Avastin vs lucentis. Atto finale

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Cons. Stato, sezione VI, sentenza 15 luglio 2019, n. 4990.

Con provvedimento n. 24823 del 27 febbraio 2014, l’AGCM accerta l’esistenza di un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 101 TFUE, volta ad ottenere una ‘’differenziazione artificiosa’’ dei farmaci Avastin e Lucentis, manipolando la percezione dei rischi dell’uso, in ambito oftalmico, di Avastin. Conseguentemente, condanna le case farmaceutiche Hoffmann-La Roche (e Roche s.p.a., in solido) e Novartis Farma s.p.a. (e Novartis AG, in solido), alle sanzioni amministrative pecuniarie, rispettivamente, di euro 90.539.369 ed euro 92.028.750.

Le società condannate adiscono il T.A.R. per l’accoglimento delle proprie ragioni e l’annullamento del provvedimento. Il giudice amministrativo di primo grado rigetta il ricorso e conferma il provvedimento di AGCM (T.A.R. Lazio, sez. I, 2 dicembre 2014, n. 12168).

Avverso la sentenza, in ultima istanza, le società soccombenti adiscono il Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza n. 4990 del 15 luglio 2019, si pronuncia e pone fine alla vicenda. Data la rilevanza della questione, il provvedimento giurisdizionale si approccia molto analiticamente al fatto e al diritto. Si cercherà di riportarne e commentarne i punti più salienti, ritenendosi fondamentale la memoria di quanto accaduto.

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FATTI DI CAUSA.

La società Genentech Inc., soggetta al controllo esclusivo del Gruppo Roche, si occupa di biotecnologia. Nel 1996 essa inventa un anticorpo in grado di inibire la proteina umana Vegf (infatti, tale anticorpo è chiamato anti-Vegf); detta proteina è responsabile, in casi patologici, della formazione di vasi sanguigni anomali che contribuiscono alla crescita tumorale in alcune patologie oncologiche. L’anticorpo inventato viene denominato ‘’bevacizumab’’ e diventerà il principio attivo del farmaco Avastin.

Nel corso della propria attività di ricerca, Genentech scopre che la proteina Vegf può essere responsabile, oltre che di tumori, anche di diverse patologie vascolari oculari (tra cui la degenerazione maculare senile, c.d. AMD). I ricercatori, tuttavia, ritennero non adatto il bevacizumab, in termini di sicurezza ed efficacia, a quest’ultimo scopo. Ciò in virtù del fatto che bevacizumab ha un’azione troppo aggressiva e viene somministrato endovena, richiedendosi invece, per la cura delle patologie oculari, un effetto più moderato e mirato (quindi, un farmaco più ‘’lieve’’ e somministrato per iniezione intravitreale). Non ritenendo prudente l’utilizzo di bevacizumab per il trattamento delle patologie oculari, Genentech sviluppa ad hoc un altro anticorpo anti-Vegf, dall’azione contenuta e da somministrarsi per via intravitreale, noto come ‘’ranibizumab’’ e che diviene il principio attivo di un nuovo farmaco, il Lucentis.

La società Roche ottiene la licenza per distribuire il farmaco Avastin. La società Novartis diviene licenziataria di Lucentis. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) autorizza l’immissione in commercio di Avastin, per il trattamento dei tumori metastatici colorettali, con provvedimento del 26 settembre 2005. L’AIFA autorizza altresì l’immissione in commercio di Lucentis, per il trattamento delle patologie oftalmiche, con provvedimento del 31 maggio 2007.

Nel periodo intercorrente tra il lancio di Avastin e quello, più tardivo, di Lucentis, molti medici notarono che, nei pazienti affetti da tumore e da AMD, la somministrazione di Avastin generava effetti positivi in entrambe le patologie.

