti dei trattamenti medicali, in nome del dovere di solidarietà verso gli altri è possibile che chi ha da essere sottoposto al trattamento sanitario (o, come nel caso della vaccinazione antipoliomielitica che si pratica nei primi mesi di vita, chi esercita la potestà di genitore o la tutela) sia privato della facoltà di decidere liberamente. Ma nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri. La coesistenza tra la dimensione individuale e quella collettiva della disciplina costituzionale della salute nonché il dovere di solidarietà che lega il singolo alla collettività, ma anche la collettività al singolo, impongono che si predisponga, per quanti abbiano ricevuto un danno alla salute dall’aver ottemperato all’obbligo del trattamento sanitario, una specifica misura di sostegno consistente in un equo ristoro del danno…” (37).
6) Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 5 (38), dichiarativa (in parte) dell’inammissibilità e (in parte) dell’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale proposte dalla regione Veneto nei confronti del d.l. 73/2017, Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci, convertito, con modificazioni, dalla l. 119/2017: “L’introduzione dell’obbligatorietà per alcune vaccinazioni chiama in causa prevalentemente i principi fondamentali in materia di «tutela della salute», pure attribuiti alla potestà legislativa dello Stato ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Questa Corte ha già chiarito che il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica (sentenze n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002) deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Tale principio vale non solo (come ritenuto nelle sentenze appena citate) per le scelte dirette a limitare o a vietare determinate terapie o trattamenti sanitari, ma anche per l’imposizione di altri. Se è vero che il «confine tra le terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia» (sentenza n. 169 del 2017), a maggior ragione, e anche per ragioni di eguaglianza, deve essere riservato allo Stato – ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. – il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili. Nella specie, poi, la profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale.
Secondo i documenti delle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, l’obiettivo da perseguire in questi ambiti è la cosiddetta “immunità di gregge”, la quale richiede una copertura vaccinale a tappeto in una determinata comunità, al fine di eliminare la malattia e di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo. Pertanto, in questo ambito, ragioni logiche, prima che giuridiche, rendono necessario un intervento del legislatore statale e le Regioni sono vincolate a rispettare ogni previsione contenuta nella normativa statale, incluse quelle che, sebbene a contenuto specifico e dettagliato, per la finalità perseguita si pongono in rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione con i principi di settore (sentenze n. 192 del 2017, n. 301 del 2013, n. 79 del 2012 e n. 108 del 2010). Ciò è vero in particolare nel caso odierno, in cui il legislatore, alla luce della situazione già descritta, ha ritenuto di impiegare l’incisivo strumento dell’obbligo, con il necessario corredo di norme strumentali e sanzionatorie, le quali a propria volta concorrono in maniera sostanziale a conformare l’obbligo stesso e a calibrare il bilanciamento tra i diversi interessi costituzionalmente rilevanti. In senso analogo, la giurisprudenza costituzionale ha qualificato come coessenziali ai principi fondamentali della materia disposizioni pur specifiche che prevedono sanzioni amministrative e regolano il procedimento volto ad irrogarle e, ancor prima, ad accertare le trasgressioni (ad esempio, nelle sentenze n. 63 del 2006 e n. 361 del 2003).
Parimenti, la potestà legislativa dello Stato in materia di «tutela della salute» sorregge anche la previsione degli obblighi vaccinali nei confronti dei minori stranieri: infatti, non solo la protezione vaccinale attiene al nucleo irriducibile del diritto alla salute, che spetta a ciascun essere umano (sentenze n. 299 e n. 269 del 2010, n. 252 del 2001); ma gli obiettivi di tutela della salute (anche) pubblica perseguiti attraverso la profilassi preventiva contro le malattie infettive sarebbero frustrati se determinate categorie di persone presenti sul territorio fossero escluse dalla copertura vaccinale…. Occorre anzitutto osservare che la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l’interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994). In particolare, questa Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).
Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.), anche l’interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell’esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore (sul punto, ad esempio, ordinanza n. 262 del 2004). Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)” .
