Autonomia differenziata: una riforma contrastata

Dopo un acceso dibattito, il Parlamento in data 19 giugno 2024 ha approvato in via definitiva la riforma sull’autonomia differenziata che, benché sia espressamente prevista dagli articoli 116 e 117 della Costituzione così come modificati dalla legge costituzionale di riforma del titolo V della Costituzione, ha provocato forti tensioni. I rilievi sono pervenuti soprattutto da parte dei governatori e dei Sindaci di varie Regioni meridionali, anche governati da Forza Italia (Basilicata e Calabria), in particolare per quanto riguarda la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che potrebbero determinare delle sperequazioni tra le regioni del nord e quelle del sud Italia e presentare profili di illegittimità costituzionale. D’altro canto, un eventuale referendum costituzionale abrogativo proposto ex art. 75 della Costituzione potrebbe non raggiungere il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto, come avvenuto per i referendum del 2022. Inoltre, anche un possibile ricorso alla Corte Costituzionale, ai sensi degli artt. 2, 5 e 97 Cost., paventato dalle cinque Regioni governate dal centro-sinistra, potrebbe essere dichiarato inammissibile dalla stessa Corte. 

Indice

1. Il quadro costituzionale


Un’analisi della legge in questione non può prescindere dall’esame del nostro quadro costituzionale. In particolare l’art.117, come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001, dispone che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e poi indica le materie in cui lo Stato ha una legislazione esclusiva e quelle in cui ha una legislazione concorrente con le Regioni.[1]
Dal momento che anche le Regioni sono titolari della potestà legislativa (c.d. autonomia normativa) la disposizione si preoccupa di ripartire le competenze tra di esse e lo Stato in base alle materie che possono esserne oggetto.[2]
La riforma del 2001, che tra l’altro è stata proposta da un governo di centro-sinistra, ha riguardato varie disposizioni del titolo V e le modifiche apportate sono state incisive. Un cambiamento sostanziale si è avuto anche nella stessa formulazione della disposizione.
Pertanto, con la citata riforma, il legislatore ha accomunato sotto i medesimi limiti tanto la potestà legislativa statale che quella regionale.[3] Si deve, quindi, ritenere che la disposizione in esame vada a modificare la stessa potestà legislativa in relazione al suo possibile contenuto.[4]
La circostanza che alcune materie sono di competenza esclusiva statale si deve al fatto che toccano valori che coinvolgono l’intera comunità e, per la loro importanza, vengono consegnate dallo Stato centrale alla cura di soggetti indipendenti.
Invece, le materie di legislazione concorrente elencate dall’art. 117 Costituzione possono essere oggetto di apposita disciplina, come previsto dalla legge in esame, ma anche essere desunte da normative già esistenti, secondo quanto ha stabilito la legge 5 giugno 2003, n. 131. Con tale disposizione lo stesso Parlamento ha delegato il Governo ad individuare i principi già vigenti, anche allo scopo di evitare un vuoto legislativo nell’attesa di una loro concreta definizione da parte del legislatore. Peraltro, l’elenco delle materie concorrenti non è stato esente da critiche perché include ambiti che secondo alcuni dovevano essere riservati allo Stato al fine di garantire una regolamentazione uniforme. La stessa Corte Costituzionale ha perseguito questo scopo sia consentendo allo Stato di richiamare a sé funzioni legislative in applicazione del principio di sussidiarietà, sia stabilendo che i principi di base potevano essere più ampi del normale.
Inoltre, la norma dell’art. 117 Cost. ripartisce la potestà regolamentare tra i vari livelli di governo. Infatti, ai sensi del comma 6, la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva. In particolare, le Regioni sono titolari nelle materie di loro competenza e possono divenirne tali in conseguenza di delega statale. Peraltro, si deve considerare la possibilità che anche nelle materie esclusive regionali la potestà in esame possa essere statale; ciò accade in caso di materie trasversali. Pertanto, alle Regioni spetta la potestà regolamentare nelle materie di legislazione concorrente (comma 3), nelle materie di materie di legislazione residuale (comma 4) e nelle materie di competenza esclusiva statale, per le quali lo Stato abbia conferito la delega ad una o più Regioni.
La naturale conseguenza è anche quella di restringere i poteri di cui le Regioni sono dotate negli ambiti che vengono interessati, circostanza che ha spinto la Corte Costituzionale a sottolineare come lo Stato stesso debba agire con proporzionalità ed adeguatezza.
La norma in questione precisa altresì che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. In ordine all’organo locale competente ad esercitare la funzione la Costituzione ha rimesso la scelta alla determinazione dei singoli Statuti.[5]
Infine, il legislatore della riforma ha inteso ribadire che, nonostante l’autonomia di cui godono le Regioni nelle materie di propria competenza o concorrenti, deve essere garantito il rispetto dei principi generali, la cui formulazione ricalca quelle degli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 51( principio di unità e indivisibilità della Repubblica) della Costituzione.
In definitiva, la potestà legislativa regionale è soggetta alle seguenti limitazioni:

