Avvocati, censura per chi non si comporta con lealtà e correttezza

Redazione 25/09/17
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L’avvocato che viene meno ai doveri di lealtà e correttezza perché promuove un’azione giudiziaria nei confronti di un collega senza preventivamente avvertirlo deve essere sanzionato dall’Ordine. E non solo: il professionista che non riconosce la gravità del suo comportamento e chiede con insistenza la punizione del collega contro cui aveva avviato l’azione giudiziaria va condannato con la sanzione più grave della censura. È quanto emerge dalla recente sentenza n. 77/2017 del Consiglio Nazionale Forense.

Vediamo allora di fare chiarezza e di capire in quali casi l’avvocato viola i principi di lealtà del Codice deontologico forense.

 

Leggi la sentenza del Consiglio Nazionale Forense.

 

Punita l’azione giudiziaria senza preavviso

L’avvocato che agisce in giudizio contro un collega deve quindi stare attento a osservare delle regole ben precise. Non solo è infatti obbligatorio fornire preventiva comunicazione al professionista contro il quale si promuove l’azione giudiziaria, bisogna anche rispettare i tre requisiti previsti dall’art. 22 del (previgente) Codice deontologico forense.

I tre requisiti consistono, come argomenta il CNF, nell’adozione dello scritto quale veicolo della comunicazione al collega, nel rendere chiara ed evidente l’intenzione di agire in giudizio e nel fornire la ragione di tale iniziativa. Se queste regole non sono rispettate, l’avvocato incorre nella sanzione dell’avvertimento.

 

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Il comportamento scorretto nei confronti del collega

Nel caso di specie, il Consiglio Nazionale Forense ha respinto il ricorso del professionista e ha confermato la pena inflitta dal Consiglio dell’Ordine di Milano: l’avvocato non ha rispettato alcuna delle regole sopra esposte nella sua azione contro il collega e quindi ha violato i principi del Codice deontologico.

La situazione, però, è un po’ più complicata. L’avvocato condannato dal CNF aveva inizialmente perso in giudizio contro il condominio difeso dal suo collega; questi gli aveva quindi notificato un precetto per il pagamento delle spese legali. Il ricorrente aveva successivamente promosso azione giudiziaria nei confronti dell’altro avvocato presso il giudice di pace per la ripetizione di tale somma, rivalendosi direttamente nei confronti del collega e senza preventivamente avvisarlo.

Il comportamento dell’avvocato ricorrente era quindi stato considerato nel complesso contrario ai principi di lealtà e correttezza del Codice dal COA di Milano; il professionista non aveva però mancato di sostenere che era stato inizialmente il collega a notificare l’atto di precetto senza avviso preventivo.

Sanzione più grave per chi non riconosce i propri errori

Motivazioni che non sono però state accolte dal Consiglio Nazionale Forense, che ancor meno ha giudicato meritevoli di attenzione le opposizioni relative alle presunte provocazioni da parte del collega e all’atteggiamento indifferente tenuto nei confronti del ricorrente.

Al contrario, con una pronuncia estremamente interessante il CNF conferma la sanzione più grave della censura inflitta all’avvocato (in luogo del semplice avvertimento) “per l’insistenza con cui l’incolpato si ostina ad attribuire comportamenti scorretti all’esponente”. Un accanimento contro un collega che per il Consiglio è chiaro indice dell’inadeguatezza del professionista a recepire i canoni deontologici e la loro importanza.

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