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Note
(1)Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa. In materia, nell’ambito di una bibliografia imponente, ci permettiamo di rinviare ai ns. primi commenti: PANOZZO, Testo Unico 445/2000: gli strumenti della semplificazione amministrativa secondo le fonti del diritto, in Stato civ., 2002, 180 ss., 255 ss., 334 ss., 405 ss.; PANOZZO, Il T.U. 445/2000 dopo un triennio di vigenza: interventi dell’Autorità amministrativa e contributi dottrinali, in Stato civ., 2004, 28 ss., 91 ss.
(2)Semplifichiamo era un progetto del Dipartimento della Funzione Pubblica finalizzato a sostenere l’attuazione delle misure di semplificazione delle certificazioni amministrative, l’introduzione della carta d’identità elettronica e le attività collegate alla revisione dell’ordinamento di stato civile: cfr. ANCI, Comunicato stampa, 6 ottobre 1999, in http://www.anci.it
(3)BOMBARDELLI, La semplificazione della documentazione amministrativa, in Giorn. dir. amm., 1999, 297 ss.
(4) BOMBARDELLI, La disciplina del procedimento amministrativo: la legge provinciale di Bolzano 22 ottobre 1993, n. 17, in http://www.provincia.bz.it/it/default.asp
(5)GARDINI, Autocertificazione (voce), in Dig. disc. pubbl., Agg., Torino, 2005, 107 ss.
(6)BAIONA, Certificati e attestati (voce), in Dig. disc. pubbl., Agg., Torino, 2012, 107 ss. Si evda anche Tar Lombardia, Brescia, 5 ottobre 2004, n. 1151, secondo cui “risulta evidente che il legislatore – al fine di garantire l’autenticità dei documenti emessi in alcuni delicati settori – ha ritenuto di non ammettere autocertificazioni o dichiarazioni sostitutive, precludendone l’uso anche con riferimento ai certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di marchi e di brevetti: il principio di semplificazione recede di fronte all’interesse pubblico alla salvaguardia della fede pubblica, ossia dell’affidamento della collettività sulla genuinità e veridicità di alcune limitate categorie di atti, con riguardo alla loro provenienza ed al loro contenuto”.
(7)Sulla breve – e problematica – stagione dei testi unici ‘misti’, si veda CASAMASSIMA, Recenti esperienze e nuove prospettive in materia di semplificazione e riordino normativo, in Dir. pubbl., 2003, 52 ss.; SORRENTINO, Dai testi unici misti ai codici di settore: profili costituzionali, in Dir. amm., 2005, 261 ss.; CARNEVALE, La qualità del sistema normativo fra pluralità delle politiche, elusione di snodi teorici e ricerca di un factotum, in La tecnica normativa tra legislatore e giudici, Seminario del Gruppo di Pisa, Novara, 15-16 novembre 2013, in www.federalismi.it; MALO, Note di aggiornamento sui testi unici, in www.osservatoriosullefonti.it (25 marzo 2011); nonché, in chiave riassuntiva delle problematiche generate da tale (forma di) codificazione, PANOZZO, Semplificazione normativa e ordinamento dello stato civile, in www.diritto.it (14 luglio 2015) . Con riferimento – specifico – al T.U. 45/2000, cfr. LUPO, Emanato il primo testo unico “misto”: i problemi superano i benefici?, in www.forumcostituzionale.it (29 maggio 2001).
(8)FADIGA, Vaccinazioni obbligatorie e profili di costituzionalità della relativa disciplina, in Corr. Giur., 2018, 441 ss., aggiungendo che, “poiché la somministrazione avveniva con vaccini polivalenti che comprendevano sia le raccomandate che le obbligatorie, ogni differenza era nei fatti superata”. Sul punto, cfr. Corte cost. 14 dicembre 2017, n. 268 [in Foro it., 2018, I, 748, con nota PALMIERI, Nota a Corte cost., sent. 268/2017; in www.diritto.it , con nota MADDALUNA, Indennizzo da vaccinazione antinfluenzale: nota a Corte Cost. 268/2017 (18 gennaio 2018)], dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della l. 210/1992, Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antinfluenzale, in cui, premesso che “in tema di trattamenti vaccinali, la tecnica dell’obbligatorietà (prescritta per legge o per ordinanza di un’autorità sanitaria, come si esprime la disposizione censurata) e quella della raccomandazione (nelle forme di cui si darà esplicito conto più avanti) possono essere sia il frutto di concezioni parzialmente diverse del rapporto tra individuo e autorità sanitarie pubbliche, sia il risultato di diverse condizioni sanitarie della popolazione di riferimento, opportunamente accertate dalle autorità preposte” , si osserva che, nella prospettiva “incentrata sulla salute quale interesse (anche) obiettivo della collettività, non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione: l’obbligatorietà del trattamento vaccinale è semplicemente uno degli strumenti a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della salute collettiva, al pari della raccomandazione. I diversi attori (autorità pubbliche e individui) finiscono per realizzare l’obiettivo della più ampia immunizzazione dal rischio di contrarre la malattia indipendentemente dall’esistenza di una loro specifica volontà di collaborare: «e resta del tutto irrilevante, o indifferente, che l’effetto cooperativo sia riconducibile, dal lato attivo, a un obbligo o, piuttosto, a una persuasione o anche, dal lato passivo, all’intento di evitare una sanzione o, piuttosto, di aderire a un invito» (sentenza n. 107 del 2012)”; di più: “per quanto concerne più direttamente le vaccinazioni raccomandate, in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore dei trattamenti vaccinali, è naturale che si sviluppi un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione di per sé obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli”.