  • il limite costituzionale, in quanto le Regioni sono tenute al rispetto della Costituzione, sia quando i loro atti normativi siano espressione della potestà legislativa concorrente, sia quando siano espressione di quella esclusiva;
  • i limiti derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea ed agli obblighi internazionali, che impongono alle Regioni di non introdurre norme che mettano lo Stato in una situazione di infrazione nei confronti degli obblighi di cui sopra;
  • il limite dei principi fondamentali, riferibile alla legislazione concorrente;
  • la riserva di legge, secondo la quale quando la Costituzione rinvia la disciplina di una determinata materia alla legge, ci si riferisce solo alla legge dello Stato (ad esempio, art. 25 Costituzione per la materia penale);
  • il limite delle materie, elencate nella disposizione di cui all’art. 117 Costituzione;
  • il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e dei principi generali dell’ordinamento (limite che potrebbe essere intaccato dalla legge sull’autonomia differenziata).

2. La legge sull’autonomia differenziata


In data 2 febbraio 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario (articolo 116, terzo comma, Costituzione). Successivamente, nella mattina del 19 giugno 2024, l’Aula della Camera ha definitivamente approvato il citato disegno di legge con 172 voti favorevoli, 99 contrari e un astenuto.
La legge sull’autonomia differenziata delle Regioni è una legge puramente procedurale per attuare la riforma del Titolo V della Costituzione. In 11 articoli il provvedimento definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione e mira a delimitare le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata nelle 23 materie indicate.[6]
In particolare, la legge disciplina la cornice per le intese fra il governo e le singole Regioni con cui trasferire nuove funzioni alle stesse Regioni. In discussione c’è l’elenco delle 23 materie che la citata riforma costituzionale del 2001 ha assegnato alla competenza concorrente fra Stato e Regioni.[7]
Gli obiettivi della legge sono contenuti in maniera confusa e contradditoria nell’art. 1 il quale recita “La presente legge, nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei princìpi di indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione, definisce i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, nel rispetto delle prerogative e dei Regolamenti parlamentari”. Infatti, la disposizione si limita ad affermare principi in parte contrastanti, come quello del decentramento e quello solidaristico previsto dall’art. 2 della Costituzione che come vedremo la legge non riesce a garantire pienamente.
Il secondo comma della disposizione prevede un limite invalicabile all’applicazione della normativa de qua e statuisce che “L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge o sulla base della procedura di cui all’articolo 3, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ivi compresi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali nel rispetto dell’articolo 1, comma 793, lettera d), della legge 29 dicembre 2022, n. 197, che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), e nel rispetto dei princìpi sanciti dall’articolo 119 della Costituzione.
Tali livelli indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti su tutto il territorio nazionale e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali e per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali.”
A tale riguardo, l’articolo 4, modificato al Senato da un emendamento del partito Fratelli d’Italia, stabilisce i principi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni (concesso solo dopo la determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse in legge di bilancio), senza i quali non vi potrà essere autonomia. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard avverrà dopo l’indagine della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio.
La legge, poi, attribuisce l’iniziativa alle Regioni, una volta sentiti gli enti locali e dispone che “Ogni Regione può chiedere più autonomia in una o più materie e le relative funzioni. Segue il negoziato tra il governo e la Regione per la definizione dell’intesa preliminare”.