Per questo, a livello internazionale, cominciò a diffondersi la prassi di somministrare Avastin, per via intravitreale, per la cura dell’AMD e di altre patologie oculari. In particolare, presso le farmacie ospedaliere autorizzate, Avastin veniva estratto dai suoi originali flaconcini da 16 ml e frazionato in siringhe monouso da 0,1 ml, per il trattamento oftalmico. Poiché la destinazione d’uso di Avastin, secondo l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), era solo per il trattamento dei tumori, il suo utilizzo contro le patologie oculari era c.d. off-label.

L’utilizzo off-label di Avastin proseguì anche dopo l’immissione in commercio di Lucentis. Tuttavia, la rimborsabilità di Avastin off-label, inizialmente concessa, venne meno, poiché era stata lanciata sul mercato un’alternativa on-label (Lucentis).

Nel 2014 l’Antitrust ha accertato la sussistenza di una concertazione ‘’pervasiva e continuata’’ tra Roche e Novartis, allo scopo di manipolare ‘’la percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico di Avastin’’. L’intesa avrebbe ‘’mirato a ridurre la domanda, e quindi le quantità vendute, di un prodotto meno costoso (Avastin, pari ad euro 81,64 per iniezione) a favore del più costoso prodotto concorrente (Lucentis, inizialmente pari ad euro 1100 ad iniezione, poi sceso ad euro 902 dal novembre 2012), attraverso il condizionamento dei soggetti responsabili delle scelte terapeutiche’’. La sostituzione di Avastin con Lucentis, ad avviso dell’Antitrust, avrebbe comportato ‘’rilevanti difficoltà nell’organizzazione dei servizi sanitari da parte delle regioni, a fronte della necessità di riprogrammare le risorse finanziarie da destinare all’acquisto del farmaco più costoso con una limitazione nell’accesso alle cure per pazienti affetti da gravi patologie’’.

DIRITTO

1.    Sulla questione pregiudiziale europea circa l’applicabilità dell’art. 101 TFUE.

È controverso se Avastin e Lucentis appartengano allo stesso mercato rilevante ex art. 101 TFUE, nonostante le AIC ne indichino un utilizzo differente. L’Antitrust può ‘’includere nel mercato rilevante, oltre ai medicinali autorizzati per il trattamento delle patologie di cui trattasi, un altro medicinale la autorizzazione all’immissione in commercio non copra detto trattamento, ma che è utilizzato a tal fine e presenta quindi un rapporto concreto di sostituibilità con i primi’’. L’intesa tra Roche e Novartis, qualora ne sia accertata la sussistenza, non sfugge alla disciplina sulla concorrenza di cui all’art. 101 TFUE.

2.    Sul sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti delle Autorità.

Nel caso di specie, in cui l’autorità amministrativa è l’Antitrust, l’ordinamento generale determina a priori ciò i poteri che spettano ad ognuno dei soggetti coinvolti. Nulla osta a che il giudice, in tali casi, definisca la fattispecie sostanziale.

Gli elementi descrittivi del divieto di intesa anticompetitiva, anche quelli valutativi e complessi, appartengono alla dimensione oggettiva di ‘’fatto storico’’, accertabile in via diretta dal giudice, e non di fatto ‘’mediato’’ dall’apprezzamento dell’Autorità. Per questo il Giudice non deve ‘’verificare se l’opzione scelta da quest’ultima rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili che possono essere date a quel problema alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto (come accade nei giudizi su attività non disciplinate da norme di diritto oggettivo, ndr), bensì deve procedere ad una compiuta e diretta disamina della fattispecie. Lo dimostra il fatto che, nelle azioni risarcitorie c.d. stand alone (ossia non precedute da una decisione dell’Autorità), il giudice civile – sia pure ai fini risarcitori – è chiamato a verificare direttamente ed in prima persona i presupposti dell’illecito, senza che occorra alcuna intermediazione di potere pubblico’’.

In questo senso anche la sentenza della n. 6 del 2018 della Corte Costituzionale, circa i limiti della giurisdizione del giudice amministrativo. Secondo la Consulta, l’eccesso di potere giurisdizionale ai danni dell’amministrazione è configurabile solo in caso di superamento dei limiti dell’attività integrativa del giudice amministrativo, qualora si risolva nell’enucleazione di criteri extralegali di integrazione del diritto positivo (preordinati alla valutazione dell’operato della pubblica amministrazione) del tutto incompatibili con le direttrici di valore espresse dall’ordinamento generale.

