T.A.R. CAMPANIA – SALERNO, SEZ. II, ordinanza 15 maggio 2009 n. 443 – Pres. L.A. ********, Rel. Cons. F. Mele – *** e altri (**************, *************, **********, ********** e *********) c. Regione Campania (**************** e ***********) e con l’intervento ad adiuvandum del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli (Avv. ***********), del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola (*************, **** *****) e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno (******************** e *******).
* * * * * *
Pubblico impiego – Dipendenti della Regione – Rilevazione delle presenze in servizio mediante sistema automatico – Obbligo – Sussiste – Avvocati dell’Avvocatura regionale – Assoggettabilità – Illegittimità – Ragioni.
Si manifesta illegittima la circolare regionale avente ad oggetto l’attivazione del sistema automatico di rilevazione delle presenze di tutto il personale dipendente nella parte in cui assoggetta all’obbligo di utilizzare il c.d. “cartellino marcatempo”, indifferentemente, anche gli avvocati dipendenti dell’Avvocatura regionale. Invero, rilevata la peculiarità dello status degli avvocati dipendenti della Regione, che non ne consente la piena assimilabilità al restante personale, il sistema di rilevazione automatica, nella sua attuale rigidità ed indifferenziata regolazione, non tiene conto della suddetta diversità né della particolarità del servizio svolto dal personale legale, il quale si caratterizza per delicati compiti ed attività in gran parte svolti all’esterno degli uffici.
* * * * * *
La peculiarità dello status giuridico degli avvocati in servizio presso le amministrazioni pubbliche nel riscontro di legittimità del provvedimento dispositivo dell’obbligo di accertamento delle presenze mediante sistema di rilevazione automatica (note a margine dell’ordinanza del T.A.R. CAMPANIA – SALERNO, SEZ. II, 15 maggio 2009 n. 443 – Pres. ********, Rel. Cons. Mele).
1. Il provvedimento cautelare in commento offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni sul peculiare status giuridico attribuibile agli avvocati in servizio presso le amministrazioni pubbliche e, più specificamente, in merito al discusso tema della loro assoggettabilità all’obbligo di rilevazione delle presenze mediante sistema automatico, con utilizzo del c.d. “cartellino marcatempo”.
La vicenda da cui trae origine l’ordinanza de qua è stata affrontata (quantunque, allo stato, soltanto nella fase cautelare) sia presso il T.A.R. di Salerno che innanzi al Consiglio di Stato.
Sebbene difetti la certezza e la determinatezza del vincolo pertinente ad una decisione di merito, attesa la natura temporanea ed interinale dell’efficacia del giudicato cautelare, appare, comunque, interessante compiere una riflessione su un argomento che, al momento, resta fondamentalmente controverso, tenuto anche conto della “intermittenza” con cui la giurisprudenza, pur tutelandone l’autarchia funzionale, ha, a volte, riconosciuto, altre denegato (nell’orientamento, per la verità, di gran lunga minoritario, rinvenibile nella più risalente giurisprudenza di primo grado) all’ufficio legale, il carattere di servizio svincolato dalle diverse aree in cui è strutturata l’organizzazione degli apparati amministrativi, quale immediata e diretta conseguenza della posizione giuridica di autonomia e indipendenza tipica dell’avvocato (anche se dipendente di ente pubblico).
2. Il caso di specie è stato posto al vaglio del Tribunale Amministrativo salernitano dai legali dell’Avvocatura della Regione Campania, iscritti nella Sezione Speciale dell’Albo istituito presso l’Ordine di rispettiva appartenenza, conseguentemente all’attivazione di un sistema di accertamento automatico delle presenze da applicarsi a tutto il personale dipendente della Giunta Regionale, dapprima disposta con la circolare prot. n. 2008.0940738 dell’11.11.2008 e, in seguito, disciplinata nel dettaglio con la successiva circolare prot. n. 2009.0271672 del 27.3.2009.
In particolare, con il primo atto, il coordinatore dell’Area Generale di Coordinamento Affari Generali – Gestione e Formazione del Personale, Organizzazione e Metodo – della Giunta Regionale della Campania ha, originariamente, previsto l’attivazione del SIGREP (Sistema di rilevazione automatica delle presenze) per il personale in servizio.