Viene, anche, prevista l’istituzione di una cabina di regia composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio. I suoi compiti saranno quelli di effettuare la ricognizione del quadro normativo per ogni funzione amministrativa sia statale sia delle regioni ordinarie e l’individuazione delle materie dei Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale. Tale organismo ha due anni di tempo per svolgere i propri lavori. Inoltre, il governo entro 24 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep; invece, lo Stato e Regioni avranno 5 mesi per definire l’accordo. Le intese potranno durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate, oppure potranno terminare prima, con un preavviso di 12 mesi
Per quanto concerne il procedimento di approvazione delle “intese”, viene statuito che la richiesta deve essere deliberata dalla regione interessata e poi trasmessa al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie.
Quest’ultimo, acquisita la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze entro i successivi 30 giorni, inizia il negoziato con la Regione interessata. Lo schema d’intesa preliminare tra Stato e Regione, unitamente alla relazione tecnica, è approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso alla Conferenza unificata per un parere da rendere entro 30 giorni. Decorso tale termine, lo schema viene comunque trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono mediante atti di indirizzo entro 60 giorni. Il Presidente del Consiglio approva lo schema di intesa definitivo, ove necessario al termine di un ulteriore negoziato.
Lo schema viene, poi, trasmesso alla Regione interessata per l’approvazione e, entro 30 giorni dalla comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, lo schema d’intesa definitivo, corredato dalla relazione tecnica, viene deliberato dal Consiglio dei ministri insieme a un disegno di legge di approvazione da presentare alle Camere. L’intesa viene immediatamente sottoscritta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Presidente della Giunta regionale.
Va anche sottolineato che, in conseguenza degli emendamenti presentati da Fratelli d’ Italia e da Forza Italia è stato assegnato un forte potere di veto al Presidente del Consiglio. Infatti, il comma 2 dell’articolo 2 della legge quadro sull’autonomia stabilisce che “Al fine di tutelare l’unità giuridica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie, il Presidente del Consiglio dei Ministri, anche su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dei ministri competenti per materia, può limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell’atto di iniziativa”.
Si precisa, anche, che, ai sensi dell’art. 116, c. 3 Cost., per l’approvazione definitiva del disegno di legge, a cui l’intesa è allegata, è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ogni Camera. L’intesa può essere modificata su iniziativa dello Stato o della Regione e può prevedere le ipotesi e le modalità tramite cui lo Stato o la Regione possono chiederne la cessazione, da deliberare tramite legge a maggioranza assoluta delle Camere. Alla scadenza del termine, l’intesa si intende rinnovata per identico periodo, salva differente volontà dello Stato o della Regione, manifestata almeno un anno prima della scadenza.
Le materie su cui potranno essere raggiunte le intese tra lo Stato e le Regioni per l’attribuzione, alle regioni stesse, di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono elencate all’art. 117 della Costituzione. Si tratta in prevalenza delle materie relative alla legislazione concorrente.[8]
In discussione ci sono, quindi, le 23 materie “concorrenti”,  e cioè: l’istruzione, fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche; i rapporti internazionali delle Regioni con l’Ue; il commercio estero; la tutela e la sicurezza del lavoro; le professioni; la ricerca scientifica e tecnologica  e l’innovazione per i settori produttivi; la tutela della salute; l’alimentazione; l’ordinamento sportivo; la protezione civile; il governo del territorio; i porti e aeroporti civili; le grandi reti di trasporto e di navigazione; l’ordinamento della comunicazione; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; la previdenza complementare integrativa; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e l’organizzazione di attività culturali; le casse di risparmio, le casse rurali aziende di credito a carattere regionale, gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
