Azioni a difesa della proprietà: quali sono?

La proprietà è il diritto reale più importante del nostro ordinamento e, per tale motivo, vi sono norme che prevedono azioni a difesa della stessa, qualora questo diritto venisse leso.

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Indice

1. La proprietà

A norma dell’art. 832 c.c., si definisce la proprietà come “il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico“.
Si tratta di un diritto talmente importante che la sua tutela è prevista anche dalla Costituzione, precisamente all’art. 42 il cui comma 3 sancisce che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti“.
La medesima norma prevede che la proprietà, oltre ad essere privata, sia anche pubblica, con riferimento allo status del soggetto giuridico titolare del diritto.
Caratteristiche del diritto di proprietà (come dei diritti reali in generale) sono:
assolutezza: questo diritto può essere fatto valere erga omnes;
immediatezza del potere sulla cosa senza l’intervento di altri soggetti;
tipicità, in quanto prevista dalla legge;
patrimonialità: suscettibile di valutazione economica.

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2. Azione di rivendicazione

Tra le azioni che possono essere esperite a difesa del diritto di proprietà troviamo, in primis, l’azione di rivendicazione.
Questa ha la funzione di accertare la titolarità della proprietà e di recuperare il bene ex art. 948 c.c., il quale dispone testualmente che “il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può perseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l’attore a proprie spese o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno.
Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.
L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti di acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione
“.
Non sempre risulta facile provare il diritto di proprietà su un bene, in quanto non è sufficiente provare un valido titolo di acquisto, ma bisogna provare anche la validità degli acquisti presenti fino a giungere a quello originario. Ciò implica che bisognerà dimostrare che il possesso precedente alla perdita si sia prolungato il tempo necessario per l’usucapione (modo di acquisto della proprietà: generalmente 10 anni per le cose mobili, 20 per gli immobili). Questa è chiamata anche probatio diabolica, data, appunto, la complessità del procedimento.
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha chiarito che “nell’azione per rivendicazione l’onere della cd. ‘probatio diabolica’ incombente sull’attore si attenua quando il convenuto si difenda deducendo un proprio titolo d’acquisto, quale l’usucapione, che non sia in contrasto con l’appartenenza del bene rivendicato ai danti causa dell’attore; in siffatta evenienza detto onere può ritenersi assolto, in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, con la dimostrazione della validità del titolo di acquisto da parte del rivendicante e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere” (Cass. sent. n. 25865/2021).

3. Azione negatoria

Altra azione a difesa della proprietà è l’azione negatoria. Questa ha la funzione di far dichiarare l’inesistenza dei diritti affermati da altri sulla cosa, per rimuovere una situazione che comporti pregiudizio al bene o per scongiurare un pericolo o molestie.
Norma di riferimento è l’art. 949 c.c. il quale dispone che “il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio.
Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno
“.
L’onere della prova spetta a colui che intende difendere il suo diritto di proprietà e, in questo caso, sarà sufficiente dimostrare di possedere un titolo idoneo sul bene oggetto di disputa.
L’azione negatoria può essere proposta contro chiunque affermi di avere diritti sulla cosa e ha come scopo quello di far dichiarare l’inesistenza dei diritti vantati e la libertà della cosa dai diritti stessi.
Ad esempio, la Corte di Cassazione, in una recente sentenza, ha sancito che “in tema di ‘actio negatoria servitutis’, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché la parte che agisce in giudizio per far accertare l’inesistenza dell’altrui diritto di servitù su un fondo del quale affermi di essere il proprietario ha l’onere non già di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà del fondo, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possederlo in forza di un valido titolo, atteso che detta azione non tende necessariamente all’accertamento dell’esistenza della titolarità della proprietà, ma all’ottenimento della cessazione dell’attività lesiva, spettando, invece, al convenuto l’onere di provare l’esistenza del proprio diritto, in virtù di rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l’attività lamentata come lesiva dalla controparte” (Cass. sent. n. 1905/2023).

4. Azione di regolamento dei confini

Nel caso in cui la contestazione attiene all’estensione dei rispettivi fondi confinanti a causa dell’incertezza della linea di confine tra l’uno e l’altro, si potrà procedere con l’azione di regolamento dei confini ex art. 950 c.c.
Nello specifico, la norma dispone che “quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente.
Ogni mezzo di prova è ammesso.
In mancanza di altri elementi, il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali
“.
Secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione (sent. n. 5881/2009), per l’individuazione della linea di separazione tra fondi limitrofi la base delle indagini del giudice è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli d’acquisto delle rispettive proprietà. Solo la mancanza di indicazioni sul confine, può ammettere il ricorso ad altri mezzi di prova quali le mappe catastali.
Più recentemente, la Suprema Corte ha chiarito l’aspetto probatorio sancendo che “in tema di regolamento di confini, premesso che per determinare il confine è utilizzabile ogni mezzo istruttorio, ivi comprese la prova testimoniale e per presunzioni, il ritrovamento dei termini lapidei (nella specie, un muro la cui preesistenza era stata rilevata dal consulente tecnico e riferita dai testi escussi) già apposti dalle parti o dai loro danti causa, e dapprima non apparenti fuori del suolo, può costituire una prova decisiva, se vi era una zona di possesso promiscuo e può fondare, in tal caso, una presunzione di regolamento stragiudiziale del confine mentre, se risulta provato che vi furono modificazioni nella determinazione del confine e nella conseguente apposizione di termini, esso costituisce un indizio che il giudice di merito può apprezzare nel quadro di tutte le altre risultanze processuali” (Cass. sent. n. 34825/2021).

5. Azione di apposizione

A differenza della precedente azione a difesa della proprietà, con l’azione di apposizione di termini si vuole perseguire lo scopo di ottenere che i confini tra proprietà vicine (in questo caso certi), siano resi visibili attraverso una delimitazione materiale (staccionate, reti, muretti, etc..).
Norma di riferimento è l’art. 951 c.c. il quale dispone che “se i termini fra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni“.
La Cassazione ha chiarito che “l’azione per apposizione di termini, presupponendo la certezza del confine, implicitamente contiene l’azione di regolamento del confine, e in questa si modifica, ove, per le eccezioni del convenuto, insorga contrasto sulla linea di confine, lungo la quale i termini devono essere apposti” (Cass. sent. n. 9512/2014).

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Riccardo Polito

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