Di poi, il medesimo dirigente apicale ha emanato la circolare prot. n. 2009.0271672 del 27.3.2009, con la quale ha stabilito che, a decorrere dal 20.4.2009, sarebbe stata effettivamente avviata la rilevazione delle presenze attraverso la messa in funzione del predetto sistema automatico, comprendendo nel personale anche gli avvocati addetti all’ufficio legale regionale.
I ricorrenti hanno, pertanto, adìto il Tribunale Amministrativo Regionale per reclamare l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione e concessione di idonee misure cautelari urgenti, di tali circolari, ricevendo, a sostegno, l’intervento ad adiuvandum da parte dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, di Nola e di Salerno, i quali, in precedenza, avevano già rilevato, con deliberazioni dal contenuto pressoché omogeneo, l’incompatibilità del sistema SIGREP con l’esercizio delle funzioni svolte dai legali dell’ente regionale.
La statuizione in commento, emessa dai giudici salernitani posteriormente al decreto cautelare n. 361/2009, adottato inaudita altera parte dal presidente della Sezione II del T.A.R., ha superato anche lo scrutinio del Consiglio di Stato, che, con ordinanza n. 3967/2009, ha condiviso le motivazioni addotte nella sospensiva di primo grado.
3. Orbene, i giudici salernitani hanno ritenuto insussistente, per i legali della Regione Campania, l’obbligo di soggiacere alla rilevazione automatica delle presenze in servizio, così come specificamente operante secondo il sistema SIGREP, conformemente ai principi affermati dal dominante indirizzo ermeneutico che riconosce ineludibilmente agli avvocati, ancorché incardinati nelle amministrazioni pubbliche, autonomia e indipendenza nell’esercizio dell’attività professionale (da ultimo, ex multis, Cass., sez. un., 19 agosto 2009, n. 18359, in www.lexitalia.it, n. 7-8/2009; Cons. St. 29.12.2009, n. 8870, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. V, 15.10.2009, n. 6336, in www.federalismi.it; Cons. Giust. **********************, sez. giurisdizionale, 15.10.2009, n. 932, in www.lexitalia.it; n. 9/2009).
Le ragioni poste a base del dictum cautelare sono ancorate a due essenziali presupposti motivazionali.
Il primo di essi è direttamente connesso alla peculiarità dello status giuridico di cui godono gli avvocati dipendenti della p.a. e, dunque, anche della Regione, i quali, pur essendo pubblici dipendenti, non svolgono funzioni pienamente assimilabili a quelle del restante personale dell’amministrazione, stante lo svolgimento, in via esclusiva, dell’attività forense per le cause e per gli affari propri dell’ente presso cui prestano servizio.
Il secondo motivo, a sostegno della decisione annotata, è immediatamente correlato alla inidoneità del SIGREP a consentire la rilevazione delle presenze di tali avvocati, atteso che la rigidità del funzionamento e l’indifferenziata regolazione di siffatto sistema automatico non consentono di tenere nella dovuta considerazione proprio la diversità e la particolarità del servizio svolto dal personale legale, che si caratterizza per compiti ed attività svolti diffusamente all’esterno degli uffici regionali.
I magistrati di piazza San Tommaso d’****** hanno, dunque, riconosciuto l’irreparabilità e la gravità del pregiudizio patito dagli istanti, ribadendo il principio a mente del quale gli avvocati in servizio presso le avvocature pubbliche combinano la duplice qualificazione di dipendenti pubblici, da un lato, e, dall’altro, di iscritti nell’elenco speciale annesso all’Albo, essendo, per tale ragione, obbligati all’espletamento dei doveri implicati dall’esercizio dello jus postulandi dinanzi all’autorità giudiziaria secondo i canoni di autonomia e indipendenza, con la conseguente illegittimità di una loro parificazione agli altri dipendenti incaricati di ordinarie mansioni amministrative.
4. L’ordinanza in esame assume, allora, particolare interesse giacché tende a risolvere l’apparente antinomia esistente tra i citati principi di autonomia e indipendenza, connaturati alla professione dell’avvocato (anche della struttura pubblica) e individuati dalla disciplina dell’ordinamento professionale di cui al r.d.l. 27.11.1933, n. 1578, e la potestà di autoorganizzazione riconosciuta alle amministrazioni pubbliche.