(9)Sulla novella costituzionale del 2001, in relazione all’aspetto in commento, cfr. CUOCOLO, CANDIDO, L’incerta evoluzione del regionalismo sanitario in Italia, in www.forumcostituzionale.it (23 settembre 2013); MORANA, La tutela della salute fra competenze statali e regionali: indirizzi della giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, in in www.associazionedeicostitutiozionalisti.it , 2018, n. 1 (29 gennaio 2018)
(10)Delibera 3 marzo 2005, Accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Ministro della salute e i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, concernente il Nuovo Piano Nazionale Vaccini 2005-2007, in G.U., S.O., 14 aprile 2005, n. 86.
(11)Decreto legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, su cui si vedano i commenti di MONTANARI, VENTALORO,La nuova legge sui vaccini tra prevenzione, obblighi e criticità, in Fam. dir., 2018, 177 ss.; AGOSTA, Il legislatore e il nodo di Gordio della prevenzione vaccinale, in www.giurcost.org (17 luglio 2017); IANNUZZI, L’obbligatorietà delle vaccinazioni a giudizio della Corte costituzionale fra rispetto della discrezionalità del legislatore statale e valutazioni medico statistiche, in www.giurcost.org (5 marzo 2018); MAGNANI, I vaccini e la Corte costituzionale: la salute tra interesse della collettività e scienza nelle sentenze 268 del 2017 e 5 del 2018, in www.forumcostituzionale.it (12 aprile 2018); NEGRONI, L’obbligatorietà delle vaccinazioni (decreto legge n. 73/2017) è questione eminentemente di diritto costituzionale, in www.forumcostituzionale.it (29 giugno 2018); STRADI, Vaccinazioni obbligatorie: interesse del minore, discrezionalità dei genitori, obblighi di legge, in Nuova giur. civ., 2018, 918 ss.
(12)Cons. di Stato, Commissione Speciale, 26 settembre 2017, n. 2065/2017 (adunanza del 20 settembre 2017, n. 1614/2017), Regione Veneto. Richiesta di parere del Presidente della Regione Veneto sull’interpretazione degli articoli 3 e 3-bis della legge 31 luglio 2017, n. 119, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, in ordine all’applicazione delle sanzioni a carico dei genitori, dei tutori o comunque delle figure esercenti la potestà parentale dei bambini che frequentano le scuole d’infanzia o che ricevono servizi educativi per l’infanzia, ivi inclusi quelli privati non paritari, e con particolare riguardo alle determinazioni conseguenti alla mancata presentazione della documentazione che dimostri l’adempimento agli obblighi vaccinali per i minori da zero a sedici anni di età previsto dalla predetta legge.
