Si è posto più volte in questi ultimi mesi il caso del mancato riconoscimento dei benefici previdenziali a dipendenti di aziende del settore secondario con certificazione di esposizione all’amianto perché le stesse non erano presenti nella “lista aziende” redatta in base agli atti di indirizzo ex lege 247/2007 così come attuata dal D.M. 12 marzo 2008 ed entrato in vigore nel maggio dello stesso anno.
Ogni dipendente aveva l’obbligo di presentare già nel 2005 la domanda alla sede territorialmente competente correlata di tutta la documentazione richiesta in base Circolare Inail n. 90 del 29 dicembre 2004 : “Nuova disciplina in materia di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto”, per rientrare nel trattamento maggiormente favorevole in ambito pensionistico a causa dell’alta esposizione all’amianto.
E’ di fondamentale importanza notare che non vi sarebbe stata la riapertura dei termini per la presentazione di nuove domande, bensì la possibilità di una diversa valutazione delle stesse a suo tempo presentate all’INAIL in base al precitato D.M. 12 marzo 2008.
Conditio sine qua non sarebbe, quindi, la presentazione della domanda principale già nei termini precedenti al suddetto riesame (anno 2005) di tutta la documentazione necessaria affinché l’attuale revisione in base alle nuove normative ed atti di indirizzo potesse portare all’espressione di parere positivo da parte dell’INAIL.
In molti casi, nonostante fosse stata rispettata l’intera procedura e fossero stati già predisposti tutti i documenti richiesti affinché il riesame desse parere positivo, vi sarebbe un solo requisito di fondamentale importanza che prevedrebbe la possibilità di non accoglimento: la mancanza del nominativo dell’impresa all’interno della lista delle aziende individuate da questi atti di indirizzo.
Nell’analisi successiva si procederà considerando in primis la previsione di accoglimento o meno della domanda da parte dell’INPS nella prospettiva della predetta mancanza e qualora vi fosse sentore di un provvedimento di rigetto, quale strada percorrere per poter ottenere qualche chance al fine di ribaltare la statuizione intrapresa dall’ente.
Da un’attenta documentazione sulla materia, già in prima lettura si può notare che la certificazione necessaria all’ottenimento dei benefici previdenziali potrà essere ottenuta solamente se vi è la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dall’attuale normativa (si veda a tal fine la pagina dedicata alla materia sul sito web dell’INAIL) .
Per analogia si può facilmente dedurre che il non riconoscimento dell’impresa, presso la quale un lavoratore ha operato, nella lista delle aziende individuate dagli atti di indirizzo potrebbe quasi per certo portare ad un ulteriore rigetto della domanda.
E’ inoltre necessario precisare che a seguito della domanda, l’INAIL è tenuta a rispondere entro un anno dal momento del ricevimento della comunicazione dell’Azienda Sanitaria Locale così come determinato al punto 3 “Procedura per il Riconoscimento” della Circolare n. 14 del 12 marzo 2009 che recita: ”In analogia a quanto previsto dall’art. 3, comma 8, del decreto interministeriale del 27 ottobre 2004, la certificazione prevista dal Decreto viene rilasciata dall’INAIL entro un anno dalla data di ricezione della comunicazione ASL”.
Qualora non rispondesse si configurerebbe la possibilità di proporre ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione anche senza necessità di diffida all’amministrazione pubblica inadempiente, fintantoché perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 2, L. 241/1990.
I limiti sanciti dall’art. 2 della legge 241/1990 così come modificata dal D.L. 35/2005 convertito in legge 80/2005 in merito al silenzio inadempimento hanno sancito l’obbligo per la pubblica amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso nel termine stabilito in via regolamentare o, in mancanza, in quello di novanta giorni, salvo che l’istanza sia infondata o generica così da non poter dare inizio al procedimento.
Considerando facilmente prevedibile un rigetto motivato da parte dell’INAIL per la mancanza di uno dei requisiti richiesti per rientrare nei benefici previdenziali ex D.M. 12 marzo 2008, si deve necessariamente invocare la via giudiziale, adendo al Tribunale Ordinario in veste di Giudice del Lavoro.
Trattandosi della tutela di un diritto soggettivo, la competenza giurisdizionale, in questo caso sarà affidata al giudice ordinario, differentemente da quanto accadrebbe se vi fosse una lesione di un interesse legittimo.
Di diversa natura dall’assunto precedentemente esposto è la sentenza del 05.06.2007 n. 2974 della sezione sesta del Consiglio di Stato che però analizza una fattispecie opposta all’ottica del dipendente, quella dell’azienda. Attraverso l’attenta lettura del disposto si possono però cogliere molti spunti interessanti ed attinenti alle posizioni studiate.
Nella stessa si precisa che l’atto di indirizzo è quello contenente, in linea di principio, linee direttive o orientative circa una determinata attività amministrativa degli organi o enti destinatari, e tale non è un atto che, sebbene così denominato, abbia un destinatario determinato e finalizzato ad incidere, in via indiretta, sull’attività delle p.a. di rilascio delle attestazioni di loro competenza nel caso concreto.
