La Corte Europea per prima volta si è pronunciata sulla questione della tutela del benessere degli animali, collegandosi a uno degli scopi enunciati nell’articolo 9 della Convenzione, intendendo la tutela del benessere animale come elemento di “moralità pubblica”.
Indice
1. Il caso Executief van de Moslims van België e altri c. Belgio e
La vicenda (domande n. 16760/22 e 10 altri) trattata il 13 febbraio dalla CEDU riguarda il divieto di macellazione “rituale” di animali senza previo stordimento nelle regioni fiamminghe e vallone. La Corte europea dei diritti dell’uomo, all’unanimità, non ha riconosciuto violazione alcuna:
- dell’articolo 9 (diritto alla libertà di religione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo uomo,
- dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l’articolo 9
La Corte ha ritenuto che i decreti impugnati abbiano avuto l’effetto di vietare la macellazione di animali senza previo stordimento nelle regioni fiamminga e vallone, prevedendo lo stordimento reversibile per la macellazione “rituale”. Pertanto, le autorità nazionali non hanno oltrepassato il margine di apprezzamento a loro disposizione, ma hanno intrapreso un’azione giustificata, che può ritenersi proporzionata allo scopo perseguito, vale a dire la tutela del benessere animale come elemento di “moralità pubblica”. La Corte per la prima volta si è pronunciata sulla questione della tutela del benessere degli animali, collegandosi in tal modo a uno degli scopi enunciati nell’articolo 9 della Convenzione.
2. La vicenda
I ricorrenti sono 13 cittadini belgi e 7 organizzazioni non governative con sede in Belgio, che si presentano come organizzazioni rappresentative delle comunità Musulmane del Belgio, cittadini belgi di fede musulmana, nonché belgi di fede ebraica. In Belgio, la legge del 14 agosto 1986 relativa alla protezione e al benessere degli animali prevede che, salvo casi di forza maggiore o necessità, un animale vertebrato non può essere ucciso senza anestesia o stordimento (articolo 15 della legge). Tuttavia, questo requisito non si applica alla macellazione prescritta da un rito religioso (articolo 16 della legge). Nel 2014, dopo una riforma statale, il benessere degli animali divenne una giurisdizione regionale. A seguito di questa riforma, le Regioni fiamminga e vallona hanno adottato un decreto (del 17 luglio 2017 per la Regione Fiamminga e il 4 ottobre 2018 per la Regione Vallonia) ponendo fine all’eccezione che autorizzava la macellazione rituale degli animali senza stordimento. L’eccezione prevista dalla legge del 14 agosto 1986 resta in vigore nella Regione di Bruxelles-Capitale. Il Parlamento di Bruxelles ha respinto, nel giugno 2022, una proposta di modifica della legge del 1986. Nella fattispecie, alcuni ricorrenti hanno proposto ricorso per l’annullamento del decreto fiammingo e del Decreto vallone davanti alla Corte Costituzionale alla quale, nel 2019, sono state poste diverse questioni pregiudiziali. Alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) veniva richiesto se il divieto di la macellazione senza stordimento era compatibile col diritto dell’UE, vista la libertà di religione sancita dalla Carta dei diritti fondamentali UE. Nel 2020, la CGUE ha emesso una sentenza in cui ha concluso che il diritto dell’UE non osta alla normativa di uno Stato membro che impone, nell’ambito della macellazione rituale, un procedimento di stordimento reversibile e non suscettibile di provocare la morte dell’animale. Poi, nel 2021, la Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi di annullamento dei ricorrenti. Dinanzi alla Corte i ricorrenti lamentavano una violazione del loro diritto alla libertà di religione.
3. Il giudizio della CEDU
Invocando l’articolo 9 (diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione), i ricorrenti ritengono che il divieto contestato costituisca un’ingiustificata ingerenza alla libertà di religione. Essi lamentano il combinato disposto dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) e dell’articolo 9.
4. Diritto alla libertà di religione
La Corte ha precisato che si tratta della prima volta in cui essa deve decidere se la tutela del benessere degli animali può essere collegata a uno degli scopi dell’articolo 9 della Convenzione.L’articolo 9 della Convenzione, infatti, non contiene un riferimento esplicito alla tutela del benessere animale nell’elenco esaustivo degli scopi legittimi che possono giustificare un’ingerenza nella libertà di ciascuno di manifestare la propria religione. Tuttavia, la Corte ritiene che la tutela della morale pubblica, alla quale si riferisce l’art. 9 del Convenzione, non può essere intesa come finalizzata esclusivamente alla tutela della dignità umana nelle relazioni tra le persone. Pertanto, la Convenzione non potrebbe essere interpretata nel senso di promuovere l’assoluto soddisfacimento dei diritti e delle libertà che sancisce senza riguardo alla sofferenza degli animali. Sottolineando che la nozione di “moralità” si sta sostanzialmente evolvendo, la Corte non vede alcuna ragione per farlo contraddicendo la CGUE e la Corte Costituzionale, le quali hanno ritenuto che la tutela del benessere degli animali costituisce un valore etico al quale le società democratiche contemporanee attribuiscono importanza crescente. Ne consegue che la Corte può tenerne conto quando, come nel caso di specie, si tratta di esaminare la legittimità dello scopo perseguito con la restrizione del diritto alla libertà di manifestare la propria religione. Di conseguenza, la Corte ritiene che la tutela del benessere degli animali possa essere collegata alla nozione di moralità pubblica, che costituisce uno scopo legittimo ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione.
5. La tutela del benessere animale come elemento di moralità pubblica
La Corte conclude che adottando i decreti impugnati, che hanno avuto l’effetto di vietare la macellazione degli animali senza previo stordimento nelle regioni fiamminga e vallone, pur fornendo stordimento reversibile per la macellazione rituale, le autorità nazionali non hanno superato i limiti di apprezzamento a loro disposizione. Hanno intrapreso un’azione giustificata, proporzionata allo scopo perseguito, vale a dire la tutela del benessere animale come elemento di “moralità pubblica”. Non vi è stata quindi alcuna violazione dell’art. 9 della Convenzione.
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