Conseguentemente, il mancato esercizio di tale potere [ … ] non è censurabile in Cassazione, né è configurabile un obbligo di motivazione, in assenza di una specifica richiesta, oltre che nei motivi di appello, nel corso del giudizio di secondo grado “. Tale soluzione ermeneutica filo-anomica o, perlomeno, non conforme ad alcun criterio di tassatività e di obbligatorietà è ribadita anche in Cass., sez. pen. III, 12 agosto 1993, n. 7911, ovverosia la concessione, o meno, ex officio dei benefici di cui agli Artt. 163 e 175 CP non dovrebbe essere né automatica né motivata “ anche nel caso di condanna dell’ imputato, già assolto in primo grado, su impugnazione del pubblico ministero “. A parere di chi redige, i due summenzionati Precedenti del 1997 e del 1993 rischiano di creare una precettività del comma 5 Art. 597 Cpp non conforme al granitico impianto garantistico espresso dall’ attuale Art. 111 Cost. in tema di giusto Processo.
Provvidenzialmente, sempre negli Anni Novanta del Novecento, Cass., sez. pen. V, 26 novembre 1997, n. 1099 ha precisato che, con afferenza al comma 5 Art. 597 Cpp, la motivazione del Magistrato giudicante d’ appello “ è necessaria se la richiesta [ del difensore ] non è generica ( come nella dizione << [ si richiede l’ ] applicazione di tutti i benefici di legge >> ), ma in qualche modo giustificata con riferimento a dati di fatto [ potenzialmente ] idonei all’ accoglimento della richiesta stessa “. Finalmente, Cass., sez. pen. V, 26 novembre 1997, n. 1099 ribadisce con vigore la fondamentale ratio dela motivazione espressa, tipica e, anzi, indispensabile ex comma 6 Art. 111 Cost., in tanto in quanto “ tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati “, tanto più nel caso di fattispecie estremamente delicate come quelle di cui agli Artt. 163 e 175 CP.
Entro siffatto solco democratico-garantistico di Cassazione 1099/1997 s’ innesta pure Cass., sez. pen. II, 2 giugno 1998, n. 8418, a parere della quale la concessione delle attenuanti generiche ex Art. 62 bis CP, sempre nel contesto del comma 5 Art. 597 Cpp, è applicabile ex officio anche se “ il ricorrente, nel corso del giudizio d’ appello, pur non avendo proposto motivo sul punto, aveva tuttavia specificamente indicato gli elementi a fondamento della richiesta [ implicita ], ossia l’ assenza di precedenti penali e la modesta entità del fatto criminoso “. Dunque, Cass., sez. pen. II, 2 giugno 1998, n. 8418 riconferma, se ve ne fosse ancora bisogno, che il comma 5 Art. 597 Cpp dev’ essere oggetto di applicazione d’ ufficio, in appello, nel nome del supremo Principio penalistico del favore del reo. In buona sostanza, Cass., sez. pen. II, 2 giugno 1998, n. 8418 sottrae il comma 5 Art. 597 Cpp a formalismi rigidi e rigorosi che non debbono rinvenire cittadinanza nel Diritto Processuale Penale. Quindi, la natura non espressa della richiesta di benefici non impedisce l’ applicabilità ex officio degli Artt. 163, 175 e 62 bis CP.
Tuttavia, la più recente Cass., sez. pen. II, 19 febbraio 2016, n. 15930 ritiene, invece, che l’ imputato rechi l’ onere di chiedere espressamente l’ applicazione del comma 5 Art. 597 Cpp, poiché “ è necessario che la richiesta non sia generica, ma, in quanlche modo, giustificata, con riferimento a dati di fatto [ … ] idonei all’ accoglimento della richiesta stessa “. Forse, a parere di chi commenta, Cass., sez. pen. II; 19 febbraio 2016, n. 15930 propende per una ratio formalistica e rigoristica che richiama la Procedura Civile e non la prevalenza processual-penalistica del criterio sostanziale.