Infatti, il decisum cautelare del T.A.R. di Salerno si fonda proprio sul giusto contemperamento dei due cardini fondamentali su cui si impernia il tratto distintivo delle avvocature pubbliche: da una parte, la posizione autarchica con cui gli avvocati esercitano la funzione legale, senza vincoli gerarchici propri, in relazione alla quale è da ritenersi estranea ogni altra attività di gestione nell’ambito della medesima amministrazione; dall’altra, l’inserimento degli stessi nell’asset organizzativo dell’amministrazione nel cui interesse svolgono l’attività forense.
A ben vedere, è proprio l’antinomia sopra ricordata ad aver generato le altalenanti pronunce con cui la giurisprudenza ha affrontato il problema dell’autonomia ed indipendenza dell’ufficio legale delle amministrazioni pubbliche in riferimento alla qualificazione attribuibile allo stato giuridico degli avvocati ad esso addetti, estrapolando le ragioni poste a fondamento delle decisioni assunte dalla formula “negativa” adottata dall’art. 3 del r.d.l. n. 1578/1933 (********, Verso uno statuto unitario dell’Avvocatura pubblica?, Relazione al Convegno “Le nuove frontiere dell’esercizio della professione forense nell’era della globalizzazione”, Centro italiano di studi amministrativi, 10 dicembre 2007).
A tenore di tale norma, infatti, la posizione dell’avvocato in servizio presso uffici legali istituiti in enti statali, territoriali e locali è considerata “derogatoria” rispetto alla più generale incompatibilità sussistente fra l’esercizio della professione legale e qualunque altro impiego o ufficio retribuito.
Più precisamente, dopo aver disposto, al secondo comma, che l’esercizio della professione di avvocato è «incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni», il predetto art. 3 del r.d.l. n. 1578/1933 detta, al quarto comma, lettera b, una esplicita eccezione per «gli avvocati [ed i procuratori] degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera», imponendo che essi siano «iscritti nell’elenco speciale annesso all’Albo».
A fare da pendant a tale precetto è anche la sentenza della Suprema Corte della Nomofilachia, pronunciata a Sezioni Unite, in cui è contenuta la summa dei presupposti cui è subordinata l’iscrizione nell’elenco speciale, sopra ricordato: l’esistenza, nell’ambito dell’ente pubblico, di un ufficio legale quale unità organica autonoma; l’inquadramento dell’avvocato richiedente l’iscrizione nell’ufficio legale dell’amministrazione di cui è dipendente, con incarico professionale limitato alle cause ed agli affari propri dell’ente (Cass., sez. un., 25.11.2008, n. 28049, Giust. civ., Mass., 2008, 11, p. 1678).
5. La disposizione, dunque, sotto il profilo soggettivo, comporta il riconoscimento di una situazione giuridica particolare in capo agli avvocati pubblici, mentre, sotto il profilo oggettivo, presuppone, in relazione alla collocazione dell’Avvocatura nella struttura pubblica, la necessità di considerare un’autonoma e indipendente organizzazione operativa che consenta, da una parte, l’inserimento nell’organigramma delle amministrazioni e, dall’altro, il libero esercizio delle funzioni che connotano particolarmente la prestazione lavorativa del professionista legale (S. Siracusa, Autonomia e indipendenza delle avvocature pubbliche nell’organizzazione amministrativa, in www.diritto.it).
Tale condizione rende, pertanto, evidente come l’esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici debba esplicarsi attraverso l’istituzione di appositi uffici legali, costituendo una modalità tipica dell’esercizio della professione da parte degli avvocati pubblici.
Ciò obbedisce, infatti, alla palese finalità di salvaguardare i dipendenti che svolgono attività di assistenza, rappresentanza e difesa in giudizio per conto dell’amministrazione di appartenenza in un’apposita struttura organizzativa che valga, da una parte, ad inserirli nel più generale ordinamento dell’ente e, dall’altra, a consentire e ad assicurare l’autonomo esercizio delle loro particolari funzioni, in assenza del quale verrebbe meno la natura professionale dell’attività svolta.