(13)Ci riferiamo: a) alla (probabile) conversione in legge – con modifiche – del ‘decreto milleproroghe’ che, nel testo licenziato dal Senato, prevede – mediante l’inserimento dell’art. 3-octies – il sostanziale differimento all’anno scolastico 2019/2020 del divieto di accesso alle scuole dell’infanzia e ai servizi educativi per l’infanzia dei bimbi non in regola con le vaccinazioni obbligatorie: cfr. disegno di legge n. 1117, d’iniziativa governativa, trasmesso dal Presidente del Senato l’8 agosto 2018, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, in Atti Parlamentari, Camera dei deputati, XVIII legislatura, n. 1117; sul tema, si veda la presa di posizione – critica – della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo), espressa nel comunicato del 4 agosto 2018, in https://portale.fnomceo.it ; b) al (più arduo) positivo esame del disegno di legge n. 363, d’iniziativa dei senatori ARRIGONI e altri, presentato il 14 maggio 2018, Modifiche al decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, in materia di prevenzione vaccinale, in Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, XVIII legislatura, n. 363.
(14) Circolare congiunta Ministero della Salute e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 6 luglio 2018, n. 20546, Adempimenti vaccinali relativi ai minorenni di età compresa tra zero e sedici anni che frequentano le istituzioni scolastiche, formative e educative – nuove indicazioni operative per l’anno scolastico – calendario annuale 2018/2019.
(15)Sui (due) punti, si vedano le critiche di ROSSI, Ancora vaccini: la circolare Grillo-Busetti viola la legge?, in www.lacosttiuzione.info (8 luglio 2018). L’A. osserva, da un lato, che se “il sistema vigente è risultato efficace nel riportare entro parametri di sicurezza il tasso della copertura vaccinale, non si comprende – secondo un criterio di razionalità – perché mai si dovrebbe depotenziare lo strumento, creando una “uscita di sicurezza” che apparentemente serve a semplificare, ma poi in concreto produce l’effetto di eludere l’obbligo ed erodere i risultati raggiunti”, dall’altro, la caratura (meramente) “residuale e sussidiaria” dell’autocertificazione, non smentita “dall’analisi della disposizione sull’iscrizione d’ufficio che riguarda gli studenti delle classi successive al primo anno di corso, laddove – contestualizzando la locuzione «senza preventiva presentazione di una dichiarazione» – si comprende come la stessa escluda che la dichiarazione ex d.P.R. n. 445/2000 possa sostituire la documentazione richiamata”, posto che “la suddetta previsione è stata infatti introdotta, con una modifica operata al Senato, al fine di consentire ai genitori – nel caso di iscrizione d’ufficio – di poter usufruire del più ampio termine del 10 luglio senza necessità della previa presentazione di una dichiarazione sostitutiva; a conferma la normativa ha lasciato fissi, per il 2017, i termini specifici di cui all’art. 5 e dunque la necessità di presentazione di una dichiarazione sostitutiva per godere del relativo termine più ampio”.
(16)Comunicato stampa agosto 2018, I professori ordinari di pediatria dicono no al depotenziamento dell’obbligo vaccinale, in www.unimib.it/
(17)PORTIGLIATTI BARBOS, Certificati medici (voce), in Dig. disc. pen., II, Torino, 1988.
(18)Ordine dei medici chirurgi e degli odontoiatri della provincia di Latina, Cos’è il certificato medico , in www.ordinemedicilatina.it
(19)FNOMCeO, Commentario al codice di deontologia medica, in www.omceo.me.it
(20)CASONI, Semplificazione amministrativa: casi e questioni sempre attuali, in Stato civ., 2003, 440.
