Avvocato inadempiente, risoluzione contratto d’opera professionale con effetti retroattivi

Redazione 15/06/18
La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 14895 dell’8 giugno 2018, ha respinto la domanda proposta da un avvocato, volta ad ottenere il proprio compenso professionale per l’attività prestata in favore di due coniugi, in una causa di risarcimento danni da sinistro stradale. Nessun compenso spetta dunque al legale, in quanto la Corte ha confermato, su istanza degli assistiti, la risoluzione del contratto d’opera professionale con effetti retroattivi, per inadempimento del legale medesimo.

La vicenda

Questa in particolare la vicenda. Il legale qui ricorrente chiese ed ottenne dal Tribunale l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti degli assistiti, per un credito derivante dall’assistenza degli stessi in un procedimento promosso, a seguito di un sinistro stradale, nei confronti di due compagnie assicurative. Senonché i coniugi proposero opposizione al decreto, chiedendo che fosse dichiarata la risoluzione del contratto d’opera professionale tra di essi e l’avvocato, con conseguente restituzione degli acconti versati, per inadempimento del professionista, accusato di non aver prospettato agli attori alcun minimo dubbio circa l’esito favorevole della lite (conclusasi poi in sfavore degli stessi), di non aver mai chiesto agli attori medesimi di procurarsi la documentazione medica e medico – legale necessaria e di aver dedotto capitoli di prova orale generici, così violando il dovere di diligenza nella conduzione della causa.

Risolto il contratto d’opera, il legale restituisce gli acconti

Il Tribunale – con decisione confermata anche in secondo grado –  accolse l’opposizione e ritenne accertato l’inadempimento del legale, con conseguente risoluzione del contratto d’opera professionale intercorso fra le parti e revoca del decreto ingiuntivo opposto (oltre alla condanna dell’avvocato alla restituzione degli acconti ricevuti). Avverso la pronuncia d’appello, il professionista proponeva ricorso in Cassazione, precisando, tra l’altro, che essendo il contratto d’opera in questione ad esecuzione continuata, la risoluzione non avrebbe dovuto essere pronunciata con effetto retroattivo. Oltretutto le parti avevano dedotto il presunto inadempimento solo con riferimento alla fase d’appello, per cui la risoluzione, tutt’al più, avrebbe dovuto limitarsi alla suddetta fase.

Nel giudizio di Cassazione, precluse nuove questioni non trattate nel merito

Censure tuttavia respinte dai Giudici Supremi, in quanto – specie laddove si paventava l’inammissibilità della risoluzione retroattiva – mai dedotte delle fasi di merito. Invero, ricordano gli Ermellini, nel giudizio di Cassazione è precluso alle parti prospettare nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini o accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito.

Ove pertanto nel ricorso per Cassazione siano portate avanti nuove questioni di cui – come nella specie – non vi sia alcun cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso e a pena di inammissibilità dello stesso, ha l’onere di allegare e di riportare dettagliatamente gli esatti termini in cui la questione sia stata posta da lui in primo e secondo grado e di indicare in quali atti del giudizio precedente lo abbia fatto. Poiché nel caso di specie ciò non è avvenuto, la Corte rigetta il ricorso e condanna l’avvocato ricorrente al pagamento delle spese di lite.

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