In tal modo, il rispetto del richiamato art. 3 del r.d.l. 27.11.1933, n. 1578, può dirsi verificato, in concreto, non solo quando sussista un’apposita ed autonoma struttura deputata all’assolvimento delle peculiari funzioni degli avvocati dipendenti di enti pubblici, ma anche quando a questi ultimi sia, comunque, garantita l’indipendenza nell’esercizio dello jus postulandi e l’autonomia di movimento ad esso indubbiamente connessa, essendo sganciati dalla “piramide” gestionale dell’amministrazione.
E ciò scaturisce dalla fondamentale ragione per cui il coinvolgimento, diretto o indiretto, degli avvocati degli uffici legali nelle attività di gestione delle unità amministrative, oltre a far venir meno il carattere dell’esclusività, potrebbe determinare, sebbene solo potenzialmente, un conflitto d’interessi (Cass., sez. un., 19 agosto 2009, n. 18359, in www.lexitalia.it, n. 7-8/2009) e una confusione di ruoli e di responsabilità.
Tanto è vero che, proprio a fronte di ciò, è stata affermata l’illegittimità dell’atto con cui l’amministrazione prevede di subordinare gerarchicamente l’Avvocatura ad un dirigente di unità operativa, dato che la peculiarità dell’attività forense, per cui l’avvocato è libero di esercitare la difesa del proprio patrocinato, mal si presta ad essere inquadrata in una struttura di tipo gerarchico che non assicura, oltre alla libertà dell’esercizio dell’attività di difesa anche l’autonomia del professionista nella trattazione degli affari giuridico-legali (Cons. Giust. **********************, sez. giurisdizionale, 15.10.2009, n. 932, in www.lexitalia.it; n. 9/2009; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 30.3.2009, n. 255, in www.giustizia-amministrativa.it).
Peraltro, seppure non sia imposto al datore di lavoro pubblico di prevedere un’organizzazione degli uffici tesa a far corrispondere necessariamente all’ufficio legale una struttura apicale, la legge professionale forense ammette, comunque, che tale ufficio sia del tutto autonomo dagli apparati amministrativi, anche estrinsecandosi in un apposito servizio istituito nell’ambito degli uffici di staff superiore, svincolato da qualsiasi altro settore (in tal senso, Cons. St., 29.12.2009, n. 8870, in www.giustizia-amministrativa.it).
Può, dunque, notarsi come la norma di cui all’art. 3 del r.d.l. 27.11.1933, n. 1578, citata in precedenza, contempli semplicemente l’istituzione dell’ufficio legale, disinteressandosi completamente della struttura organizzativa, atteso che la finalità da essa stessa perseguita è riconducibile ad una garanzia di tipo funzionale, correlata all’attività esercitata dall’avvocato pubblico e legata intimamente al riconoscimento dello status professionale peculiare dell’iscritto all’elenco speciale annesso all’Albo.
Con ciò diviene imprescindibile assicurare, nel contempo, l’inserimento nell’assetto organizzativo dell’ufficio legale e l’autonomia funzionale del professionista, dovendosi coerentemente distinguere, da una parte, l’attività legale e, dall’altra, l’attività amministrativa (così anche Cons. St., sez. V, 15.10.2009, n. 6336, in www.federalismi.it).
In tal senso, la dottrina si è spinta a considerare che l’autonomia funzionale del professionista rappresenta «il vero e proprio bene protetto dalla normativa» (***********, Riforma dell’ordinamento professionale forense. Il ruolo delle Avvocature degli enti pubblici, Relazione al Convegno del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, 27.10.2009, in www.unaep.it).
Ed entro tale solco interpretativo, seguito dal Consesso giurisdizionale amministrativo salernitano, si è posta l’ordinanza cautelare in esame.