Il Diritto Penale e la Procedura Penale necessitano di una concretezza garantistica che non sia mai disgiunta dal pragmatismo anti-retribuzionista di cui agli Artt. 13 e 111 Cost. ( v. anche, su tale punto, negli Anni Duemila, Cass., sez. pen. III, 12 aprile 2012, n. 23228, Cass., sez. pen. VI, 27 gennaio 2010, n. 6880 e Cass., sez. pen. VI, 26 gennaio 2004, n. 7960 ). In svariate altre Sentenze, soprattutto negli Anni Duemila, la Suprema Corte ha ribadito che i benefici di cui al comma 5 Art. 597 Cpp possono e, anzi, debbono essere applicati ex officio anche in mancanza di un’ esplicita istanza del difensore dell’ imputato. A tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 27 giugno 2011, n. 30201 parla di “ impugnabilità [ della mancata concessione dei benefici ] anche senza che vi sia stata un’ esplicita richiesta di parte [ poiché ] il potere [ di applicare il comma 5 Art. 597 Cpp ] può essere ufficioso “. Analoga interpretazione, fondata sul favore penalistico verso il reo, è contemplata pure in Cass., sez. pen. III, 9 febbraio 2017, n. 28690 nonché in Cass., SS.UU., 16 marzo 1994, n. 6563. D’ altronde, si ribadisce che l’ onere della richiesta espressa, nel campo precettivo del comma 5 Art. 597 Cpp, costituirebbe una probazione diabolica contraria alle supreme istanze garantistiche espresse negli Artt. 13 e 111 Cost. . Un tale formalismo, viceversa, è normale nell’ ambito della Procedura Civile, in cui non esiste la ratio criminalistica dell’ inviolabilità della libertà personale. Una Procedura Penale formalistica non ha alcun senso, tanto meno di fronte alla potenziale applicabilità degli Artt. 163, 175 e 62 bis CP. Quindi, giustamente, Cass., SS.UU., 16 marzo 1994, n. 6563 ha asserito che “ va riconosciuto l’ interesse dell’ imputato ad impugnare la mancata applicazione ( pur se non richiesta ) della sospensione condizionale della pena, tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio [ … ] consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa [ per il reo ] “ Probabilmente, Cass., SS.UU., 16 marzo 1994, n. 6563 intende rimarcare il perenne valore del Principio dell’ “ in dubio pro reo “.
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La svolta drammatica di Cass., sez. pen. VI, 13 luglio 2001, n. 32966. Dal Garantismo assoluto e, forse, iper-trofico al formalismo iper-tecnicisto
Con grande dispiacere per i sostenitori del Garantismo democratico-accusatorio, Cass., sez. pen. VI, 13 luglio 2001, n. 32966 ha espresso un parere radicalmente dissenziente nei confronti della precedente Giurisprudenza di legittimità, ovverosia, in tema di comma 5 Art. 597 Cpp, essa ha deciso che “ il giudice di appello può non esercitare il suo potere ufficioso di applicazione dei benefici qualora, pur ricorrendone le condizioni, manca un’ espressa richiesta da parte dell’ imputato [ poiché ] un potere discrezionale non è un dovere e [ il giudizio d’ appello ] è correlato soltanto alle richieste espressamente rivolte al giudice dalla parte potenzialmente interessata all’ esercizio di questo potere ufficioso “.
