MASSIMA: “il bene della vita a cui aspira la ricorrente è rappresentato dalla certificazione dei crediti da essa vantati nei confronti dell’amministrazione onde l’esperimento del rimedio giurisdizionale del silenzio quale strumento processuale per la piena tutela dell’interesse fatto valere” (T.A.R., Calabria, Reggio Calabria, 26 agosto 2015, n. 870).
Per meglio comprendere il tema sul quale si discute e le ragioni giuridiche che inducono il Giudice amministrativo a mutare il suo convincimento in merito alla propria giurisdizione in materia, è opportuno trattare brevemente l’istituto della certificazione dei crediti.
Con i Decreti Ministeriali n. 61398 del 22 maggio 2012 e n. 61706 del 25 giugno 2012, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha attivato un procedimento di certificazione utile a favorire lo smobilizzo dei crediti vantati nei confronti di una pubblica amministrazione.
Entrambi i Decreti disciplinano, rispettivamente, le modalità di attuazione e svolgimento del procedimento di certificazione di crediti relativi a somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali (che siano certi, liquidi esigibili e non prescritti), vantati nei confronti non solo delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali, ma anche nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del servizio sanitario nazionale.
Oltre ai predetti decreti ministeriali, il procedimento in questione è regolamentato da un corposo impianto normativo che grazie ai costanti aggiornamenti, ha perfezionato e reso più agevole ogni singola fase della procedura.
Fatto un breve cenno sulla nascita dell’istituto, occorre individuare sinteticamente i passaggi salienti che il creditore è tenuto a seguire per ottenere la certificazione dei crediti.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Generale dello Stato ha predisposto un procedimento di certificazione dei crediti attualmente gestito da una piattaforma telematica che ha sostituito l’ordinario sistema di deposito cartaceo delle istanze presso gli sportelli abilitati nelle varie Amministrazioni debitrici.
L’inizio del procedimento di certificazione avviene con il deposito dell’istanza di certificazione presso la P.A. nei confronti della quale il creditore vanta il credito certificabile.
La P.A. entro il termine di 30 giorni decorrente dalla ricezione dell’istanza e solo dopo aver svolto gli opportuni accertamenti ha l’obbligo di emettere l’atto certificativo del credito ovvero a rilevarne l’inesigibilità o l’insussistenza anche parziale,
Se la P.A. non adempie entro il termine stabilito, il creditore ha la possibilità di chiedere all’Ufficio Centrale di Bilancio o alla Ragioneria Territoriale dello Stato la nomina di un commissario ad acta, ex art. 9, comma 3 bis, del D.L. 185/2008, il quale, operando in qualità di organo straordinario dell’amministrazione, e solo dopo aver effettuato le opportune verifiche, provvede in sostituzione dell’Amministrazione inadempiente entro 50 (cinquanta) giorni dalla nomina.
Una volta conclusa la procedura ed ottenuto l’atto certificativo, il creditore che decide di non attendere il pagamento delle somme da parte della P.A. (entro il termine indicato nella certificazione stessa) può scegliere se effettuare la cessione, anche parziale, o pretendere un’anticipazione a valere sullo stesso presso una banca o un intermediario finanziario, oppure chiedere all’Agente della riscossione la compensazione di tutto o parte del credito certificato con somme dovute a seguito di iscrizione al ruolo o per debiti sorti in base agli istituti definitori della pretesa tributaria e deflativi del contenzioso tributario.
Il legislatore, in caso di inadempienza della P.A. nella certificazione dei crediti, ha previsto la possibilità di nominare un Commissario ad acta, ma non ha disciplinato la circostanza in cui anche lo stesso Commissario rimane inadempiente al compimento di tale obbligo certificativo.
Invero, è proprio innanzi all’inerzia del Commissario ad acta, che il creditore di una P.A. sembrerebbe sfornito di tutela.
In realtà, lo stesso creditore, attraverso l’istituto del “ricorso avverso il silenzio” ex art. 117 del codice del processo amministrativo, ha la possibilità di adire il Giudice al fine di ottenere una sentenza che condanna il Commissario ad acta ad esercitare il proprio potere amministrativo adempiendo, così, all’obbligo certificativo.