(21)Non è questa la sede per ricordare, neppure marginalmente, il dibattito sulla categoria delle certezze legali [sulle quali si veda (già) GIANNINI, Certezza pubblica (voce), in EdD, 1960, VI, 769 ss.]. Basterà evidenziare l’effetto fuorviante – potenzialmente – prodotto dalla norma definitoria ex art. 1 del(lo stesso) T.U. 445/2000: “documento rilasciato da una amministrazione pubblica avente funzione di ricognizione, riproduzione o partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche”; secondo autorevole dottrina, infatti, “la definizione rischia … di creare confusione, accrescendo quella unanimemente denunciata derivante dall’uso promiscuo di espressioni (accertamenti, acclaramenti, c., attestazioni, certazioni), corrispondenti a diverse categorie giuridiche”, posto che “vengono impropriamente chiamati certificati anche atti che sono invece il risultato di altri procedimenti dichiarativi, quali gli accertamenti e gli acclaramenti …, che si distinguono dalle c. in senso stretto” [SANDULLI M.A., Certificazione, in http://www.treccani.it/]. La stessa dottrina osserva che “la riferita, più rigorosa, accezione dell’attività di c. (condivisa dalla giurisprudenza penale) non esaurisce dunque la nozione più ampia di funzione certificatoria, alla quale la dottrina riconduce, accanto alle certificazioni in senso stretto, caratterizzate dall’assoluta assenza di ogni margine di discrezionalità (amministrativa o tecnica) e dal contenuto meramente dichiarativo/riproduttivo di fatti preesistenti a fini di partecipazione, altri atti, aventi, analogamente alle prime, la funzione di creare certezze pubbliche, ma del tutto autonomi da circostanze oggettive preesistenti e privi quindi del suddetto carattere riproduttivo”; tra questi figurano gli acclaramenti [caratterizzati dal “fatto che tendono a rimuovere una situazione di incertezza sull’esistenza di qualità o modi di essere tecnici (nel senso di propri alle scienze tecniche) di persone o cose”], gli accertamenti [“quei procedimenti che, dopo l’acclaramento, compiono un giudizio valutativo sull’esistenza di una qualità di persone o cose basato però su profili giuridico-amministrativi”] e, per quanto qui interessa, le certazioni: strumenti finalizzati a “creare una realtà giuridica prima inesistente”, che “diversamente dalle prime due categorie, … hanno efficacia costitutiva, creando una qualità giuridica delle persone o delle cose necessaria alla realizzazione di effetti ulteriori”.
(22)Le certificazioni proprie sono quelle “produttive di certezze legali che mettono in circolazione informazioni tratte da pubblici registri”, mentre quelle improprie “sono dichiarazioni che non vengono riprodotte da un fatto già rappresentato in un registro pubblico o analoga fonte di certezza, ma sono il risultato di una specifica attività di accertamento compiuta da pubbliche autorità o da altri soggetti equiparati, contenenti l’attestazione del giudizio conclusivo a cui è pervenuto il certificante nell’esaminare una determinata situazione”: GNES, La decertificzione, Rimini, Maggioli, 2014, 50 s.
(23)Cfr. Cass. pen. 25 luglio 2013 (ud. 14 marzo 2013 ), n. 32446: “la tesi del ricorrente […inerente alla qualificazione giuridica del fatto integrerebbe falsità materiale in certificato anziché in atto pubblico… ndA] sconta l’errore di ritenere che tale tipo di atto […falso certificato medico formato dall’imputato per giustificare la propria mancata presentazione alla PG in adempimento delle prescrizioni inerenti alla relativa misura cautelare…ndA], comunemente denominato certificato, rientri nella casistica degli atti previsti dall’art. 477 cod. pen., trascurando che la natura certificativa, che giustifica il più mite trattamento sanzionatorio, è propria, secondo consolidato indirizzo di legittimità, dei documenti a carattere derivato o secondario, che contengono cioè dichiarazioni di scienza, vale a dire attestazione di fatti, ovvero di dati, noti al pubblico ufficiale per la loro provenienza da altri documenti ufficiali…Il certificato amministrativo, previsto degli artt. 477 e 480 cod. pen. è dunque caratterizzato, secondo tale indirizzo, dalla mera attestazione di verità o di scienza priva di contenuto negoziale e svincolata dal compimento di attività direttamente effettuate o percepite dal pubblico ufficiale, relativa a fatti di cui è stata già altrimenti accertata l’esistenza”.
(24)Art. 18, (rispettivamente) commi 2 (come sostituito dall’articolo 3, comma 6-octies, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito con modificazioni dalla l. 14 Maggio 2005, n. 80) e 3: sulla valenza, quale principio generale, dello strumento, cfr. Cass. 2 gennaio 2015, n. 958; Cons. di Stato, V, 28 dicembre 2011, n. 6947; ARSI’, L’obbligo d’acquisizione d’ufficio di atti e documenti (nota a Tar Lombardia, Milano, 29 marzo 1996, n. 851-ord.), in Corr. giur., 1996, 1133; CAMMAROTA, Circolazione cartacea e circolazione telematica delle certezze pubbliche. accertamento d’ufficio ed acquisizione d’ufficio, in Foro amm., 2004, 3527 ss.; DONATO, L’autocertificazione tra certezza e semplificazione, in Dir. e proc. amm., 2009, 201 ss.; IMMORDINO, La difficile attuazione degli istituti di semplificazione documentale – Il caso dell’autocertificazione, in Nuove Autonomie, 2008, 603 ss. Si veda anche l’art. 43, c. 1 [come sostituito dall’art. 15 – rubricato Norme in materia di certificati e dichiarazioni sostitutive e divieto di introdurre, nel recepimento di direttive dell’Unione europea, adempimenti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dalle direttive stesse – c. 1, lett. c) della l.