La legge prevede tre fasi attuative. Le Regioni possono ottenere subito le funzioni relative a 9 delle 23 materie, come, ad esempio, la disciplina delle previsioni e la previdenza integrativa. Per queste materie il Comitato per la fissazione dei Lep (CLEP) ha ritenuto che non vi fossero livelli essenziali delle prestazioni da garantire. Al riguardo un centro studi ha determinato in poco meno di duecento il totale delle funzioni immediatamente trasferibili alle Regioni.
La seconda fase devolutiva si aprirà solo dopo che lo Stato avrà determinato i livelli essenziali relativi a funzioni LEP che non incidono sulla spesa storica, che cioè non richiedono nuove risorse economiche. (ad esempio, la fissazione dei nuovi standard urbanistici, la gestione dei giudici di pace, la protezione civile, le professioni, la previdenza integrativa, il commercio con l’estero, i rapporti interni della Regione con l’Unione Europea e il coordinamento della finanza pubblica).
La terza fase, la più critica, riguarda le funzioni dove sono previsti LEP di spesa, dove cioè il passaggio avverrà se e quando saranno rinvenute le risorse necessarie.
Infatti, le maggiori perplessità riguardano proprio i cc.dd. livelli essenziali delle prestazioni (LEP). A tal proposito si stabilisce che l’attribuzione di nuove funzioni relative ai “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” viene consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da parte della Cabina di regia. Il finanziamento dei LEP, sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard verrà attuato nel rispetto degli equilibri di bilancio e dell’art. 17 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/09).
Se dalla determinazione dei LEP deriveranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo dopo i provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie coerenti con gli obiettivi programmati di finanza pubblica. Inoltre, se dopo la data di entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa, siano modificati i LEP col relativo finanziamento o ne siano determinati ulteriori, la Regione interessata sarà tenuta alla loro osservanza, subordinatamente alla revisione delle relative risorse. Il Governo o la Regione potranno, pure congiuntamente, disporre verifiche sul raggiungimento dei LEP.
Inoltre, le funzioni trasferite alla Regione potranno essere da questa attribuite a Comuni, Province, città metropolitane, unitamente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie.
Le intese, comunque, non dovrebbero pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni. Sarà, anche, garantita l’invarianza finanziaria del fondo perequativo e delle altre iniziative previste dall’art. 119 della Costituzione per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.
Per rafforzare tali iniziative e garantire un utilizzo più efficace delle risorse ad esse destinate, il testo prevede l’unificazione delle diverse fonti aggiuntive o straordinarie di finanziamento statale di conto capitale e la semplificazione e l’uniformazione delle procedure di accesso, di destinazione territoriale, di spesa e di rendicontazione.
Ovviamente il provvedimento dispone che saranno garantiti gli specifici vincoli di destinazione e la programmazione già in corso alla data di entrata in vigore delle nuove norme.[9]
Infine, l’art. 11, inserito in commissione, oltre a estendere la legge anche alle Regioni a statuto speciale e le Province autonome, reca la clausola di salvaguardia per l’esercizio del potere sostitutivo del governo. L’esecutivo dunque potrà sostituirsi agli organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni quando si riscontri che gli enti interessati si dimostrino inadempienti, rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l’unità giuridica o quella economica. In particolare si cita la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali.
E’ significativo rilevare che, a poche ore dall’approvazione della legge, la Camera ha approvato quattro ordini del giorno proposti dal partito Forza Italia che prevedono: il blocco dei negoziati con le Regioni fino alle definizioni dei Lep; la relazione tecnica sull’impatto finanziario; l’analisi dell’impatto del trasferimento di materie non-Lep; l’applicazione “rigorosa” della facoltà del Consiglio dei ministri di limitare l’ambito delle materie oggetto di intesa.