Il T.A.R. Molise, Campobasso, con la sentenza n. 324 del 23 maggio 2014, è stato il primo Giudice amministrativo che si è pronunciato su un ricorso proposto avverso il silenzio serbato dal Commissario ad acta nominato ai sensi dell’art. 9, comma 3 bis, del D.L. 185/2008 nel procedimento telematico di certificazione dei crediti vantati nei confronti di una Pubblica Amministrazione.
In occasione di questo timido esordio, il Giudice amministrativo investito della controversia ha manifestato scetticismo sulla propria competenza in materia dichiarando il proprio difetto di giurisdizione ed indicando nell’Autorità giudiziaria ordinaria il giudice nazionale fornito di giurisdizione in materia.
Secondo il T.A.R. molisano, dopo un preliminare esame delle posizioni giuridiche soggettive fatte valere nel giudizio, ha concluso statuendo che il procedimento di certificazione “si tratta, dunque, di un’attività vincolata dell’Amministrazione, per la quale, accertati i presupposti di legge, non residuano margini di discrezionalità per la decisione sul rilascio della certificazione, di guisa che la posizione dedotta in giudizio è quella del diritto soggettivo, non già la posizione di interesse legittimo”.
Di segno opposto, invece, è stata la sentenza n. 870 del 26 agosto 2015 del T.A.R. di Reggio Calabria per la Calabria, con la quale il Giudice Amministrativo è stato adito per la seconda volta per accertare l’illegittimità del silenzio inadempimento del commissario ad acta nominato nel procedimento di certificazione dei crediti commerciali vantati verso una Pubblica Amministrazione.
La sentenza n. 870 / 2015 cit, è la prima pronuncia con la quale il Giudice Amministrativo ha riconosciuto, seppur in modo implicito, la propria giurisdizione in materia di silenzio inadempimento serbato dal Commissario ad acta nominato nel procedimento telematico di certificazione dei crediti vantati nei confronti di una Pubblica Amministrazione.
Nell’istaurato giudizio innanzi la sezione staccata del T.A.R. per la Calabria, la ricorrente chiedeva in via principale, ai sensi dell’art. 31 comma 3 c.p.a., di accertare la fondatezza della pretesa alla certificazione del credito e la condanna del commissario ad acta ad adempiere al rilascio del predetto atto certificativo, mentre in via subordinata chiedeva di accertare, nella forma più generica tipica dell’art. 31, comma 1 c.p.a., l’obbligo del Commissario ad acta di provvedere e di condannare lo stesso ad adempiere.
Nelle more del giudizio si costituiva il Commissario ad acta, che eccepiva preliminarmente l’inammissibilità del ricorso sull’assunto che la posizione soggettiva fatta valere nel giudizio dalla ricorrente avesse la sostanza di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, in quanto pretesa volta a conseguire una certificazione relativa a diritti di credito compiutamente normativizzata e perfezionata in presenza dei presupposti previsti dalla legge.
A chiosa dell’eccezione di inammissibilità della domanda, il Commissario ad acta concludeva ritenendo che “…trattandosi di diritto soggettivo perfetto inerente ad un diritto di credito e, dunque, patrimoniale e, contestualmente, di attività della p.a. ad emanazione e a contenuto vincolato, il silenzio serbato dall’Amministrazione non può essere qualificato come silenzio rifiuto o inadempimento e, dunque, illegittimo e conseguentemente non può essere esperita l’azione avverso il silenzio…”.
Nella camera di consiglio del 10 giugno 2015 il collegio Calabrese nel definire il giudizio dichiarando cessata la materia del contendere rilevava nella parte motiva della sentenza che: “…il bene della vita a cui aspira la ricorrente è rappresentato dalla certificazione dei crediti da essa vantati nei confronti dell’amministrazione onde l’esperimento del rimedio giurisdizionale del silenzio quale strumento processuale per la piena tutela dell’interesse fatto valere…”.
Ed è proprio con questa pronuncia di merito, il T.A.R. di Reggio Calabria ha riconosciuto implicitamente la propria giurisdizione sull’azione di accertamento dell’illegittimità del silenzio inadempimento del commissario ad acta nominato nel procedimento di certificazione dei crediti commerciali vantati verso una Pubblica Amministrazione.
