I. Una breve disamina del quadro normativo
La fonte normativa da tenere a mente è sicuramente il D.lgs. n. 286/1998, meglio conosciuto quale Testo Unico sull’Immigrazione. Si caratterizza per una regolamentazione accurata e al contempo sistematica della complessa tematica dei permessi di soggiorno, con uno sguardo attento a quello che è l’interesse dei minori. In questo senso, viene in rilievo il Titolo IV, contenente norme finalizzate ad intervenire sotto un duplice versante: per un verso, garantire l’unità della famiglia e, per altro, tutelare la posizione dei minori.
In particolare, le disposizioni normative che vanno dall’art. 28 all’art. 30[1] ineriscono al diritto a mantenere o a riacquistare l’unità nei confronti dei familiari stranieri.
Gli artt. 31 e ss., invece, contengono previsioni a favore dei minori, con riguardo ai figli degli stranieri. In proposito, ciò che interessa particolarmente è proprio l’art. 31, strutturalmente scisso in quattro commi, ognuno parimenti meritevole di essere analizzato.
Partiamo dal primo comma, oggetto di una vera e propria opera di revirement riconducibile alla recentissima Legge comunitaria n. 122, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’8 luglio 2016. In particolare, interessa l’articolo 10 del suindicato disegno di legge europea, laddove, in una chiara prospettiva di apertura, è intervenuto apportando modifiche all’art. 31 del Testo Unico Immigrazione.
Nello specifico, il comma 1, lettera a), dell’art. 10 della Legge 122/2016 ha proceduto a modificare il primo comma dell’art. 31 del T.U., prevedendo il rilascio di un permesso di soggiorno individuale ed autonomo anche per i minori stranieri, indipendentemente dal compimento del quattordicesimo anno di età.
È opportuno un breve raffronto tra pregressa e attuale previsione normativa.
Precedentemente alla riformulazione del dato normativo in commento, il Legislatore intendeva porre l’accento su una duplice condizione: la prima era di natura anagrafica, ovvero l’età del figlio minore dello straniero, la seconda, invece, distingueva a seconda che il minore convivesse e fosse regolarmente soggiornate con il familiare straniero da quella in cui venisse affidato ai sensi dell’art. 4 della Legge 4 maggio 1983, n. 184. Nel primo caso il figlio minore dello straniero veniva iscritto nel permesso di soggiorno ovvero nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori, seguendone la condizione giuridica sino al compimento del quattordicesimo anno di età. Diversamente, se soggetto all’istituto dell’affidamento temporaneo, il minore veniva iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dello straniero al quale veniva affidato e ne seguiva la relativa condizione giuridica, sempre che risultasse essere quella maggiormente favorevole. Presupposto, quest’ultimo, che viene eliminato dalla riforma, ragion per cui oggi non è più prevista la condizione secondo la quale il minore fino al quattordicesimo anno di età deve essere iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o entrambi i genitori.
Difatti, stando all’attuale e rinnovata formulazione del comma 1 dell’art. 31 del decreto legislativo n. 286/1998 è previsto che al figlio minore dello straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante, venga rilasciato “un permesso di soggiorno per motivi familiari fino al compimento della maggiore età” oppure “ un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo[2]”.
In linea di continuità con il progetto riformistico, anche la seconda parte del primo comma ha subito una modifica consistente nella soppressione dell’inciso finale “…e il rinnovo dell’iscrizione”; la norma così semplificata recita testualmente: “l’occasionale e temporanea assenza dal territorio dello Stato non va ad escludere il requisito della convivenza”.
Il comma secondo dell’art. 31 T.U. 286/1998, invece, è stato totalmente abolito in conseguenza delle modifiche apportate dal primo comma, lettera b), dell’articolo 10 della Legge 7 luglio 2016, n. 122. Esso analizzava il caso in cui il minore avesse compiuto il quattordicesimo anno di età, ponendo così l’accento su una situazione diversa rispetto a quella rappresentata nella prima parte della norma in esame. Difatti, stabiliva che al raggiungimento della suindicata età (quattordici anni) al minore venisse rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari valido sino al compimento del diciottesimo anno, ovvero una carta di soggiorno.
Con il terzo comma si entra nel cuore della questione; esso è rimasto in piedi, in quanto va a regolamentare il rilascio dell’autorizzazione – da parte del Tribunale per i minorenni – all’ingresso o alla permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle disposizioni normativamente cristallizzate nell’ambito del medesimo Testo Unico. Nello specifico, la previsione normativa riconduce il rilascio di tale autorizzazione a specifici parametri, quali: gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore nonché età e condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano.
Non manca il riferimento alla revoca dell’autorizzazione, laddove la norma precisa che gli effetti possono essere rimossi quando vengono a cessare i gravi motivi che ne hanno giustificato il rilascio ovvero per attività del familiare che risultino incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in territorio italiano.
Infine, il quarto ed ultimo comma dell’art. 31 volge l’attenzione verso l’espulsione di un minore straniero, sancendo ancora una volta la competenza del Tribunale per i minorenni ad emettere il relativo provvedimento, su preventiva richiesta del questore.