Anti-garantisticamente, almeno a parere di chi commenta, Cass., sez. pen. VI, 13 luglio 2001, n. 32966 sostiene che “ sussiste la legittimazione e l’ interesse dell’ imputato di dolersi, in sede di legittimità, della mancata applicazione d’ ufficio del comma 5 Art. 597 Cpp solo se [ il difensore dell’ imputato ] indica [ espressamente e dettagliatamente ] tutti gli elementi di fatto in base a cui il giudice d’ appello avrebbe potuto ragionevolmente e fondatamente esercitare il suo potere-dovere [ ex comma 5 Art. 597 Cpp ] “. Sempre nelle Motivazioni di Cass., sez. pen. VI; 13 luglio 2001, n. 32966, si legge pure che “ se manca l’ esplicita richiesta dei benefici, da parte del difensore dell’ imputato, non sussiste l’ obbligo di censurare [ in Cassazione ] il mancato esercizio del potere-dovere di concedere i benefici di cui agli Artt. 163 e 175 CP “. Il rigorismo formale di Cass., sez. pen. VI, 13 luglio 2001, n. 32966 probabilmente ipostatizza l’ obbligo delle Motivazioni ex comma 6 Art. 111 Cost., in tanto in quanto tale Precedente richiede un uso esplicito del comma 5 Art. 597 Cpp, il quale contempla una facoltà e non un obbligo tassativo del Giudice d’ Appello.
Purtroppo, anche la sciagurata Cass., sez. pen. VI, 10 febbraio 2005, n. 12839 s’ innesta nel solco esegetico di Cassazione 32966/2001, nel senso che “ è facoltativo l’ esercizio del potere del giudice di appello di applicare la sospensione condizionale della pena in assenza di specifiche deduzioni di entrambi le parti, privata [ il difensore ] e pubblica [ il Magistrato requirente ] “. L’ orrore formalistico di Cassazione 32966/2001 e di Cassazione 12839/2005 è ribadito, malaugurevolmente, anche in Cass., sez. pen. V, 20 settembre 2005, n. 37461, che parla, con sottile sfacciataggine anti-democratica, di “ beneficio espressamente richiesto dalla difesa “. Analogamente, Cass., sez. pen. V, 25 settembre 2007, n. 40865 afferma che l’ applicazione del comma 5 Art. 597 Cpp non è obbligatoria qualora “ pur ricorrendone, in astratto, le condizioni, mancano delle specifiche [ ed esplicite ] deduzioni delle parti “.
La sciagurata ratio iper-tecnicista di Cassazione 32966/2001 è stata ribadita pure da Cass., sez. pen. VI, 8 gennaio 2009, n. 3917, secondo la quale l’ applicazione c.d. “ ufficiosa “ dei benefici ex comma 5 Art. 597 Cpp non è obbligatoria “ in mancanza di qualsiasi deduzione di parte, [ e ] a fronte di una richiesta difensiva di mera conferma della decisione assolutoria del primo giudice “. L’ obbligo di richiesta esplicita dei benefici ex Artt. 163, 175, 62 bis e 69 CP viene richiesto anche in Cass., sez. pen. V, 23 ottobre 2009, n. 2094, a parere della quale “ il beneficio della sospensione condizionale della pena [ ex comma 5 Art. 597 Cpp ] non deve essere preso in considerazione dal giudice [ dell’ appello ] a fronte dell’ appello dell’ imputato che chiede genericamente, insieme ad una diversa qualificazione dei reati, la riduzione della pena al minimo con i doppi benefici di legge “.
Nel solco di Cassazione 32966/2001 s’ innesta pure Cass., sez. pen. VI, 27 marzo 2013, n. 14758, la quale nega anch’ essa l’ automaticità applicativa “ ufficiosa “ del comma 5 Art. 597 Cpp “ se l’ applicazione della sospensione condizionale della pena, pur se astrattamente concedibile, non è supportata da una specifica deduzione dell’ imputato “ ( a tal proposito, si veda pure la necessità di una “ esplicita deduzione “ della difesa dell’ imputato espressa in Cass., sez. pen. V, 8 ottobre 2014, n. 5581 ). Viceversa, sempre in tema di applicazione ex officio del comma 5 Art. 597 Cpp, Cassazione 12839/2005 risulta più moderata, almeno “ nel caso di reformatio in pejus della sentenza di primo grado [ e ] in accoglimento dell’ impugnazione del pubblico ministero “. Infatti, nel caso di una condanna più mite di primo grado, il comma 6 Art. 111 Cost. impone una motivazione espressa, la quale esprima l’ accoglimento o, viceversa, la reiezione non tacita dei benefici ex comma 5 Art. 597 Cpp. . Dunque, provvidenzialmente, Cassazione 12839/2005 riconosce, nonostante il predominante formalismo, la suprema ratio delle basilari garanzie processual-penalistiche contemplate negli Artt. 13 e 111 Cost.