6. La stessa giurisprudenza, nel riconoscere l’esclusività delle prestazioni dell’avvocato pubblico (Corte Cost., 27.3.2009, n. 91, in www.cortecostituzionale.it; Corte Cost., 21.11.2006, n. 390, in www.giurcost.org), ammettendo, parallelamente, il potere di autogoverno delle amministrazioni pubbliche in materia di istituzione di propri organi tecnico-legali, è giunta ad affermare esplicitamente che «la deroga dalla disposizione medesima consentita al principio dell’incompatibilità dell’esercizio della professione forense con gli impieghi retribuiti comporta, da un lato, la garanzia che l’attività espletata sia di natura forense, ma, dall’altro, una specifica limitazione delle facoltà proprie del libero professionista e la sussistenza, rispetto a quest’ultimo, degli obblighi giuridici che scaturiscono dal rapporto di lavoro; con la conseguente compatibilità della professione così esercitata con la qualifica di impiegato rivestita dall’avvocato» (Cons. St., sez. V, 16.11.2004, n. 6023, in Comuni d’Italia, 2004, 12, p. 72; vedasi anche Corte Cost., 28.7.1988, n. 703, in www.cortecostituzionale.it, in relazione alla peculiarità del rapporto e alla necessità di svolgimento dell’attività professionale all’esterno dell’ufficio, nonché Cons. St., sez. IV, 30.4.1998, n. 703, in Foro Amm., 1998, p. 1724; Cass., sez. un., 24.4.1990, n. 3455, in Foro it., 1990, I, p. 1493).
Valga, in tal senso, considerare, altresì, che, pur non ritenendosi preclusa la sottoposizione dei legali dipendenti da un’Avvocatura pubblica ad un’attività di valutazione esercitata da organi delle amministrazioni pubbliche, nell’ambito dei controlli interni previsti dalla legge e dai contratti collettivi di lavoro nazionali o decentrati (in particolare, negli enti locali), qualunque modalità di verifica non solo deve «necessariamente esulare dal controllo sulle autonome modalità di esercizio della professione forense» ma, ancor più specificamente, «non può espandersi sino a prevedere – espressamente o surrettiziamente – forme di condizionamento e di soggezione che introducano una non tollerabile ingerenza nell’autonomia di giudizio e di iniziativa nella trattazione degli affari giuridico-legali attinenti specificamente alle competenze che il professionista può svolgere in virtù della sua iscrizione al relativo albo professionale, e che costituisce la ratio stessa del regime di incompatibilità di cui all’art. 3, ultimo comma, della menzionata legge forense n. 1578 del 1933» (Corte cont., sez. reg. controllo Campania, Del/Par 26.3.2009, n.14, in www.cortedeiconti.it).
Non a caso la dottrina ha, in proposito, dato una definizione dell’autonomia dei legali pubblici coniando la colorita espressione di “libertà della toga”, ritenendo ammissibile che tali avvocati possano essere soggetti alla limitazione derivante da un rapporto di lavoro subordinato soltanto nell’eccezionale caso in cui appartengano ad una Avvocatura pubblica (********, Riforma necessaria a tutela dell’autonomia, in Guida agli Enti locali, n. 39, 3 ottobre 2009, p. 65 ss.), essendo riconosciuti come «estranei all’apparato amministrativo» (Cass., sez. un., 18.4.2002, n. 5559, in Giust. civ., Mass., 2002, p. 664) e «posti in diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell’ente, al di fuori di ogni intermediazione» (Cons. St., sez. V, 15.10.2009, n. 6336, in www.federalismi.it; Cons. St., sez. V, 16.9.2004, n. 6023, in Comuni d’Italia, 2004, 12, p. 72; T.A.R. Sardegna, sez. II, 14.1.2008, n. 7, in Foro amm. – T.A.R., 2008, 1, p. 291).
È proprio nella disciplina contenuta nell’art. 3, r.d.l. n. 1578/1933, dunque, che trovano genesi quei principi di autonomia e indipendenza ascrivibili, da un lato, all’attività dell’avvocato pubblico e, dall’altro, alla struttura cui l’avvocato stesso deve fare riferimento, venendo precisati, per quanto ne concerne la categoricità, da quella parte maggioritaria dell’esegesi pretoria che, come rammentato, ritiene che lo svolgimento delle funzioni legali negli apparati pubblici debba compiersi in sostanziale estraneità rispetto alla restante parte dell’organizzazione amministrativa e, in particolare, delle altre partizioni dell’amministrazione (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 14.1.2008, n. 7, in Comuni Italia, 2008, 3, p. 70; T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. II, 14.1.2008, n. 7, in Foro amm. – T.A.R., 2008, 1, p. 291; Cass., sez. un., 18.4.2002, n. 5559, in Giust. civ., Mass., 2002, p. 664).