In sostanza si ribadisce nella medesima sentenza che la competenza del giudice amministrativo trova fondamento nella lesione di un interesse legittimo, e che nel caso di specie non può ricadere sul tribunale ordinario in veste di giudice del lavoro perché l’atto non incide, si cita dalla sentenza, direttamente sulla posizione dei dipendenti bensì assuma caratteri lesivi per l’impresa, la cui posizione deve essere qualificata come di interesse legittimo. Veniva, così, respinto il ricorso del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali contro Iv.Co. S.p.A. e nei confronti di INAIL e INPS per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sezione III, n. 2393/2002.
La fattispecie in questione presenta una sorta di “ribaltamento” delle posizioni in cui l’azienda interessata agli atti di indirizzo del Ministero del Lavoro, si opponeva in primo grado, vincendo, all’essere posta tra le imprese interessate all’esposizione prolungata all’amianto.
In secondo grado, il Consiglio di Stato, confermava l’orientamento del TAR Veneto rilevando: ”Risulta del tutto assente una istruttoria, che avrebbe dovuto coinvolgere anche l’impresa interessata e da cui non si poteva prescindere peraltro in presenza di un precedente accertamento di esito differente”.
Ancor più importante viene ad essere un altro estratto della medesima sentenza: ”La giurisprudenza ritiene che un tale atto di indirizzo non possa essere utilizzato direttamente come prova della esposizione qualificata all’amianto, il cui accertamento compete l’INAIL (Cassazione Civile, sez. lavoro, n. 22/2007; n. 151/2007).
In questa analisi, in particolare, la precedente statuizione assume un valore importantissimo perché boccia in toto la limitazione dei soggetti interessati ai benefici previdenziali predisposta tramite una lista redatta dal Ministero del Lavoro.
Considerando l’eventuale procedimento giudiziale, il ricorso potrà essere proposto a partire dal momento del rigetto della domanda proposta alla sede competente territorialmente dell’INAIL o eventualmente passato l’anno che lo stesso ente si concede per poter provvedere al rilascio della certificazione.
E’ importante notare che dal momento del deposito del ricorso alla data dell’udienza non devono decorrere oltre sessanta giorni ed il giudice fissa mediante decreto la data entro cinque giorni dal deposito del ricorso stesso (art. 415 c.p.c.).
Quanto alle motivazioni che verosimilmente portano ad addivenire di fronte al giudice, si dovrà sostenere in primis che il ricorrente è in possesso di tutti quelli necessari a godere dei benefici previdenziali e che la mancanza del nominativo dell’azienda nella lista predisposta dagli atti di indirizzo non possa pregiudicare la reale appartenenza a quella categoria di lavoratori che hanno subito una lunga esposizione all’asbesto.
D’altra parte non può essere concesso ad alcuni cittadini e ad altri no il trattamento previdenziale di favore sulla base di una mera lista di aziende.
A tal proposito è di fondamentale importanza la sentenza della Corte di Appello di Bari che, con sentenza n. 1221 del 5 novembre 2002, R.G.L. 643/2001, rigettava l’appello dell’INPS avverso la sentenza del Tribunale ordinario della stessa città che aveva condannato lo stesso ente previdenziale a versare 12.000,00 € circa per ogni lavoratore, esposto all’asbesto, di un’azienda alla quale era stata annullata la certificazione rischio amianto.
La normativa alla base delle pretese dei lavoratori era individuata nell’art.13 L.27/3/1992, n. 257.
Sulla base di questa sentenza, portata a sostegno delle argomentazioni di merito, si ritiene vi siano valide possibilità di poter giungere ad un risultato favorevole che si manifesterebbe in una pronuncia positiva del Tribunale competente.
Si potrebbe rilevare che la sentenza di cui sopra identifichi un periodo anteriore alle certificazioni interessate; questo però non pregiudicherebbe il cogitus fondamentalmente espresso nella pronuncia dei giudici d’appello baresi che statuisce senza ombra di dubbio che basti il requisito della palese esposizione all’amianto per certificare un’azienda.
A nulla valgono, quindi, le liste predisposte dagli atti di indirizzo, le quali tuttalpiù possono identificare le più grandi realtà facilmente certificabili, rimane alla singola azienda tutelarsi e richiedere la certificazione necessaria per rientrare nella presente legge.
Bene sarebbe, come già esperito dalle parti resistenti all’appello proposto ad impulso di parte dell’INAIL nel procedimento RG.L. 643/2001 precitato, che ci si avvalesse di una perizia tecnica di parte (CTP) che avvalori la tesi dell’esposizione continuata a questo materiale durante il periodo lavorativo passato.
Certo i costi della stessa non sono indifferenti, una tale spesa sarebbe maggiormente giustificabile nel caso in cui i proponenti il ricorso siano un gruppo di lavoratori appartenenti alla stessa azienda.
Dottore Magistrale in Giurisprudenza
– Indirizzo Internazionalistico Comparatistico –
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
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