3. Conclusioni


Si ritiene che la riforma in questione sia formalmente rispettosa del dettato costituzionale. Si tratta, infatti, di una legge che darà attuazione all’articolo 116 della Costituzione dove al comma 3 è scritto che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia[…]possono essere attribuite a altre Regioni con legge dello Stato su iniziativa della Regione interessata”. In pratica, utilizzando il dettato della citata riforma costituzionale del 2001 – che prevede materie di competenza esclusiva dello Stato, ma anche 23 materie di legislazione concorrente” (articolo 117 Costituzione di cui sopra) – ciascuna Regione, se vuole, potrebbe disciplinare alcune o tutte le materie ivi previste. Sulla base di intese tra governo e Regione partirebbe quindi un federalismo differenziato.[10]
La principale contestazione al provvedimento, è quella per cui – secondo soprattutto i governatori del Sud – si aggraverebbero le differenze nel Paese, su questioni fondamentali come quelle dell’istruzione e della salute. È esteso, infatti, l’elenco delle materie di cui le Regioni potranno scegliere di occuparsi in via esclusiva, mutuandoli dai poteri dello Stato centrale.
Se poi il federalismo differenziato non raggiungesse gli scopi prefissati, le modifiche saranno possibili solo se entrambi i partner, governo e Regione, sono d’accordo nel riformarli. Ciascuna Regione potrà, quindi, chiedere quali materie gestire.
Inoltre, si sottolinea che il provvedimento normativo è sostanzialmente privo di adeguate specifiche risorse finanziarie, che difficilmente potranno essere rinvenute soprattutto dopo la recente procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea nei confronti dell’Italia per deficit eccessivo (alcuni economisti stimano che sarebbero necessari 80 miliardi di euro).
Anche l’esecutivo europeo, nel suo Report sulle economie nazionali per il 2024, ha dedicato un paragrafo alla legge sull’autonomia differenziata sollevando preoccupazioni per la “coesione, le finanze pubbliche e il settore privato del Paese”.
Inoltre, la stessa Banca d’Italia ha dichiarato che “il trasferimento delle nuove funzioni alle Regioni ad autonomia differenziata comporta la devoluzione di una quota di gettito erariale potenzialmente significativa e, contestualmente, la perdita di controllo da parte del governo centrale di settori rilevanti della spesa pubblica. Tutte le Regioni dovrebbero contribuire alla sostenibilità dei conti, al rispetto dei vincoli di bilancio costituzionali e quelli europei (…). Il rischio che da tale processo possano derivare maggiori oneri per il bilancio pubblico, tuttavia, non può essere trascurato e la spesa complessiva potrebbe risentire della frammentazione nell’erogazione dei servizi pubblici, oltre che di maggiori costi dovuti a diseconomie di scala”.
A tale quadro di notevole incertezza, si aggiunge il nodo della perequazione infrastrutturale come ribadito più volte dall’ufficio Parlamentare di Bilancio, “per la realizzazione effettiva dei livelli essenziali delle prestazioni”. Infatti, rimasta inattuata dal 2009, data di approvazione del federalismo fiscale, la perequazione infrastrutturale è oggi quasi priva di fondi. Infatti, originariamente vi erano 4,6 miliardi di euro, ma con i disegni di legge nn.13, 44 e 145 del 2023 e poi con la legge di Bilancio per il 2024 il governo lo ha definanziato, riducendone l’importo a 900 milioni di euro.
Anche per queste ragioni le cinque Regioni governate dal centro-sinistra, Puglia, Campania, Sardegna, Toscana ed Emilia Romagna stanno valutando di presentare ricorso alla Corte Costituzionale in quanto l’autonomia differenziata violerebbe l’art. 2 Cost. che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia  nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, minerebbe il principio di unità e indivisibilità della Repubblica, come sancito dall’articolo 5 della Costituzione e violerebbe l’art. 97 che richiede che gli uffici pubblici assicurino il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, sull’ammissibilità di tale gravame si nutrono delle perplessità in quanto l’impugnazione davanti alla Corte costituzionale in via diretta per le Regioni è possibile solo per violazioni della sfera di competenza regionale
