Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 33954 del 2023 hanno chiarito i termini del dibattito sorto attorno alla residualità dell’azione di ingiustificato arricchimento previsto dall’art. 2042 c.c.
La questione rimessa al Supremo Consesso riguardava la corretta interpretazione del criterio di residualità, e più nello specifico, se potesse ritenersi corretta l’interpretazione giurisprudenziale che individuava tale presupposto nella mancanza di un’azione tipica – fondata su di un titolo giustificativo derivante da un contratto o prevista dalla legge, e che, di conseguenza, ritiene ammissibile la domanda di ingiustificato arricchimento anche quando l’azione spettante all’impoverito è prevista da clausole generali come nel caso della responsabilità aquiliana o della responsabilità precontrattuale.
Inoltre, ci si chiedeva se potesse ritenersi ammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento laddove la residualità sia derivata da un comportamento imputabile all’impoverito che, per la sua negligenza o inerzia, abbia perso la possibilità di proporre l’azione tipica principale.
La sentenza in esame ha definitivamente risolto il contrasto giurisprudenziale in senso sfavorevole all’impoverito negligente, al quale resterebbe preclusa l’esperibilità dell’azione prevista dall’art. 2041 c.c. allorquando l’azione principale sia prescritta o decaduta.
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Indice
- 1. La questione
- 2. u003cstrongu003eFondamento dell’istituto giuridicou003c/strongu003e
- 3. u003cstrongu003eElementi costitutivi dell’ingiustificato arricchimentou003c/strongu003e
- 4. u003cstrongu003ePosizioni della dottrina sul carattere sussidiario dell’azione di ingiustificato arricchimentou003c/strongu003eu003cbru003e
- 5. u003cstrongu003eLa tesi delle Sezioni Uniteu003c/strongu003e
- 6. u003cstrongu003eIl principio di dirittou003c/strongu003e
- 7. u003cstrongu003eConclusioniu003c/strongu003e
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1. La questione
L’ordinanza interlocutoria n. 5222 del 20 febbraio 2023 della Terza sezione civile rimetteva al Primo Presidente una questione di particolare importanza sul fondamento dell’azione di ingiustificato arricchimento, in particolare, sulla preclusione della stessa a seguito della dichiarazione d’infondatezza della domanda relativa alla responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c. proposta in via principale.
La vicenda trae origine da una società proprietaria di un terreno edificabile che al momento dell’acquisto aveva presentato un piano di lottizzazione per ottenere una concessione edilizia.
Nel frattempo, la nuova amministrazione comunale aveva deciso di modificare il Piano di fabbricazione, con conseguente variazione della destinazione del terreno da residenziale ad agricolo.
La società aveva rinunciato a muovere osservazioni sul presupposto delle rassicurazioni ricevute dal Sindaco pro tempore circa il ripristino della destinazione edificatoria del terreno. In seguito, il Comune aveva deciso di adottare una modifica al piano di lottizzazione per consentire l’interramento dei cavi ad alta tensione. La società si era proposta di effettuare l’interramento, affrontando spese pari a 150.000 euro, in cambio della promessa dell’amministrazione comunale del ripristino del terreno.
Il comune disattendeva la promessa del cambio di destinazione urbanistica e la società agiva in giudizio per ottenere in giudizio la condanna dell’ente a titolo di responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c. e, in via subordinata, per far valere l’ingiustificato arricchimento del Comune a fronte delle spese previamente sostenute dalla società.
Il giudice di prime cure dichiarava infondata la domanda relativa alla responsabilità precontrattuale per difetto di prova, mentre, riteneva ammissibile la domanda relativa all’ingiustificato arricchimento.
La corte d’appello disattendeva la statuizione del Tribunale ritenendo sussistente il difetto di sussidiarietà dell’azione.
La società, dunque, decideva di ricorrere in cassazione lamentando la violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. così decisi dalla Corte d’appello.
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2. Fondamento dell’istituto giuridico
L’istituto dell’ingiustificato arricchimento è stato introdotto nell’ordinamento giuridico a partire dal 1942. Il codice civile del 1865, infatti, faceva riferimento, ai soli istituti della gestione degli affari altrui e della ripetizione d’indebito.
La norma che inquadra l’azione di ingiustificato arricchimento è contenuta nell’art. 2041 c.c. che declina il principio generale in base al quale l’ordinamento giuridico vieta gli spostamenti non sorretti da una causa in concreto. La meritevolezza e l’equilibrio contrattuale declinati in base ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2 Cost. forniscono una visione di più ampio respiro per sottolineare come l’istituto in esame rappresenti una forma di giustizia commutativa di tipo residuale atta a costituire, per l’effetto, un rimedio restitutorio di chiusura del sistema legislativo.
3. Elementi costitutivi dell’ingiustificato arricchimento
La norma di cui all’art. 2041 c.c. costituisce un fatto idoneo a produrre obbligazioni secondo l’ordinamento giuridico in base a quanto previsto dall’art. 1173 c.c.