12 novembre 2011, n. 183, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)], del T.U. 445/2000: “le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato”.
(25)Si tratta della testé citata (supra: nota 21) l. 183/2011. E’ opportuno ricordare che il processo di decertificazione (così, nell’accezione comune, l’effetto prodotto dalla novella del 2011 sull’utilizzo delle certificazioni amministrative) subisce non poche eccezioni: ad es. in tema di immigrazione [cfr. la circolare del Ministero dell’Interno – Dip. pubblica sicurezza 24 gennaio 2012, n. 512, Legge 12 novembre 2011, n. 183 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)”. Modificazioni apportate al D.P.R. 445/2000, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa] e in materia elettorale [cfr. la circolare del Ministero dell’Interno – Dip. affari interni e territoriali 1 marzo 2012, n. 5, Elezioni amministrative della primavera 2012. Decreto del Ministro dell’interno di fissazione della data di svolgimento per i giorni 6 e 7 maggio. Decreto-legge 27 febbraio 2012, n. 15. Disposizioni transitorie per l’anticipazione dei termini per la presentazione delle candidature. Riduzione del numero dei consiglieri comunali e numero minimo e massimo di candidati per lista. Documentazione amministrativa correlata all’esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo]. Sulle problematiche prodotte dalla l. 183/2011, si vedano, tra i numerosi interventi, DE BONO, Pubblica amministrazione: mai più certificati, in Serv. dem., 2012, n. 1-2, 30; CORVINO, La legge di stabilità 2012 interviene anche sul Testo unico sula documentazione amministrativa, in Serv. dem., 2011, n. 12, 22 ss.; DOLCIMELE, Semplificazione amministrativa, autocertificazione e decertificazione: lo scenario ad un anno dalla legge 183/2011, in Stato civ., 2013, n. 8, 35 ss.; MINARDI, Le modifiche al d.P.R. 445/2000 in materia di certificazioni. Le chiare disposizioni di legge e le resistenze della burocrazia, in Serv. dem., 2012, n. 4, 6 ss., n. 5, 6 ss.; PANOZZO, Documentazione amministrativa – Certificazioni – Acquisizione d’ufficio, (risposta a quesito), 15 febbraio 2012, in http://www.servizidemografici.com ; TESSARO, Dall’autocertificazione alla decertificazione: le nuove regole sancite dalla legge 12 novembre 2011, n. 183 e il mutato volto dell’istruttoria documentale nel testo unico sulla documentazione amministrativa, in Gazz. Enti Loc., 19 gennaio 2012 (1° parte), 26 gennaio 2012 (2° parte), 2 febbraio 2012 (3° parte), 9 febbraio 2012 (4° parte), 16 febbraio 2012 (5° parte).
(26)Art. 40, c. 01, T.U. 445/2000, come aggiunto dall’art. 15, c 1, lett. a) l. 183/2011.
(27)Art. 40, c. 02, T.U. 445/2000, come aggiunto dall’art. 15, c 1, lett. a) l. 183/2011.
(28)FELLAH, Potestà dei genitori e vaccinazioni obbligatorie (nota a Cass. 8 febbraio 1994, n. 1265), in Giur. it., 1995, 2 ss.
(29)LENA, I trattamenti sanitari sui minori: potestà dei genitori e intervento del giudice (nota a App. Min. Ancona 26 marzo 1999), in Fam. dir., 1999, 467 ss.
(30)AMATO, L’obbligo di vaccinazione tra libertà di scelta dei genitori e interesse del figlio(nota a Trib. Min. Bologna 19 settembre 2013), in Fam. dir., 2014, 371 ss.
(31)SCARANO, Nota a Cass. civ. Sez. II, 26 giugno 2006, n. 14747, in Fam. pers. succ., 2006, 12.