3.    Sull’uso c.d. off-label dei farmaci.

Con il termine off-label s’intende l’utilizzo di un farmaco per un’indicazione terapeutica, un uso o un dosaggio diverso da quelli per i quali esso è stato autorizzato ad essere commercializzato. Il frammentato quadro normativo nazionale sul punto (tra cui si ricorda il d.l. n. 536 del 1996) ha cercato un ragionevole equilibrio tra la tutela della salute degli utenti e le cogenti necessità di razionalizzazione della spesa pubblica. L’utilizzo di un farmaco off-label è consentito solo qualora esso sia ritenuto una valida alternativa (al farmaco on-label), che presuppone la comparazione, da parte dell’agenzia, dei farmaci ‘’equivalenti’’ sotto il profilo sia medico-scientifico, sia economico (Cost., n. 151 del 2014).

4.    Sulla rilevanza del mercato.

La nozione di mercato rilevante implica che vi possa essere concorrenza effettiva tra i prodotti o servizi che ne fanno parte, il che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità per lo stesso uso tra tutti i prodotti o servizi che fanno parte dello stesso mercato (Corte Giust. 13 febbraio 1979, causa C-85/76). Come avallato dal rinvio pregiudiziale, i farmaci off-label ritenuti una valida alternativa possono essere inclusi nel mercato rilevante dei concorrenti on-label, poiché i medici prescriventi sono mossi principalmente da considerazioni di opportunità terapeutica e di efficacia dei medicinali.

È pacifico che, durante il periodo della violazione oggetto della decisione dell’Antitrust, l’Avastin era stato spesso prescritto per il trattamento di malattie oftalmiche, nonostante la relativa AIC non coprisse tali indicazioni. Tale circostanza denota pertanto l’esistenza di un rapporto concreto di sostituibilità tra il medicinale in questione e quelli autorizzati per dette patologie oftalmiche, tra i quali figura il Lucentis. Inoltre, lo stato di incertezza in merito alla liceità delle condizioni di riconfezionamento e di prescrizione dell’Avastin per il trattamento di patologie oftalmiche non ostava a che l’Agcm concludesse che tale prodotto rientrava nello stesso mercato di un altro medicinale la cui AIC copre specificatamente tali indicazioni terapeutiche (Corte Giust., 23 gennaio 2018, C-179/16).

5.    Sulla condotta di Roche e Novartis.

L’ipotesi accusatoria sostiene che Roche e Novartis avrebbero posto in essere una concertazione pervasiva e continuata, unica e complessa, volta ad ottenere una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis, manipolando la percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico di Avastin. Ciò sarebbe avvenuto con l’obiettivo di un’illecita massimizzazione dei rispettivi introiti derivanti, nel caso del gruppo Novartis, dalla partecipazione del 33 percento detenuta in Roche e dalle vendite dirette di Lucentis; nel caso del gruppo Roche, dalle royalties ottenute sulle stesse tramite la propria controllata Genentech.

La condotta di Roche e Novartis avrebbe avuto altresì un’incidenza diretta sull’equilibrio della spesa sanitaria, sia in ambito pubblico che privato. Secondo la stima dell’Antitrust, lo spostamento illecito della domanda su Lucentis avrebbe comportato, per il solo anno 2012, un aggravio di costi per il SSN di circa 45 milioni di euro; inoltre, la completa attuazione delle condotte illecite accertate, e quindi la piena sostituzione di Avastin con Lucentis, avrebbe comportato per il SSN un maggior costo di circa 540 milioni di euro nel 2013 e 615 milioni di euro nel 2014.

