- Come funziona il mondo degli influencer
- Baby influencer: La (non) regolamentazione. Art. 32 CEDU
- Conclusioni
1. Come funziona il mondo degli influencer
L’avvento dei social networks hanno determinato una condivisione sempre maggiore della vita quotidiana da parte degli utenti, arrivando a creare delle nuove figure lavorative i c.d influencers, ossia, coloro che sono in grado di influenzare i gusti, le opinioni, le idee dei loro “seguaci”; per molte aziende le suddette figure si sono rivelate delle strategie di marketing vero e proprio, difatti, mediante delle collaborazioni tra l’azienda e lo sponsor si arriva a realizzare delle vere e proprie campagne pubblicitarie, spesso, gli influencer sono pagati per sponsorizzare il prodotto affidatogli dall’azienda ( in genere si troverà il prodotto segnalato con la seguente dicitura #ADV – #AD) o potranno beneficiare dei servizi o prodotti inerente la collaborazione (la dicitura sarà #Suppliedby), altresì i prodotti in questione potranno anche essere regalati, in tal caso, l’influencer potrà scegliere se mostrare il prodotto o meno ai propri seguaci (la dicitura sarà #giftedby – #regalo).
Il mondo dei “testimonial” è suddiviso in diverse fasce, troveremo, i mega, macro, micro e nano in base al numero dei seguaci di cui dispongono nonché alla loro capacità di “influenzare” il pubblico, difatti, più l’influencer dispone di un numero alto di seguaci più sarà elevata la sua capacità di orientare le masse, più i prodotti sponsorizzati saranno venduti.
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2. Baby influencer: La (non) regolamentazione. 32 CEDU
La professione di influencer, all’interno del nostro ordinamento, orbita intorno ad un concreto vuoto normativo, in linea generale, le parti stipulano dei contratti standard in cui l’opinion leader riceverà come compenso i prodotti sponsorizzati, difatti, solo i mega influencer riescono a percepire del denaro in cambio di pubblicità.
Uno dei grandi marketing odierni risulta essere quello inerente i prodotti dell’infanzia, difatti, vi sono moltissime “mamme influencer” che espongono i propri figli per commercializzare i prodotti oggetto delle collaborazioni accordate, seppur il suddetto lavoro risulti essere, come anticipato, caratterizzato da contorni sfumati, si tralascia l’aspetto legale finché non sconfina nell’illecito, quando i soggetti coinvolti sono esclusivamente maggiorenni, di meno quando si tratta di minori.
Ciò che si ritiene opportuno evidenziare sta nella figura del fanciullo che viene ampliamente tutelata sia all’interno del nostro ordinamento sia da fonti sovrannazionali, difatti, il benessere del minore deve essere sempre promosso e tutelato, orbene, ciò che sembra collidere con l’ art. 32 CEDU risulta essere proprio l’impiego del minore in queste collaborazioni, difatti, il genitore o tutore esercente e titolare della responsabilità genitoriale è titolare di poteri e doveri nei confronti del figlio minore non emancipato nonché obbligato a porre in essere tutte quelle attività volte a tutelarlo, in tal senso, l’utilizzo del minore per finalità commerciali violerebbe l’art. 32 CEDU in cui è espressamente vietato lo sfruttamento ai fini di lucro nonché ogni lavoro che mini lo sviluppo psico- fisico e morale del soggetto coinvolto; il suddetto articolo esprime chiaramente come l’età minima per essere ammessi al lavoro coincide con l’età in cui termina la scuola dell’obbligo.
L’analisi dell’art. 32 CEDU sembra coincidere in maniera calzante con le collaborazioni che vedono come rappresentanti i più piccoli, difatti, il genitore impiega il minore per promuovere l’oggetto frutto dell’accordo con l’azienda (es. sponsorizzare una marca di pannolini) quindi lo sfruttamento economico risiede nelle foto o video raffigurante il minore (in quanto senza questo le parti non stipulerebbero il contratto) che a sua volta consente di ricevere l’introito, il prodotto o il servizio.
Da tale situazione potrebbe altresì scaturire, nel medio e lungo periodo, un’altra problematica notevole, ossia, l’esposizione del minore sopra le piattaforme online, difatti, la tutela dei minori andrebbe interpretata in senso ampio proprio a fronte della forte tutela che il Legislatore vi ha sempre riservato, è ormai pacifico che la giurisprudenza di merito sanziona e obbliga la rimozione di foto e video di minori online qualora mancasse il consenso dei genitori ma l’aspetto interessante risiede nella volontà del minore, per meglio dire, una volta divenuto adulto il minore oltre a trovare discutibile la propria esposizione durante una fase particolarmente delicata della propria esistenza con violazione del diritto d’immagine, potrebbe rivendicare tutti gli introiti ricavati dalla propria “attività” da bebè.
3. Conclusioni
In conclusione, si ritiene che il confine tra lo sfruttamento dei minori e la libertà di scelta, nel campo della responsabilità genitoriale, sia in una posizione decisamente borderline in quanto il benessere del minore e l’ampia tutela dei diritti che lo riguardano vengono posizionati al limite per perseguire un interesse economico che sicuramente dovrebbe essere subordinato rispetto al benessere psico- fisico e morale nonché sembra venir meno la tutela del minore con la sua esposizione online, difatti, una volta introdotto il materiale in rete, seppur rimosso in un successivo momento, può dar vita ad una riproduzione da parte di terzi.
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Il testo affronta il tema del lavoro minorile in modo critico rispetto alle posizioni di chi vorrebbe eliminare del tutto la possibiltà di svolgere un’attività economica da parte di un ragazzo. La questione viene affrontata da diverse prospettive: normativo-legislativa, storica, psicologica, teorica, metodologica e delle politiche di intervento. L’ipotesi di fondo che muove il volume è che non tutte le esperienze lavorative siano da eliminare. Se lo sfruttamento e le occupazioni pericolose o dannose vanno combattute, tuttavia esistono forme di attività economiche che possono essere ritenute accettabili e che possono costituire per i ragazzi un’occasione di apprendimento e crescita, in termini di conquista di maggiore autonomia, senso di autostima, socializzazione economica. Da questo punto di vista, il lavoro degli adolescenti non va interpretato come un fenomeno patologico, che riguarda principalmente soggetti in situazione di disagio sociale o povertà, ma, al contrario, va visto come un’esperienza possibile (anche se non necessaria) per gli adolescenti di tutte le fasce sociali ed economiche, proprio per gli aspetti positivi che tale esperienza può offrire. Paula Benevene, è docente di psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso la LUMSA a Roma. Si occupa da diversi anni di lavoro minorile e di socializzazione economica degli adolescenti.
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