7. Su tale aspetto, costante e risalente è l’insegnamento giurisprudenziale in ossequio al quale deve essere affermata l’illegittimità dell’imposizione ai dipendenti pubblici appartenenti al ruolo legale dell’ente, con rapporto esclusivo e struttura legale ad hoc, iscritti nell’elenco speciale dell’Albo forense, di una modalità di rilevazione delle presenze eseguita in modo indifferenziato rispetto a quella prescritta per i rimanenti impiegati dell’ente pubblico (ex multis, Cons. St., sez. VI, 12.11.1996, n. 1547, in Cons. Stato, 1996, I, p. 1783; T.A.R. Sicilia, Catania, 23.2.1994, n. 205, in T.A.R., 1994, I, p. 1667; T.A.R. Lazio, sez. III, 27.9.1989 n. 1568, in T.****, 1989, I, p. 3424; T.A.R. Lazio, sez. III, 30.5.1989, n. 1115, in T.A.R., 1989, I, p. 2222; T.A.R. Puglia Bari, 9.7.1987, n. 521, in Giur. cost., 1987, II, 2, p. 675;).
In tale direzione, proprio in considerazione del disposto del predetto art. 3 del r.d.l. 27.11.1933, n. 1578, anche il T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 15.12.1987, n. 668, in Foro Amm., 1988, p. 1854, ha, da tempo, rilevato l’illegittimità del provvedimento dell’ente pubblico che mira ad imporre ai propri avvocati la rilevazione delle presenze mediante strumenti automatici.
Analogamente, la Corte Costituzionale ha riconosciuto come «secondo l’ormai costante indirizzo giurisprudenziale dei giudici amministrativi, gli avvocati e i procuratori degli enti pubblici, sono da considerarsi nello stesso tempo sia professionisti, sia impiegati, nel senso che, nello svolgimento del loro lavoro professionale hanno garantita una posizione di indipendenza e sono sottoposti al controllo dei Consigli dell’Ordine professionali». Di tal guisa, per assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, la disciplina dell’orario per gli stessi avvocati, «in base e per effetto delle varie fonti di diverso livello, non è uniforme e rigida ma articolata e differenziata a seconda delle varie situazioni ed esigenze del personale» (Corte Cost., 8.7.1988, n. 928, in www.giurcost.org).
8. Da tale angolazione, può, invero, evidenziarsi come una disciplina dell’orario di lavoro rigida ed inflessibile, unica per tutti i dipendenti dell’amministrazione pubblica di appartenenza, possa palesarsi illegittima anche perché contrastante, oltre che con la richiamata normativa di settore, con gli insegnamenti sanciti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Infatti, il relazione alla prima norma, l’illegittimità si fonderebbe sull’irrazionalità della disciplina che regola in modo uniforme situazioni oggettivamente diverse, quali, senza dubbio, quelle degli impiegati e dei professionisti legali; in relazione alla seconda norma costituzionale, invece, potrebbe configurarsi una illegittimità in rapporto alla rigidità della disciplina dell’orario, esasperata dalla rilevazione automatica, così come disposta dalla Regione Campania, incidendo negativamente sull’organizzazione degli uffici legali ed ovviamente sui risultati dell’attività svolta a cura degli avvocati, essenziale per l’amministrazione, rendendo, vieppiù, incerta per i professionisti la possibilità di un impegno adeguato e necessario ad escludere la loro responsabilità professionale.
Dunque, se è vero che l’avvocato di un ente pubblico riveste il duplice ruolo di professionista e di dipendente (e, per tale ragione, è assoggettato ai doveri derivati dal rapporto di pubblico impiego) è, parimenti, incontestabile che la disciplina dell’orario di lavoro, per effetto delle fonti di diverso livello, non può in alcun modo essere scolpita nella sua fissità ed uniformità, ma articolata e differenziata in rapporto alle differenziate esigenze del personale.