II. I presupposti fondanti l’ingresso o la permanenza del familiare del minore: una messa a confronto tra norma ed orientamenti giurisprudenziali
La ratio sottesa alla normativa muove lungo specifiche ed imprescindibili linee direttrici che, invero, fungono da presupposti legittimanti il rilascio dell’autorizzazione ex art. 31, terzo comma.
Come si evince chiaramente dallo stesso dato normativo, due sono le condizioni che devono essere presenti e la cui ricorrenza il giudice minorile è tenuto a vagliare. Si tratta, nello specifico, dei “gravi motivi” connessi con lo sviluppo psicofisico nonchè dell’”età” e delle “condizioni di salute” del minore.
Nonostante l’esposizione chiara, precisa e puntuale della norma, non si è fatto attendere l’intervento della giurisprudenza che, a più riprese, ha posto l’attenzione sul profilo concernente la qualificazione dei parametri richiesti ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza del familiare del minore.
Il dato da tenere previamente in considerazione è rappresentato dalla ricorrenza dei gravi motivi che la disposizione ricollega espressamente allo sviluppo psicofisico del minore.
È indubbio che la presenza di tale requisito debba essere puntualmente dedotta dal ricorrente nonché accertata dal giudice minorile (rectius: Tribunale per i minorenni), dovendosi inquadrare la condizione giustificativa del rilascio dell’autorizzazione ex art. 31, terzo comma in termini di situazione emergenziale e, dunque, dotata dei requisiti dell’eccezionalità e gravità, proprio perché derogatoria di quanto propriamente statuito dalle disposizioni del Testo unico sull’Immigrazione. Profili, questi ultimi, che invero possono ritenersi presenti qualora le condizioni di vita del minore[3] sarebbero migliori se vivesse nel territorio italiano anziché nel suo paese di origine[4]. In questo caso, lo sradicamento del familiare del minore straniero dall’Italia finirebbe con il creare una sorta di strumentalizzazione dell’interesse del fanciullo e non già una piena tutela dello stesso, con conseguente violazione del prioritario criterio valutativo che è, appunto, quello del minore ad essere educato nell’ambito del nucleo familiare.
Sul concetto di eccezionalità e/o straordinarietà dei gravi motivi è intervenuta più volte la giurisprudenza di legittimità, finendo con l’abbracciare posizioni assolutamente concordi tra loro.
In particolare, ha inteso porre l’accento sul distinguo tra: autorizzazione all’ingresso nonché autorizzazione alla permanenza del familiare sul territorio italiano.
I giudici hanno sostenuto che il Tribunale per i minorenni deve eseguire la valutazione circa la ricorrenza dei gravi motivi sotto un duplice profilo, nel senso che la situazione di emergenza dovrà essere considerata in termini di attualità se si tratta di autorizzazione all’ingresso del familiare del minore straniero nel territorio nazionale; al contrario, dovrà farsi riferimento ad una situazione futura ed eventuale nel caso in cui venga inoltrata richiesta di autorizzazione alla permanenza del familiare. In quest’ultimo caso, come è stato sottolineato anche dalle Sezioni Unite, la situazione eccezionale nella quale vanno ravvisati i gravi motivi può essere non solo attuale ma anche dedotta quale conseguenza di un improvviso allontanamento del familiare del minore sino ad allora presente e, dunque, ad una situazione futura, eventuale e potenziale rimessa al prudente accertamento dell’autorità giurisdizionale[5].
In ogni caso, i gravi motivi devono essere funzionali allo sviluppo psicofisico del minore. Nozione, quest’ultima, che rimanda ugualmente alla ricorrenza di un pericolo da intendersi quale pregiudizio grave, attuale ed altresì futuro. In proposito, già agli inizi del 2000 la Cassazione ha inteso ribadire che quando si discorre di “sviluppo psicofisico” occorre richiamare una proiezione nel futuro di quelle che sono le conseguenze negative del diniego dell’autorizzazione, non dovendosi considerare solamente la situazione di pregiudizio già in atto per il minore straniero. Ancor più, va rinnegata una lettura riduttiva ed ermeneutica di tale nozione, dovendosi considerare necessario non solo un coordinamento con le disposizioni di derivazione costituzionale bensì anche e soprattutto con le fonti di diritto internazionale minorile. Questo perché lo sviluppo psicofisico cui la norma inerisce va ricondotto ad una sfera maggiormente ampia, ad una idea che rimandi, sotto il profilo finalistico, alla promozione dello sviluppo del minore e non alla sola tutela della salute ex art. 13 Cost[6]..
È indubbio, pertanto, che lo sviluppo psicofisico del minore sia presupposto legittimante a pieno titolo la permanenza dei genitori sul territorio nazionale[7].