L’ attuale approccio interpretativo della Suprema Corte al comma 5 Art. 597 Cpp. Necessita un’ interpretazione sostanziale e garantistica, oppure un’ interpretazione formalistica e sottilmente neo-retribuzionistica ?
Giustamente, Cass., SS.UU., 16 marzo 1994, n. 7346 esorta a differenziare, uno per uno, i quattro benefici in parola nel comma 5 Art. 597 Cpp, ovverosia:
- la sospensione condizionale della pena detentiva ( Art. 163 CP )
- la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale ( Art. 175 CP )
- la ( potenziale ) applicazione delle corcostanze attenuanti generiche ( Art. 62 bis CP )
- la comparazione equilibrativa tra le circostanze attenuanti e quelle aggravanti (Art. 69 CP )
Il primo caso, forse quello maggiormente delicato alla luce del comma 1 Art. 13 Cost., inerisce, sempre all’ interno del campo precettivo del comma 5 Art. 597 Cpp, la concessione o meno della sospensione condizionale della pena, di cui all’ Art. 163 CP. A tal proposito, Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533 precisa che il nodo problematico essenziale, nel contesto del comma 5 Art. 597 Cpp, consiste nel “ mancato esercizio del predetto potere ufficioso nel giudizio d’ appello [ … ], essendo pacifico che il difetto di esercizio [ del potere ex comma 5 Art. 597 Cpp ], in primo grado, è denunciabile, con specifico motivo d’ appello, e, ove ciò non avvenga, [ una mancata richiesta esplicita dei benefici ] non preclude il potere del secondo giudice [ di merito ] di esercitarlo d’ ufficio a norma del comma 5 Art. 597 Cpp “.
Tale splendida e garantista affermazione anti-formalistica di Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533, a parere di chi redige, non è affatto da sottovalutare, in tanto in quanto, finalmente e dopo una decina d’ anni di dubbi ermeneutici, essa riconosce, di nuovo, la piena precettività del comma 5 Art. 597 Cpp anche in assenza di una deduzione espressa e ben circostanziata da parte del difensore dell’ imputato, il quale beneficia, sempre e comunque, del favore penalistico verso il reo, giacché la Procedura Penale non è e non può essere formalmente rigoristica al pari della Procedura Civile. Del resto, Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533, a pg. 10 delle Motivazioni, fa notare che, pure in molti altri casi, il giudice d’ appello è tenuto, ex officio, a rilevare molte altre eccezioni “ automatiche “, anche se non espressamente dedotte dall’ imputato, come avviene nei casi dell’ incompetenza per materia, della dichiarazione immediata di cause di non punibilità, dell’ errore di persona relativo all’ imputato, della morte del reo, dell’ inutilizzabilità di prove illegalmente acquisite, della violazione del divieto del ne bis in idem o della violazione del principio di legalità della pena. Come si può facilmente notare, Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533 intende dimostrare, anche nel caso contemplato nel comma 5 Art. 597 Cpp, che il giudice d’ appello non è un calcolatore elettronico privo di un potere autonomo d’ iniziativa. Il giudice dell’ appello non è formalisticamente e tassativamente vincolato dalle istanze difensive in forma espressa. Il Magistrato, e non solo nella fattispecie emblematica ex comma 5 Art. 597 Cpp, reca il basilare ruolo di garante dell’ applicazione della legge più favorevole al reo, a prescindere dalla natura implicita o, viceversa, esplicita delle richieste del difensore. Detto in altri termini, la privazione della libertà personale tange diritti costituzionali inviolabili, che sono assolutamente e comunque sottratti alle eccessive e categoriche formalità rituali vigenti, ad esempio, nel contesto del Diritto Processuale Civile.