Di tal che, come innanzi affermato, la regolazione dell’orario di lavoro degli avvocati di un’amministrazione pubblica non può che fondarsi sulla peculiarità del rapporto e, contemporaneamente, sulla necessità che i legali svolgano la loro attività professionale anche all’esterno dell’ufficio, senza vedersi sovrastati dalla “spada di *******” del c.d. “cartellino marcatempo”.
9. Ha colto, dunque, nel segno il T.A.R. di Salerno nel riconoscere che il sistema in parola, limitandosi, semplicemente, alla rilevazione del personale dipendente in entrata e in uscita dal servizio, appare del tutto inadatto all’accertamento del ventaglio di ipotesi attraverso cui potrebbero concretizzarsi la presenza o l’assenza degli avvocati pubblici sul posto di lavoro, considerato che essi sono tenuti allo svolgimento dei propri compiti di ufficio anche (rectius, specialmente) al di fuori della sede lavorativa, peraltro, per periodi di tempo spesso ben superiori rispetto all’orario giornaliero obbligatorio, tenuto conto che le attività di patrocinio legale si svolgono presso sedi giudiziarie dislocate in ambito regionale e nazionale.
Quanto precede dà, altresì, contezza della necessità che il lavoro del professionista all’interno dell’amministrazione pubblica debba svolgersi in condizioni di gestione autonoma, dal momento che lo svolgimento dell’attività professionale non può essere certamente attestato dal rigoroso ossequio del vincolo predeterminato di orario, in ingresso e in uscita, non connettendosi meramente ad un’attività d’ufficio, quanto, piuttosto, esclusivamente al conseguimento di risultati consequenziali ad una prestazione di opera professionale.
Sotto altro profilo, va, ulteriormente, evidenziato come gli appartenenti al ruolo legale, rispondendo direttamente al legale rappresentante dell’ente, a norma dell’art. 15 della legge n. 70/1975, si distinguano per una specifica responsabilità che, da un lato, presuppone la piena autonomia di funzione, e dall’altro una libertà di movimento correlata all’esercizio dello jus postulandi che, complessivamente, non si conciliano con un sistema di rilevazione della durata del lavoro basato sul mero computo delle ore di presenza in ufficio.
10. A conferma di siffatta esegesi possono aggiungersi altre decisive considerazioni, agganciate ad ulteriori dati normativi.
Invero, a mente dell’art. 40, comma 2, ultima parte, del d.lgs. n. 165/2001, «per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure tecnico scientifici e di ricerca, sono stabilite discipline distinte nell’ambito dei contratti collettivi di comparto».
Il successivo art. 69, comma 11, stabilisce poi che «in attesa di un’organica normativa della materia, restano ferme le norme che disciplinano, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, l’esercizio delle professioni per le quali sono richieste l’ abilitazione o l’iscrizione ad ordini o agli albi professionali».
Il quadro legislativo in materia è, inoltre, integrato dall’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 30/2006, ai sensi della quale «l’esercizio dell’attività professionale in forma di lavoro dipendente si svolge secondo specifiche disposizioni normative che assicurino l’autonomia del professionista» e dall’art. 33 del d.p.r. n. 333/1990, che, disciplinando l’ordinamento professionale, distingue area amministrativa, contabile e tecnica, ma non si occupa in modo preciso dell’assetto organizzativo degli uffici legali, lasciando, quindi, alla discrezionalità del vertice politico di ciascun ente l’effettuazione delle scelte ritenute in concreto più opportune.
La lettura combinata delle norme appena rassegnate, unitamente al granitico orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, persuade, pertanto, a ritenere certamente censurabile un sistema di rilevazione automatica delle presenze in ufficio, quale quello sottoposto al vaglio del collegio giudicante salernitano, che, non contemplando le doverose ed indispensabili deroghe nei confronti degli avvocati dell’ente regionale, appare idoneo ad incidere negativamente sull’articolata attività svolta da tali professionisti, tanto nelle aule di giustizia quanto nelle altre sedi ove è indispensabile esercitare efficacemente la funzione defensionale nell’interesse esclusivo dell’amministrazione di appartenenza.
11. In conclusione, deve, pertanto, ritenersi che la scelta del legislatore sia nel senso di non considerare assimilabili le due categorie di dipendenti pubblici e di valutare come prevalente la legge che disciplina l’attività dei professionisti legali rispetto alla disciplina del pubblico impiego.
