Autorità indipendenti: in particolare, i rapporti tra AGCM e Consob

Redazione 18/01/19
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Le Autorità indipendenti si distinguono in Autorità indipendenti trasversaliAutorità indipendenti di settore. Quando un’autorità trasversale incide anche su campi governati da autorità di settore, possono porsi talune questioni relative alla competenza. È quanto accade, ad esempio, nei rapporti tra AGCM e Consob in relazione al fenomeno delle pratiche commerciali scorrette disciplinate dal Codice del Consumo e poste in essere da soggetti sottoposti alla vigilanza della Consob.

Tratti essenziali delle Autorità indipendenti

Le Autorità indipendenti si distinguono dal modello tradizionale di Pubblica Amministrazione sotto taluni rilevanti profili.

Innanzitutto, esse si connotano per la sottrazione al potere politico governativo. In secondo luogo, il loro operato si caratterizza per la equidistanza e neutralità rispetto agli interessi su cui l’attività delle Autorità indipendenti incide. In terzo luogo, le Autorità indipendenti sono soggetti dotati di un alto tasso di competenza tecnica, necessaria per l’esercizio delle competenze loro assegnate dall’ordinamento.

L’istituzione delle Autorità indipendenti è dovuta, innanzitutto, alla presa di coscienza dell’inidoneità dell’organo legislativo a disciplinare settori caratterizzati da un alto grado di tecnicismo (crisi della legge). Per questa ragione, alle Autorità indipendenti la legge spesso assegna poteri di regolazione, consistente nell’emanazione di regolamenti o atti generali secondo procedimenti più snelli rispetto al procedimento legislativo ordinario.

Talvolta, invece, il legislatore assegna alle Autorità indipendenti il compito di riempire di contenuto taluni concetti giuridici indeterminati (così, ad esempio, la normativa antitrust in relazione ai concetti di abuso di posizione dominante, concentrazione etc.).

L’istituzione di Autorità indipendenti risponde inoltre all’esigenza di svincolare la gestione di determinati settori sensibili dal condizionamento degli organi politici, al fine di assicurarne una gestione connotata da terzietà. A tal fine, a differenza delle P.A. tradizionali, le Autorità indipendenti si connotano per la loro neutralità, anziché per l’imparzialità (attribuita all’attività della P.A. dall’art. 97 Cost.). Mentre l’imparzialità impone alla P.A tradizionale di individuare strumenti che, nella realizzazione dell’interesse pubblico, non sacrifichino in modo eccessivo o ingiustificato l’interesse privato, la neutralità impone alle Autorità indipendenti di integrare o applicare il dettato normativo senza risultare portatrici di alcun interesse.

Infine, l’istituzione delle Autorità indipendenti corrisponde al fenomeno di tendenziale abdicazione dello Stato dall’intervento in taluni settori economici. In particolare, processo di progressiva privatizzazione ha reso necessaria l’istituzione di soggetti pubblici indipendenti il cui scopo è quello di evitare che al monopolista pubblico si sostituisca il monopolista privato.

Ciò posto, le funzioni attribuite alle Autorità indipendenti non sono inquadrabili all’interno di un’unica categoria. Ad ogni modo, potremmo compendiare le attività generalmente svolte dalle Autorità indipendenti attraverso la seguente elencazione: attività di regolazione, attività amministrative in senso stretto (rilascio di autorizzazioni e adozione di provvedimenti), funzioni arbitrali e contenziose, attività sanzionatorie, attività consultive.

Ciò che è importante chiarire è che non necessariamente ciascuna Autorità indipendente possiede svolge tutte le attività appena elencate. I poteri ad esse attribuiti dipendono molto dal settore in cui esse operano.

A tal fine è possibile distinguere tra autorità di settore (preposte ad uno specifico settore economico, come la Consob, Ivass e l’AGCOM) e autorità trasversali (preposte alla tutela di specifici interessi pubblici in ogni settore dell’ordinamento, come AGCM e il Garante per la protezione dei dati personali).

Quando un’autorità trasversale incide su campi governati da autorità di settore possono porsi taluni questioni relative alla competenza.