I presupposti sostanziali dell’istituto si devono ravvisare nell’arricchimento a favore di un soggetto e il contestuale depauperamento di un terzo; il nesso di causalità tra l’arricchimento e l’impoverimento; l’inesistenza di una giusta causa a monte che giustifichi la sproporzione patrimoniale e l’assenza di un rimedio alternativo per ripristinare la situazione antecedente all’arricchimento altrui.
L’arricchimento, inoltre, costituisce il criterio quantitativo per parametrare l’entità del pregiudizio subito e del conseguente indennizzo da corrispondere al soggetto depauperato.
L’opinione maggioritaria della dottrina e della giurisprudenza, infine, ritengono che l’obbligo d’indennizzocostituisca un’obbligazione di valore suscettibile di rivalutazione monetaria.
4. Posizioni della dottrina sul carattere sussidiario dell’azione di ingiustificato arricchimento
L’art. 2042 c.c. evoca il concetto di sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento per il quale il rimedio “non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito”.
Un primo orientamento dottrinale ha sostenuto che la sussidiarietà dell’azione vada ricondotta al principio di certezza del diritto; infatti, il depauperato che dispone di altre azioni fondate su diversi titoli giustificativi fondati su legge, contratto e clausole generali non può, in via subordinata, esperire il rimedio in questione. Questa prima tesi muove dalla considerazione che l’ordinamento offre all’impoverito un valido espediente qualora non ci siano altri rimedi che possa invocare a suo favore. La conseguenza della proposta dottrinale della “sussidiarietà in astratto” mira ad evitare ingiustificate locupletazioni a carico dell’attore.
Un filone interpretativo di questa corrente dottrinale sostiene che il fondamento della sussidiarietà in astratto vada ricercato, piuttosto, nell’economia dei mezzi processuali a disposizione dell’impoverito.
La seconda tesi al confronto ritiene, invece, che la sussidiarietà vada declinata in concreto, in base ad una lettura teologicamente orientata delle finalità perseguite dall’ordinamento giuridico, cioè di considerare l’azione come rimedio generale, residuale ed equitativo. In definitiva, la presenza di altri rimedi azionabili in astratto ma in concreto preclusi offrono all’attore la possibilità di ottenere la fondatezza della domanda.
5. La tesi delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite hanno risposto al quesito formulato dalla sezione rimettente muovendo dal dato normativo dal quale non si può prescindere: l’art. 2042 c.c., infatti, “pone la regola della sussidiarietà̀ in termini generali, senza quindi distinzione tra le diverse azioni suscettibili di essere dedotte in via principale”.
L’accezione evocata dal supremo consesso tende ad identificare l’azione di ingiustificato arricchimento come rimedio restitutorio per eccellenza che mira ad evitare lo squilibrio patrimoniale tra i soggetti coinvolti, nei limiti dell’arricchimento.
Con un primo orientamento sostenuto nel 2012, la cassazione aveva preso posizione in merito alla ratio sottesa alla sussidiarietà affermando che l’esigenza principale era volta ad evitare che l’azione di ingiustificato arricchimento diventasse strumento elusivo dei limiti posti dalle azioni tipiche.
Anche l’orientamento sostenuto da Cass. 17 gennaio 2020 n. 843 ammette che la “residualità dell’azione generale di arricchimento senza causa, e pertanto il divieto di relativa esperibilità in presenza di azione tipica, trova in realtà propriamente ragione nell’esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie in favore del soggetto impoverito il quale abbia già ottenuto ristoro mediante altro rimedi”.
L’ordinanza interlocutoria n. 5222/2023 ha precisato, invece, come il criterio della residualità dell’azione di ingiustificato arricchimento debba essere ravvisato nel fatto che chi ha perso l’azione principale, e dunque non ha ottenuto il risarcimento, possa aggirare questo esito ricorrendo all’azione di arricchimento ingiustificato. Questa determinazione andrebbe ascritta, a parere dei giudici remittenti, non solo sul carattere tipico delle azioni derivanti da contratto o da legge, bensì anche quando il rigetto della domanda sia basata su clausole generali.
Le Sezioni Unite hanno precisato i contorni dell’art. 2042 c.c., chiarendo che l’azione di ingiustificato arricchimento debba ritenersi preclusa in tutti quei casi in cui l’esperibilità della domanda principale non sia ammissibile a causa del comportamento negligente dell’impoverito, come accade a seguito del dell’intervenuta prescrizione o decadenza di un diritto; nel caso della nullità del titolo contrattuale derivante da illiceità del contratto per contrasto alle norme di ordine pubblico o alle norme imperative e, infine, l’improponibilità nel merito della domanda principale per mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’attore.
6. Il principio di diritto
La sentenza n. 33954/2023 ha elaborato il seguente principio di diritto sottolineando che “Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico”.
7. Conclusioni
In definitiva, le Sezioni Unite prendono posizione circa l’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento previsto dall’art. 2041 c.c. quando la domanda principale abbia come titolo giustificativo le clausole generali previste dall’art. 1337 c.c. e dall’art. 2043 c.c. ma sia carente nei presupposti costitutivi; viceversa, siffatta azione non può essere esercitata allorquando manchi nel merito la prova del danno derivante dalla natura aquiliana o precontrattuale della responsabilità.
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