(32)In Foro it., 1990, I, 2694, con note di PRINCIGALLI, Tutela della salute e vaccinazioni a rischio, e PONZANELLI, Lesione da vaccino antipolio: che lo Stato paghi l’indennizzo!; in Corr. giur., 1990, 1018, con nota di NESPOR, Tutela della salute e legittimità dell’imposizione di un trattamento sanitario; in Giur. cost., 1990, 1880, con nota GIARDINA, Vaccinazione obbligatoria, danno alla salute e “responsabilità’” dello Stato; in Quadrimestre, 1992, 207, con nota GUASCHINO, Limitazioni alla libertà individuale e tutela della salute nella disciplina delle vaccinazioni obbligatorie. Per il seguito, parlamentare, alla declaratoria (additiva) di incostituzionalità, si veda la l. 210/1992, Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.
(33)In Riv. giur. scuola, 1992, II, 1005, con nota redazionale DANIELE.
(34)In Giur. cost., 1994, 2097.
(35)In Giur. cost., 1994, 2606.
(36)In Giur. cost., 1996, 3209,con nota AGOSTINO, I possibili confini del dovere alla salute; in Resp. Civ., 1996, 582, con nota CASSELLA, Illegittimi i limiti temporali all’indennizzo a titolo di solidarietà, in assenza di responsabilità; in Foro amm., 1996, I, 2825, con nota (redazionale) IANNOTTA; in Foro it., 1996, I, 2326, con nota PONZANELLI, “Pochi ma da sempre”: la disciplina sull’indennizzo per il danno da vaccinazione, trasfusione o assunzione di emoderivati al primo vaglio di costituzionalità; in Danno e resp., 1996, 573, con nota COMMANDE’, Sul concetto di rischio nella responsabilità civile.
(37)Nella scia della sentenza de qua, si pongono: 1)Corte cost. 26 febbraio 1998, n. 27 [ in Foro it., 1998, I, 1370, con nota PONZANELLI, La misura dell’indennizzo per le “vittime” di vaccinazioni obbligatorie: il nuovo intervento della corte costituzionale; in Resp. civ., 1998, 1349, con nota CARANTA, Danni da vaccinazione e responsabilità dello Stato; in Giur. cost., 1998, I, 148, con note CHESSA, La misura minima essenziale dei diritti sociali: problemi e implicazioni di un difficile bilanciamento e GIUFFRE’, La corte costituzionale in cammino: da un modello casistico all’interpretazione della solidarietà; in Rass. avv. Stato, 1998, I, 1, 6, con nota PALMIERI, Breve nota in tema di indennizzo per lesione da vaccinazione obbligatoria antipolio; in Giur. it., 1998, 1479, con nota ALGOSTINO, Salute dell’individuo e salute della collettività: il diritto all’indennizzo anche nel caso di vaccinazioni antipoliomelitiche non obbligatorie], dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, l. 210/1992, Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo di vigenza della l. 695/1959, Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica; 2) Corte cost. 16 ottobre 2000, n. 423 [ in Foro it., 20011, I, 5, con nota PONZANELLI, Responsabilità civile e sicurezza sociale: un decennio ‘tribolato’; in Riv. giur. lav. prev., 2001, II, 240, con nota MAZZIOTTI, L’indennizzo delle vittime di trasfusioni o di vaccinazioni. Necessità di combinare equità e diritto positivo; si veda anche BARBISAN,Vaccinazioni obbligatorie, trattamenti necessari e solidarietà per danni, in Giur. cost., 2001, 4118; VIDETTA,Corte costituzionale e indennizzo per lesioni alla salute conseguenti a trattamenti vaccinali. Nuove prospettive, in Resp. civ. prev., 2013, 1030] dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della citata l. 210/1992, , nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antiepatite B, a partire dall’anno 1983; 3) Corte cost. 14 dicembre 2017, n. 268, citata supra, nota 8.
(38)In Foro it., 2018, 737, con nota PASCUZZI, Vaccini: quale strategia?; in Quad. cost., 2018, 47, con note SALAZAR, La Corte costituzionale immunizza l’obbligatorietà dei vaccini e PENASA, Obblighi vaccinali: un itinerario nella giurisprudenza costituzionale comparata; in www.giurcost.org, 2018, n. 1, con note IANNUZZI, L’obbligatorietà, cit. e ADAMO, Materia non democratica e ragionevolezza della legge.
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