Assai probabilmente, l’ intricata Giurisprudenza di legittimità afferente al comma 5 Art. 597 Cpp proviene dal dettato processualistico generale di cui al comma 1 Art. 597 Cpp, ai sensi del quale “ l’ appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del Procedimento limitatamente ai punti della decisione [ di primo grado ] ai quali si riferiscono i motivi proposti “. In effetti, Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533 afferma che “ la peculiarità della deroga prevista dal comma 5 Art. 597 Cpp al principio devolutivo enunciato nel comma 1 dello stesso Articolo [ … ] risiede proprio nella sua eccezionalità, che si coniuga con la discrezionalità del giudice nell’ ordinare i benefici previsti dagli Artt. 163, 164 e 175 CP “. Pertanto, sotto il profilo tecnico, il comma 5 Art. 597 Cpp si pone, rispetto all’ ordinario comma 1, alla stregua di una Norma penale speciale ex Art. 15 CP, poiché “ quando più leggi penali o più disposizioni di legge penale, regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito “. Anzi, la ratio derogatoria ex Art. 15 CP comporta, secondo Cassazione 22533/2018 l’ altrettanto eccezionale intervento precettivo dei criteri ex Art. 133 CP in tema di misurazione della gravità del reato e di relativa valutazione agli effetti della pena. Quindi, secondo Cassazione 22533/2018, il comma 5 Art. 597 Cpp “ costituisce un’ eccezione al principio devolutivo [ ex comma 1 Art. 597 Cpp ], perché reca al riconoscimento di nuove circostanze attenuanti comuni, generiche o ad effetto speciale ( Artt. 62, 62 bis e 63 comma 3 CP ). “.
Pure Cassazione 32966/2001, ben diciassette anni prima di Cassazione 22533/2018, con grande e lodevole lungimiranza, specifica che “ la discrezionalità [ ex comma 5 Art. 597 Cpp ] non è un potere facoltativo, ma un dovere del giudice d’ appello, da esercitare indipendentemente da specifiche deduzioni [ espresse ] di parte “. Ancora una volta, Cassazione 32966/2001 ribadisce il favor rei quasi ad oltranza, anche in un contesto nel quale il difensore dell’ imputato abbia omesso di invocare espressamente l’ applicazione dei benefici contemplati nel comma 5 Art. 597 Cpp. In buona sostanza, come asserito da Cassazione 32966/2001 e, più recentemente, da Cassazione 22533/2018, l’ importante, nella Procedura Penale, consiste nello scegliere l’ applicazione sanzionatoria più mite e meno configgente con gli Artt. 13 e 111 Cost. . Gli Anni Duemila hanno finalmente chiarito che, anche nel caso del comma 5 Art. 597 Cpp, il Diritto Penale favorisce i benefici senza essere vincolato a richieste formalisticamente esplicite da parte del reo.