È quanto accade, ad esempio, nei rapporti tra AGCM e Consob in relazione al fenomeno delle pratiche commerciali scorrette disciplinate dal Codice del Consumo e poste in essere da soggetti sottoposti alla vigilanza della Consob.

Rapporti tra AGCM e CONSOB nel caso di pratiche commerciali scorrette

L’AGCM ha la funzione di vigilare sulla concorrenza e sul corretto funzionamento del mercato in generale. Ciò implica che talvolta l’attività di vigilanza dell’AGCM può attenere al corretto funzionamento del mercato in specifici settori economici (ad esempio, il mercato degli strumenti finanziari). Al contempo, il Codice del Consumo assegna a tale autorità il compito di proteggere il consumatore da specifiche condotte abusive suscettibili di essere attuate nei più disparati settori economici.

Dall’altra parte, il D.lgs. del 24 febbraio 1998 n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di seguito TUF) attribuisce alla Consob il ruolo di vigilanza sui mercati finanziari.

In particolare, il TUF detta una disciplina legislativa di settore a garanzia della correttezza delle informazioni al pubblico e della trasparenza e correttezza dei comportamenti dei relativi operatori, per la cui applicazione è competente la Consob, sia per quanto concerne gli emittenti, per quanto concerne gli intermediari finanziari. Per l’esercizio dei compiti di vigilanza, alla Consob sono attribuiti poteri regolamentari, informativi, ispettivi e sanzionatori.

Per stabilire quale delle due Autorità indipendenti sia competente ad intervenire per la repressione di pratiche commerciali scorrette nell’ambito del settore dei mercati finanziari occorre tenere in considerazione due dati normativi.

L’ art. 3, par. 4, della direttiva 29/2005/CE dispone che “in caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici”.

Al considerando 10 della richiamata direttiva 29/2005/CE si precisa che la stessa “si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore”.

Nell’ordinamento interno, il citato art. 3, par. 4, della direttiva 29/2005/CE è stato trasposto nell’art. 19, comma 3, Codice del consumo, ai sensi del quale “in caso di contrasto le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici”.

Dai dati normativi appena citati si desume che, da un lato, il criterio della specialità fa sì che le disposizioni dettate dal Codice del consumo in tema di accertamento e repressione delle pratiche commerciali sleali recedono allorché sussistano nelle discipline di settore norme volte a disciplinare aspetti specifici; dall’altro, l’attitudine della disciplina generale dettata a tutela del consumatore trova applicazione con riguardo a specifici profili non disciplinati dalle discipline di settore

Sulla scorta di queste considerazioni, il Consiglio di Stato (con sentenza n. 3999/2008) ha ritenuto necessario applicare il principio di specialità, optando in favore della competenza Consob. Nell’applicare questo principio occorre avere riguardo non tanto al profilo soggettivo (cioè al tipo di operatore interessato o al soggetto tutelato, vale a dire all’intermediario o al consumatore), bensì all’oggetto dell’intervento dell’Autorità indipendente e all’interesse generale perseguito attraverso l’intervento stesso. A tal fine, “non pare infatti dubitabile che il settore finanziario rappresenti, per le sue caratteristiche, le sue pratiche, la sua ragione e le sue stesse norme un contesto di sistema, distinto rispetto al mercato in generale, come è facilmente riscontrabile in termini giuridici con il suo ordinamento di settore, specifico a quello del mercato in generale, di cui le disposizioni sopra richiamate sono indice. La conclusione nel caso in esame pare dunque essere – conformemente a quanto prospetta l’AGCM – che la normativa di ordine speciale del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 prevale, anche ai fini della identificazione dell’Autorità competente ad intervenire, sulla normativa di ordine generale di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206”.

Ad ogni modo, alla medesima conclusione si perverrebbe anche avendo riguardo al profilo soggettivo, giacché l’investitore si presenta come una specie del genere consumatore, in quanto destinatario finale di un prodotto standardizzato seppur finanziari. Egli è, in altre parole, un consumatore di servizi finanziari.

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