In conclusione, si è dell’avviso che la riforma in esame, che, tra l’altro, non ha raggiunto l’accordo all’unanimità nella Conferenza Stato-Regioni, non è in grado di superare i numerosi interrogativi che il provvedimento presenta e di garantire il rispetto delle norme di cui agli articoli 2 e 5 e 97 della nostra Carta costituzionale. Per queste ragioni, non si può escludere che il disegno di legge incorrerà nella scure della Corte Costituzionale.
Infine si osserva che, nel caso della riforma costituzionale sul premierato, è quasi certo che il provvedimento sarà promulgato con una maggioranza inferiore ai due terzi dei parlamentari di ciascuna Camera e quindi sarà necessario un referendum costituzionale ai sensi dell’art. 138 della Costituzione, consentendo così ai cittadini elettori di esprimere l’avviso definitivo. Nell’ipotesi, invece, dell’autonomia differenziata l’unico strumento utile per caducare la riforma è rappresentato dal referendum abrogativo previsto dall’art. 75 Cost. che affida l’iniziativa referendaria abrogativa ai cittadini (500.000 elettori) o alle Regioni (5 Consigli regionali) che possono proporre all’elettorato “l’abrogazione totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”. Tuttavia, l’art. 75 stabilisce, anche, che deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi e la maggioranza del 50+1% degli elettori aventi diritto; pertanto, considerati i risultati dei referendum del 2022 e la scarsissima affluenza registrata nelle ultime consultazioni elettorali si ritiene che, nel caso di proposizione del referendum abrogativo, potrebbe non raggiungersi il quorum necessario previsto dalla Costituzione. Inoltre, a tale proposito le forze di maggioranza hanno posto un altro ostacolo alla presentazione del referendum abrogativo. Infatti, lo stesso art. 75 Cost. prevede che sono sottratte all’abrogazione “le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a modificare trattati internazionali” e il governo potrebbe aver inserito la norma sull’autonomia in un allegato al Bilancio al fine di farla considerare di carattere fiscale per sottrarla al referendum. Si ritiene, tuttavia, che tale rilievo non sarà accolto dalla Corte Costituzionale in sede di ammissibilità della eventuale richiesta referendaria ai sensi della legge costituzionale n. 1/1953, in quanto la normativa in questione è ictu oculi di natura prevalentemente sostanziale. 

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Note


[1]P. Gentilucci, La sofferta riforma delle autonomie regionali e federalismo fiscale, in Diritto.it del 29 novembre 2022.
[2]P. Gentilucci, Il disegno di legge sull’autonomia differenziata, in Diritto.it del 6 febbraio 2023.
[3] Articolo 117 Costituzione, in Brocardi.it del 29 aprile 2022.
[4] Articoli 72 ss. Costituzione
[5] Cfr. art. 121 Cost.
[6] Redazione, Cosa prevede l’Autonomia differenziata, dai Lep ai tempi di attuazione, in Policy maker del 19 giugno 2024.
[7] Redazione, Autonomia differenziata, Calderoli: è nel programma. Fdi rilancia il presidenzialismo, in Il sole 24 ore del 18 novembre 2022.
[8] L. Biarella, Autonomia Differenziata: ok al disegno di legge, cit.
[9] L. Biarella, Autonomia Differenziata: ok al disegno di legge, cit.
[10] G. Casadio, Autonomia differenziata per le Regioni: che cos’è la riforma proposta da Calderoli, in La Repubblica del 18 novembre 2022.

Prof. Paolo Gentilucci

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