Conclusioni alla luce di Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533
Provvidenzialmente, a titolo conclusivo, Cassazione 22533/2018 rigetta qualsivoglia formalismo ( rectius: fondamentalismo ) neo-retribuzionista, giacché, come asserito a pg. 11 delle Motivazioni, “ si deve ritenere corretto riconoscere l’ esercizio del potere del giudice di appello, in tema di applicazione dei benefici di legge, o di una o più attenuanti [ ex comma 5 Art. 597 Cpp ] come un dovere, in presenza di elementi di fatto che ne consentano ragionevolmente l’ esercizio, tanto più se divenuti attuali proprio nel giudizio di appello. Tale potere-dovere, essendo espressamente attribuito al giudice << di ufficio >> dal comma 5 Art. 597 Cpp, non postula, per definizione, la necessaria iniziativa o sollecitazione di parte, espressa in una richiesta specifica, anche solo in sede di conclusioni nel giudizio d’ appello. E, tuttavia, l’ esercizio di esso va correlato al suo fondamento normativo, che lo pone come eccezione al generale principio devolutivo [ ex comma 1 Art. 597 Cpp ] che governa il giudizio d’ appello “. Come si può notare, Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533 disgiunge la precettività del comma 5 Art. 597 Cpp dall’ obbligo anti-garantista, e fors’ anche eccessivo ed ipertrofico, di una richiesta espressa del difensore. Inoltre, il Precedente di legittimità qui in esame susssume il comma 5 Art. 597 Cpp entro l’ alveo strutturale dell’ Art. 15 CP, quindi esso è, rispetto al comma 1 Art. 597 Cpp, una norma penale di tipo eccezionale, ma non si tratta di un’ eccezionalità bizzarra od oziosa, in tanto in quanto l’ applicazione non automatica e non ex officio del comma 5 Art. 597 Cpp produrrebbe effetti devastanti a fronte dei principi-cardine contemplati dagli Artt. 24, 13 e 111 Cost. . L’ obbligo di una richiesta deduttiva espressa violerebbe l’ altrettanto fondamentale regola del favore del reo.
Ora, tutto ciò premesso, rimane comunque fermo che non sempre e comunque possono essere applicabili i benefici ex Artt. 163, 175, 62 bis e 69 CP, dal momento che la realtà fattuale del delitto commesso dall’ imputato potrebbe confliggere apertamente con la precetività eventuale del comma 5 Art. 597 Cpp, il quale rimane un’ ipotesi attenuatoria e non un pronunciamento ad effetto assoluto. Molto dipende dalla minore o, viceversa, maggiore gravità anti-giuridica dell’ evento delittuoso perpetrato o, al limite, tentato. Anzi, la non applicazione a-motivata del comma 5 Art. 597 Cpp “ non può costituire motivo di ricorso in Cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione “ ( pg. 13, Motivazioni, Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533 ). Quindi, il comma 6 Art. 111 Cost. e, del pari, le altre numerose garanzie costituzionali in tema di libertà personale non debbono affatto condurre ad una precettività universale o imprescindibile dei benefici e delle attenuanti di cui agli Artt. 163, 175, 62 bis e 69 CP. Siffatta specificazione di Cassazione 22533/2018 costituisce una forma di equilibrio tra il formalistico comma 1 Art. 597 Cpp ed il più democratico-accusatorio comma 5 Art. 597 Cpp. Ciononostante, il ruolo supremo del comma 6 Art. 111 Cost. ritorna, tassativo ed assoluto “ nel caso di reformatio in pejus [ … ] perché, in questo caso, il giudice d’ appello ha l’ obbligo di confutare, in modo specifico e completo [ e non implicito ], le ulteriori argomentazioni dedotte dall’ imputato [ ex comma 5 Art. 597 Cpp ]” ( Cass., sez. pen. VI, 29 aprile 2009, n. 22120 ). In sintesi, Cass., SS.UU., 25 ottobre 2018, n. 22533 configura il comma 5 Art. 597 Cpp alla stregua di una Norma speciale ex Art. 15 CP, non vincolata dalle deduzioni espresse dell’ imputato, ma anche non sempre e comunque precettiva, a seconda del disvalore normativo ed anti-sociale del fatto commesso. Tuttavia, nel caso di fattispecie non estremamente gravi, la non applicazione del comma 5 Art. 597 Cpp non dev’ essere necessariamente e pesantemente accompagnata da idonee motivazioni conformi al paradigma generale ex comma 6 Art. 111 Cost. .
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