Oltre all’elemento della straordinarietà va tenuto conto di una diversa connotazione che deve parimenti contraddistinguere i gravi motivi, ovvero la temporaneità. Quest’ultimo elemento, in verità, si desume dall’espressione normativamente prevista secondo cui “il tribunale per i minorenni può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare per un periodo di tempo determinato”. Anche qui non sono mancati recenti interventi della Cassazione, i quali, nel tentativo di delinearne in maniera esaustiva il significato, hanno finito con il modificare completamente le interpretazioni fornite dalla giurisprudenza tradizionale, rilevando che il requisito della temporaneità va essenzialmente riferito al solo provvedimento autorizzatorio che il giudice minorile emette e non anche al presupposto costitutivo dei gravi motivi, dovendo invece ricollegare questi ultimi allo sviluppo psicofisico. Di guisa, l’autorizzazione al soggiorno non deve presentare un carattere limitato nel tempo, con la conseguenza che il giudice, nel decidere in merito alla concessione del rinnovo del permesso di soggiorno, dovrà tenere conto di tutti gli elementi della fattispecie dinanzi a lui pendente, non dovendo automaticamente propendere verso una limitata permanenza del familiare del minore, ben potendo riferirsi a situazioni destinate a risolversi tanto in brevi quanto in lunghi tempi. Difatti , come hanno giustamente puntualizzato gli Ermellini, la durata del soggiorno deve essere determinata ma non per questo breve (Cass. n. 747/2007; n. 21799/2010[8]; n. 2647/2011).
Infine, ulteriore condizione da tenere in debita considerazione ai fini della concessione dell’autorizzazione è data dall’età e dalle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano.
Sul punto, i diversi orientamenti sono ormai inclini a ritenere che la tenera età del minore costituisca già di per sé condizione imprescindibile per la permanenza del genitore sul territorio.
Invero, le Sezioni Unite già nel 2010[9] si sono interessate di tale problematica, pervenendo alla conclusione secondo cui la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente connesse alla salute del minore; al contrario, occorre tener conto anche del pregiudizio concreto, effettivo e grave che il minore potrebbe subire dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dal contesto in cui è cresciuto.
La giurisprudenza successiva ha finito con il recepire e sposare totalmente tali posizioni, al punto da sottolineare come l’improvvisa interruzione della funzionalità genitoriale potrebbe rappresentare un vero e proprio danno irreversibile per lo sviluppo pisco-fisico del minore, ancor più se si tratta di minore in tenera età.
Pertanto, possono ritenersi pienamente sussistenti i presupposti del provvedimento autorizzativo ex art. 31 laddove si accerti la “reale ed effettiva presenza del genitore, la sua idoneità ad occuparsi del minore, ad allevarlo in un ambiente familiare idoneo a garantirne la crescita, nonché a prendersi carico dei bisogni e dei problemi di lui”[10].
[1] Rispettivamente disciplinanti: il diritto all’unità familiare, l’istituto del ricongiungimento familiare, il ricongiungimento familiare dei rifugiati ed il permesso di soggiorno per motivi familiari.
[2] È opportuno il collegamento con l’art. 9 del T.U. Immigrazione, laddove quest’ultimo va propriamente a disciplinare la tematica dei permessi di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo.
[3] Si pensi, ad esempio, all’istruzione e ad esigenze di natura scolastica del minore straniero.
[4] Cfr. Cass. n. 396/2006.
[5] Cfr. S.U. Cass. n. 22216/2006.
[6] Cass. n. 3991/2002; Cass. n.11624/2001. Nel valutare i gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore, bisogna guardare anche alle conseguenze derivanti da un possibile sradicamento del minore dal territorio italiano o, al contrario, da un forzato allontanamento dei familiari dallo stesso.
[7] Si veda, Tribunale minori Bari, decreto n. 4860/2015. Per maggiore chiarezza, si veda anche decreto Corte d’Appello di Roma, Sez. Minorenni, n. 51892/2016, ove il giudice, dopo aver indicato che la ratio legis sottesa all’art. 31 è quella di “ garantire al bambino di ovviare a problemi che comporterebbero per lo stesso un danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave derivante dalla mancata autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare”, ha concesso titolo di soggiorno per assistenza minore al padre del minore con autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa, in quanto il caso di specie riguardava un minore, residente in Italia fin dalla nascita, affetto da cardiopatia congenita complessa nonché da gravi patologie polmonari che lo costringevano a regolari e frequenti controlli medici, con la conseguenza che si rendeva necessaria la constante presenza del genitore, in quanto necessitava di essere seguito anche nella quotidianità. E, dunque, un eventuale allontanamento del genitore avrebbe creato con ogni probabilità un trauma che poteva ben catalogarsi alla stregua di un “grave motivo” ai sensi dell’art. 31 T.U..
[8] La Cassazione con la sentenza n. 21799 del 6 luglio 2010 ha statuito che tra i “gravi motivi” che possono giustificare il rilascio dell’autorizzazione ex art. 31, 3 comma, bisogna ricomprendervi altresì tutte quelle situazioni che: “possono provocare qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile e obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, derivi o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto”.
[9] SS.UU. 25 ottobre 2010 n. 21199. Sulla stessa scia si veda Cass. Ordinanza n. 15025/2012.
[10] Cfr. Corte Appello di Napoli, decreto n. 311 del 13 novembre 2015.
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