La prova della pratica concordata, in virtù delle difficoltà istruttorie, può essere anche indiziaria, purché vi siano indizi gravi, precisi e concordanti (ex plurimis, Cons. Stato n. 4123 del 2015). Vi sono due tipologie di elementi indiziari: quelli endogeni, ossia collegati alla stranezza intrinseca della condotta, nel senso che il comportamento delle imprese sarebbe stato plausibilmente diverso da quello in pratica riscontrato; quelli esogeni, ossia percepibili dall’esterno, attinenti in particolare ai contratti tra le imprese e agli scambi di informazioni, non altrimenti spiegabili in un contesto di sano confronto concorrenziale e, quindi, sintomatici di un’intesa illecita. Nel primo caso, la prova dell’irrazionalità delle condotte grava sull’autorità; nel secondo, l’onus probandi contrario è spostato sull’impresa (Cons. Stato, n. 3026/2012; n. 2925/2011).

Nel caso di specie, il coordinamento tra imprese è avvenuto a mezzo di incontri diretti e scambi di e-mail tra i vertici delle due imprese, i cui contenuti travalicano l’accordo di licenza concluso tra Novartis e Genentech ed i doveri di farmacovigilanza.

Roche ha tentato di far modificare il riassunto delle caratteristiche di Avastin (Rcp), inserendo la presenza di effetti collaterali nell’uso a scopo oftalmico del prodotto, seppur senza evidenze scientifiche in tal senso. Tale modifica avrebbe consentito di inviare agli operatori sanitari una comunicazione per richiamare la loro attenzione su tali (presunti) effetti collaterali negativi, per dissuaderli dall’utilizzare Avastin e indurli a prescrivere Lucentis. I dirigenti di Novartis avevano una conoscenza dettagliata e diretta dello stato di avanzamento della procedura (sebbene quest’ultima fosse di esclusiva competenza del licenziatario di Avastin, ossia Roche). L’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha, successivamente, respinto la richiesta di Roche, in quanto basata su nessun riscontro probatorio. Secondo l’EMA ‘’non ci sono evidenze che bevacizumab (Avastin) sia sistematicamente più insicuro di ranibizumab (Lucentis) e viceversa’’. I dati analizzati sono ‘’insufficienti a giustificare un’avvertenza differente che dia l’impressione che Lucentis sia più sicuro rispetto ad altri trattamenti anti-Vegf sotto il profilo degli eventi avversi sistemici’’.

Inoltre, Roche e Novartis hanno concertato le reazioni da tenere nei confronti degli organi di stampa e degli interlocutori istituzionali nel momento in cui era stata tentata l’introduzione di una normativa volta a sostenere gli usi oftalmici di Avastin; l’illecita collusione comprendeva altresì la strategia per contenere le reazioni provenienti da più parti circa la sproporzione dei costi delle terapie oftalmiche a base di Avastin e Lucentis. Si ricorda inoltre la circostanza che Novartis detiene il 33 percento di partecipazione in Roche, potendosi ascrivere alla prima le decisioni della seconda (‘’parental liability theory’’).

Si sottolinea infine l’attenzione di Roche e Novartis a spiegare una forte campagna informativa in Italia volta a spostare la domanda, per le terapie oftalmiche, su Lucentis. Infatti, a differenza del resto d’Europa in cui quest’ultimo farmaco era in netto vantaggio su Avastin, in Italia il quadro era, a detta delle concertanti, piuttosto ‘’preoccupante’’ (il Lucentis deteneva una quota di mercato pari al 43%, contro il 41% di Avastin).

6.    Conclusioni.

Al termine del lungo iter motivazionale (e processuale) il Consiglio di Stato respinge le richieste dei ricorrenti, confermando definitivamente le sanzioni irrogate a Roche e Novartis dall’Agcm.

È stata riconosciuta la qualificazione di estrema gravità del fatto, anche in ragione dei beni giuridici messi in pericolo (l’assistenza farmaceutica e il diritto alla salute). Le sanzioni irrogate rappresentano, tuttavia, percentuali ampiamente inferiori all’uno percento dei fatturati complessivi di Roche e Novartis.

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