Di conseguenza, non può che condividersi il commentato avviso cautelare del Tribunale Amministrativo Regionale di Salerno, atteso che la rilevazione delle presenze, così come voluta e disposta dall’amministrazione regionale secondo il sistema SIGREP, incidendo sulla libertà di azione e di movimento, inscindibilmente connesse all’esercizio dello jus postulandi, è destinata a compromettere proprio l’autonomia e l’indipendenza degli avvocati, da sempre poste alla base dello svolgimento della specifica attività professionale e, dunque, costitutive della differenziazione sussistente con gli altri dipendenti pubblici.
Ciò nondimeno, le argomentazioni del T.A.R., confermate dai giudici di Palazzo Spada, non possono essere interpretate nel senso di ammettere una generalizzata insussistenza, per i legali dipendenti di amministrazioni pubbliche, di un preciso orario di lavoro, né, dunque, di un’esenzione del correlato obbligo di accertamento delle presenze, dovendo essere, bensì, considerate nella dimensione applicativa della specifica modalità di funzionamento del sistema SIGREP, adottato dalla Regione Campania.
La verifica delle presenze può, infatti, assumere il crisma della legittimità laddove si esplichi attraverso sistemi che puntino alla registrazione del cumulo di ore lavorative effettuate, potendosi applicare una modalità flessibile di computo dell’attività effettivamente svolta anche al di fuori dell’ufficio.
In tal senso, è da ritenersi assolutamente attuale il disposto di una non recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 17.3.1994, n. 346, in Cons. Stato, 1994, I, p. 445, alla stregua della quale ancorché i legali pubblici non siano sottratti alle limitazioni e ai doveri derivanti dal rapporto di impiego pubblico, pur essendo dotati di indipendenza professionale nell’esercizio dei compiti loro demandati, essi devono, tuttavia, essere soggetti a «speciali modalità» di accertamento dell’orario di lavoro, «in ragione della peculiarità della prestazione del servizio».
In questa prospettiva, una diversa modalità di rilevazione delle presenze in servizio degli avvocati dipendenti della Regione Campania appare atto pressoché necessario.
Pasquale D’**********
N. 00443/2009 REG.ORD.SOSP.
N. 00662/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
Sul ricorso numero di registro generale 662 del 2009, proposto da:
*** *** ed altri, rappresentati e difesi dagli avv. ************, ******************, ***************, ***************, ***************, con domicilio eletto presso l’avv. ****************** in Salerno, largo ************, N.15;
contro
Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. *************** e *****************, con domicilio eletto in Salerno, c.so *********,33 presso l’Avvocatura Regionale;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, rappresentato e difeso dall’avv. ***************, con domicilio eletto in Salerno, via Incagliati,2 c/o avv. **********;
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola, rappresentato e difeso dagli avv. **********, *******************, con domicilio eletto in Salerno, L..go ************ c/o avv. **********; Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno, rappresentato e difeso dagli avv. **************** e ***********, con domicilio eletto presso l’avv. **************** in Salerno, via Roma, 61;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
della circolare prot.2009.0271672 del 27/03/2009 avente ad oggetto attivazione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, nella parte in cui assoggetta allo stesso anche gli Avvocati dell’Avvocatura Regionale;
della circolare regionale prot. n. 2008.0940738 dell’11-11-2008;
di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale;.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Campania;
Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della legge 6 dicembre 1971, n. 1034;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14/05/2009 il dott. ************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Rilevata la peculiarità dello status degli Avvocati dipendenti della Regione, che non ne consente la piena assimilabilità al restante personale;
Rilevato che il sistema di rilevazione automatica SIGREP, nella sua attuale rigidità ed indifferenziata regolazione, non tiene conto della suddetta diversità né della particolarità del servizio svolto dal personale legale, il quale si caratterizza per delicati compiti ed attività in gran parte svolti all’esterno degli Uffici;
Ritenuto, per l’effetto, che sussistono i presupposti per la concessione dell’invocata misura cautelare;
P.Q.M.
Accoglie la domanda cautelare proposta.
La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 14/05/2009 con l’intervento dei Magistrati:
**********************, Presidente
**************, ***********, Estensore
**************, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 15/05/2009.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento