Per il benessere dei bambini

Abstract: L’Autrice scava il senso profondo del benessere infantile evidenziandone il contenuto dinamico (e non statico) e mettendo in guardia da comportamenti che possono incidere negativamente sull’equilibrato sviluppo delle persone più piccole d’età.

 

In passato si riteneva che il benessere fosse solo o prevalentemente quello economico e collettivo, legato al concetto di utilità o meglio di “ofelimità”, che si riferisce allo stato psicologico di piacere che l’individuo prova di fronte ai beni e servizi a sua disposizione. In seguito si è cominciato a considerare il benessere psicofisico e personale come quello stato di armonia per il quale si possono usare le parole del filosofo Benedetto Croce: “I valori e disvalori estetici, intellettuali, economici ed etici, hanno varie denominazioni nel linguaggio comune, bello, vero, buono, utile, conveniente, giusto, esatto, e così via, che designano il libero spiegarsi dell’attività spirituale, l’azione, la ricerca scientifica, la produzione artistica ben riuscita”. E così ci si è preoccupati del benessere dei bambini per la prima volta nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia nel 1989 (Convention on the Rigths of the Child, nell’acronimo inglese CRC); l’anno successivo è stata sottoscritta la Carta africana sui diritti e il benessere del bambino (o minore), in cui si è rimarcato il binomio “diritti e benessere” sin dal titolo del documento. Da ricordare anche la Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance “Pour chaque enfant, un avenir” (Parigi 2007), nel cui paragrafo “Vigilare sullo sviluppo del bambino in tutte le sue dimensioni” si legge: “Il suo benessere psicologico è anche essenziale”.

Allora, come contribuire al vero benessere dei bambini?

Lo psichiatra Paolo Crepet mette in guardia: “Troppo benessere genera il mal-essere. Genera i gaudenti scontenti. Genera il disagio dell’agio!”. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla di “benessere del fanciullo” (art. 9) o “suo benessere” (articoli 3, 17, 36) per sottolineare che non si deve seguire una concezione individuale o, peggio, generale o commerciale di “benessere”, ma bisogna perseguire il “bene” ed “essere” a dimensione del bambino, quella persona minore d’età che si ha di fronte. Il parametro imprescindibile è quello indicato nel Preambolo della Convenzione, a proposito della famiglia: “[…] la crescita ed il benessere di tutti suoi membri ed in particolare dei fanciulli”. Bisogna crescere e stare bene insieme.

Tra gli abusi all’infanzia, vi è la cosiddetta patologia delle cure, in primo luogo l’ipercura, eccesso di cure. Ricorrendo ad un’immagine simbolica d’impatto, si può paragonare l’ipercura ad una camera iperbarica, che è efficace solo in alcuni casi e sotto stretto controllo medico. Quei soggetti, però, prima o poi devono uscire dalla camera e affrontare la vita di tutti i giorni senza ossigenoterapia iperbarica. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, uno dei verbi più usati è “assicurare”, rendere sicuro. Sicurezza da “sine cura”, senza preoccupazione: questo il compito dei genitori e degli educatori e, al tempo stesso, espressione della loro adultità. Chi cade nell’ipercura (per esempio, dicendo ai figli continuamente “amore, tesoro”, prevenendo ogni caduta, raffreddore o altro, intervenendo nei giochi o nelle baruffe con altri bambini, tenendo in casa i figli o programmando ogni loro attività pomeridiana affinché non manchi loro alcuna opportunità) manifesta, invece, una propria immaturità che fa ricadere sui bambini, rendendoli “vittime” di quest’errore genitoriale e educativo, come pure nel caso di incuria e discuria. Nell’art. 3 par. 2 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è data un’indicazione ben precisa, “assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere”. In caso contrario si può configurare una delle condizioni previste nell’art. 19 par. 1 della Convenzione: “qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale”. Quelle situazioni riferibili agli artt. 570-572 cod. pen. “Dei delitti contro l’assistenza familiare” (così come la PAS, sindrome d’alienazione parentale è stata riconosciuta come illecito, ai sensi dell’art. 96 comma 3 cod. proc. Civ., e non come patologia clinicamente accertabile con decreto del 9 marzo 2017 della nona sezione civile del Tribunale di Milano).

Paolo Crepet ammonisce: “Ai figli cui è stato dato tutto, è stato fatto il peggior dono possibile”. Nell’art. 18 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si dice per tre volte “allevare”: è principale dovere dei genitori non dare, ma allevare (“alzare verso” e, quindi, far crescere). Uno dei possibili significati etimologici di “vita” è “attività”, modo di stare al mondo tipico degli esseri animali, al contrario degli esseri vegetali. Educare, perciò, deve essere educare a fare e a darsi da fare: educare alla libertà e alla gratuità.

Lo scienziato Carlo Rubbia (premio Nobel per la fisica 1984, figlio di una maestra elementare) afferma: “Sono contento di non essere stato viziato. Considero una sventura avere dei privilegi nell’infanzia. La mia infanzia è stata dura, non ho conosciuto il benessere e trovo che nascere in una situazione di sana povertà sia il miglior bagaglio che si possa dare ad un bambino”. Il metro del dare e del fare dei genitori è fornito dall’aggettivo “necessarie” del succitato art. 3 par. 2 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. “Necessario”, “ciò che deve essere, perché una cosa sia o si faccia”, e il “miglior necessario” che si possa dare ai bambini è se stessi: il proprio tempo, il proprio ascolto, le proprie mani, il proprio esempio. Fare insieme, stare insieme: meno regali, più rimproveri; meno giocattoli, più giochi; meno tecnologia, più tempo; meno oggetti, più soggetti; meno esagerazioni, più esperienze.

