Per chi ormai è solito leggere le mie riflessioni, è chiaro che con la presentazione del un testo giuridico voglio suggerire di
aggiungere alla “valigetta” del professionista di polizia (locale come dello Stato), uno strumento in più, per meglio svolgere la
professione. Mi piace l’introduzione al falso documentale pochi giorni fa proposta dal Collega Antonello Di Mauro, della polizia
municipale di Milano: non si tratta di scegliere se svolgere o non svolgere la nostra professione; piuttosto, si tratta di scegliere
se farla bene o se farla male.
Ebbene, questi due volumetto sono senz’altro degli strumenti per far bene il nostro lavoro.
Non nascondo che il primo approccio con il volumetto del Dott. Girolami, medico chirurgo e specialista in medicina legale e
criminologia clinica è stato, per certi versi, “devastante”. In questo volume, infatti, se da un lato si teorizzano i fenomeni criminali
che conducono al decesso di chi li subisce, dall’altro di osservano i fenomeni stessi, talvolta così macabri da portare il lettore a
girar pagina. Ma, ahimè, nella vita professionale, purtroppo, non sempre è possibile girar pagina; non sempre è possibile
cambiar strada per evitare di dover osservare – ed in quel caso si deve osservare la scena del crimine – il cadavere o quel che
resta del cadavere di una persona. Si vive in una società che incrudelisce, giorno per giorno e, per dirla con Sant’Agostino, la
vittoria del demonio è quella di far credere che non esiste. La vittoria di chi si dedica al crimine è anche far credere ai
professionisti della sicurezza, che c’è sempre qualcun altro addetto a svolgere talune operazioni: ci sono agenti più “forti” che
possono intervenire sul sinistro mortale; ci sono ufficiali di maggiore esperienza e capacità di controllo che possono ispezionare
e descrivere il corpo martoriato di qualche disgraziato che ha avuto la peggio… ma ci siamo noi: ci siamo noi, soprattutto! Noi
con i nostri limiti, noi con le nostre emozioni, noi che indossiamo l’uniforme e sol per questo non abbiamo la possibilità di
delegare – se non di auspicare – che altri facciano il “lavoro sporco”.
Allora osservare per leggere queste immagini, ci deve aiutare a riflettere su quello che anche noi, un giorno, potremmo
osservare dal vivo, per quanto queste immagini si riferiscano a persone che poco prima di morire erano vive. Ma ci servono per
meglio comprendere che cosa è accaduto in quell’attimo prima: che cosa ha determinato il decesso, quali possono essere gli
elementi di prova immediatamente percepibili giacché immediatamente ricollegabili ad altri indizi. Indizi del momento che poi
rischiamo di disperdersi definitivamente: dal luogo del crimine, come dalla nostra mente. Certamente, non c’è qui la pretesa di
far di ciascuno di noi un anatomopatologo; ma, certamente, l’avere delle cognizioni – per quanto marginali – sulla condizione
del cadavere e sulle cause di morte può agevolare il nostro difficile percorso di professionisti in uniforme.
Di taglio più teorico – si fa per dire – è il testo dei due magistrati Mario Conte (giudice del Tribunale di Palermo) e Raimondo
Loforti ( Presidente di sezione di quello stesso Tribunale sui c.d. accertamenti tecnici nel processo penale. Sulla medesima idea
precedentemente espressa, nasce il suggerimento ad inserire anche questo volumetto nella nostra valigetta da lavoro: da un
lato, un’insieme di cognizioni obiettive sulla condizione di un corpo ormai privo di vita, dall’altro lato la cognizione giuridica di
quelli che sono gli strumenti per trasformare taluni indizi, in prove, grazie all’ausilio di persone competenti o comunque idonee
allo scopo per il loro ruolo professionale o per la semplice iscrizione ad un albo speciale.
Certamente, anche un modo per meglio comprendere tute le questioni attinenti agli accertamenti tecnici, non solo da un punto
di vista operativo-giudiziario, ma anche per meglio comprendere le funzioni del perito, del consulente tecnico e del loro modo di
essere liquidati per l’impegno professionale profuso. Anche quest’ultimo elemento assume una rilevanza fondamentale
allorquando – come non poche volte accade – chi opera sulla strada appartiene ad una struttura di polizia locale che deve fare i
conti… con le proprie esigue finanze.
LI, 10 mag. 06
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