Le ragioni giuridiche pose all’attenzione del Giudice calabrese erano sottese a dimostrare come la posizione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio fosse quella di interesse legittimo, partendo dal presupposto che, come affermato da autorevole dottrina, l’interesse legittimo è “la posizione di vantaggio fatto ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad un utilità oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa utilità” (Cfr, NIGRO, 2002, Giustizia Amministrativa).
Preme precisare, a questo punto, che nel procedimento di certificazione dei crediti, il commissario ad acta non viene nominato da un Autorità giudiziaria, ma bensì dagli Uffici Centrali di Bilancio o dalle Ragionerie Territoriali dello Stato entro 10 giorni dal ricevimento della richiesta di nomina presentata dal creditore, e la sua natura è quella di organo straordinario della pubblica amministrazione che, in ragione della sua attribuzione esercita, in via sostitutiva, la potestà amministrativa dell’organo rimasto inadempiente.
Nel caso di specie, il bene della vita a cui aspira la ricorrente consiste nel rilascio della certificazione dei crediti da parte del commissario ad acta; e poiché il Commissario ad acta nominato nel procedimento di certificazione è un organo straordinario della pubblica amministrazione, la sua attività posta in essere per l’adempimento di tale certificazione si concretizza con l’esercizio del potere amministrativo.
A tal proposito, si segnala che in dottrina vi è un principio di rilievo, e per nulla controverso, quello secondo il quale l’interesse legittimo non è una posizione giuridica soggettiva assoluta, ma è correlata all’esercizio del potere amministrativo.
Ne deriva, dunque, che l’interesse legittimo inteso nel caso di specie quale aspirazione del bene della vita individuato nella certificazione dei crediti può essere soddisfatto solo grazie all’esercizio del potere amministrativo, posto in essere dal Commissario ad acta e il silenzio è l’unico strumento utile per ottenere una tutela immediata del bene della vita.
Difatti, nel caso di inerzia del commissario ad acta, l’aspirazione al rilascio della certificazione del credito può essere soddisfatta soltanto attraverso la proposizione di un “ricorso avverso il silenzio” ex art. 117 del codice sul processo amministrativo, ovvero, ottenendo una sentenza che, accertato l’obbligo di provvedere, disponga la condanna ad adempiere del commissario ad acta.
In aggiunta, volendo osare, è possibile ritenere ammissibile anche l’applicazione del disposto di cui all’art. 31, comma 3 c.p.a., in base al quale il Giudice adito può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio nel caso in cui non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione, tenendo in considerazione che, comunque, l’attività posta in essere dal Commissario ad acta è vincolata, poiché, come sopra accennato, il suo obbligo di provvedere è sancito dall’art. 9, comma 3 bis, del D.L. n. 185/2008.
In conclusione, ad ulteriore sostegno della tesi favorevole alla giurisdizione del Giudice amministrativo in materia di silenzio del Commissario ad acta nominato per la certificazione dei crediti, si potrebbe, addirittura, ipotizzare un ritorno della teoria della degradazione del diritto soggettivo ad interesse legittimo.
A tal proposito, laddove si volesse ritenere che la posizione giuridica fatta valere nel sopra richiamato giudizio sul silenzio debba qualificarsi come diritto soggettivo, è possibile ammettere, soprattutto in questa circostanza, la sua degradazione ad interesse legittimo.
Come si è già argomentato, infatti, il bene della vita consiste nel rilascio da parte del Commissario ad acta della certificazione dei crediti; e poiché il Commissario ad acta è un organo straordinario della Pubblica Amministrazione e la sua attività posta in essere per l’adempimento di tale certificazione consiste nell’esercizio del potere amministrativo, non vi è alcun dubbio che la posizione giuridica di diritto soggettivo degrada ad interesse legittimo, atteso che una piena tutela può essere garantita solo con il legittimo esercizio della potestà amministrativa.
Da ciò ne consegue, quindi, che in materia di certificazione dei crediti, il creditore che subisce l’inerzia del Commissario ad acta ha la possibilità di adire il Giudice Amministrativo esperendo il rito speciale del silenzio ex art. 117 del codice sul processo amministrativo al fine di ottenere una sentenza che condanni lo stesso ad adempiere all’obbligo certificativo.
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