Il pedagogista Pino Pellegrino richiama: “Oggi si tenta di addolcire tutto: il caffè è decaffeinato, il tonno è così tenero che si taglia con un grissino, i “sofficini” trionfano, l’auto è “comodosa”. Ed i frutti si vedono: ragazzi friabili, con la grinta del pesce bollito; ragazzi che vivono al 5%, chiusi nel maledetto triangolo: frigorifero, sofà, televisione. È dovere assoluto reagire!”. “[…] il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita sufficiente atto a garantire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale” (dall’art. 27 par. 1 CRC). Curare lo sviluppo dei bambini, non solo fisico ma da quello fisico a quello sociale, dall’essere individui al divenire persone ogni giorno.

Pino Pellegrino aggiunge: “I genitori troppo morbidi sono quelli che preparano figli simili a quei cubetti di ghiaccio che, appena tirati fuori dal frigorifero, sembrano solidi, ma subito si sciolgono, non appena toccano il tiepido. I genitori troppo morbidi non vanno lasciati soli: vanno aiutati!”. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (art. 24 lettera f) si prevede di “sviluppare la medicina preventiva, l’educazione dei genitori […]”, entrambe necessarie per il benessere psicofisico dei bambini anche al fine di prevenire disturbi e patologie in crescente diffusione (dall’onicofagia ai disturbi del comportamento alimentare). “Educazione dei genitori” non nel senso di un apposito corso, ma di un comune percorso, di genitori e non, alla luce di quella solidarietà di cui all’art. 2 della nostra Costituzione. I genitori devono educare ma, al tempo stesso, essere educati e farsi educare, in quanto il traguardo è lo stesso per tutti: la vita, la vita che comincia, la vita che continua.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro spiega: “L’insegnamento deve quindi precedere lo sviluppo, tenendo in adeguata considerazione quelle capacità non ancora sviluppate autonomamente dal bambino, ma che esso è in grado di fare emergere con la guida dell’adulto. Se questo non avviene, per la rinuncia degli educatori, genitori o docenti, l’insegnamento non incide sul bambino, ma anzi lo abbandona a se stesso, con un potenziale di sviluppo inespresso. Una grave perdita non solo per le nuove generazioni, ma anche per tutti noi”. In particolare, il fanciullo ha il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e i genitori (estensivamente tutti gli educatori) hanno il diritto e il dovere di guidarlo (e non sostituirlo o prevaricarlo) nell’esercizio (e non solo nella titolarità) di questo diritto (art. 14 CRC). I genitori, spesso, non si preoccupano dello sviluppo del pensiero e della coscienza ritenendoli secondari alla salute (basti sentire anche il linguaggio mieloso, o peggio ancora, che adottano nei confronti dei figli o notare altri atteggiamenti a dir poco discutibili). Il pensiero e la coscienza giovano alla salute, fanno parte della salute. La vita ha bisogno di linfa fresca, di pensieri nuovi, di giovani pensatori e pensanti.

Fulvio Scaparro soggiunge: “Bambini cresciuti anzitempo e genitori che pretendono troppo sono i protagonisti di una società schiava del successo e della sete di guadagno. Ma sminuire il valore dell’infanzia significa formare adulti acerbi e immaturi”. La necessaria, naturale e imprescindibile gradualità della crescita di un bambino è insita anche nella nostra Costituzione: svolgimento della personalità (art. 2), pieno sviluppo della persona umana (art. 3), infanzia e gioventù (art. 31). Caricare di ampollose aspettative i figli, fare scelte premature per il loro presunto bene (tra cui il generalizzato anticipo scolastico sin dalla scuola dell’infanzia a 2 anni e mezzo, età da asilo nido), metterli in competizione o in un confronto non opportuno con gli altri può causare disagi che si manifestano anche in età matura, proprio perché ci si arriva carichi di zavorra e senza gli strumenti giusti. Come i frutti raccolti prima del tempo e messi nel frigorifero non sono saporiti e perdono le loro proprietà.

Anche il pediatra e pedagogista Marcello Bernardi dichiara: “Il pensiero di poter evitare al proprio figlio tutte le battaglie, tutti i dispiaceri, tutte le delusioni, è un pensiero folle, perché la vita non è così. Anzi, è ben diversa. La vita è fatta di combattimenti”. “Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto innato alla vita. Gli Stati parti si impegnano a garantire nella più alta misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo” (art. 6 CRC). La vita è anche sopravvivenza (letteralmente “vivere sopra”, cioè continuare a vivere dopo e oltre le avversità, contrarietà, le varie forme di morte) e sviluppo (letteralmente “svolgere, ordinare cose avviluppate”) e ai bambini bisogna fornire gli strumenti per far fronte a questo, “nella più alta misura possibile”, né di più né di meno.

 

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