Deve sottolinearsi, in via preliminare, sulla scorta delle distinzioni largamente seguite in dottrina e giurisprudenza, come quello invocato dalla Casa di Cura sia un “tipico” danno da ritardo, legato ai circa nove mesi durante i quali alla struttura privata fu negato l’accreditamento dalla Regione Toscana
Il rilievo non è secondario perché vale ad escludere, in radice, che la Casa di cura potesse e possa fondatamente chiedere il ristoro di spese e di costi che, in ogni caso, avrebbe sostenuto e che, presumibilmente, avrà ampiamente ammortizzato nel non poco tempo da allora trascorso. Sicché il danno da valutare è essenzialmente quello del mancato guadagno (v. art.l’art. 1223 c.c. richiamato dall’art. 2056 c.c.) che coincide con l’utile ovvero con il profitto che la Casa di cura avrebbe potuto ritrarre ove, a suo tempo, le fosse stato riconosciuto tempestivamente l’accreditamento richiesto e ad essa spettante
Detto in altri termini, muovendo da una nozione patrimonialistica di danno, tanto più giustificata se riferita ad un ente avente natura imprenditoriale qual è l’odierna appellante, si tratta di ricostruire attraverso un giudizio probabilistico la situazione che si sarebbe determinata ove il fatto illecito non si fosse verificato (cd. ipotesi della differenza).
Nel caso di specie si tratta quindi di ricostruire quella che sarebbe stata la – differente (nel senso di migliore) – situazione patrimoniale della Casa di cura se, a suo tempo, avesse ottenuto tempestivamente l’accreditamento dalla Regione Toscana, senza aspettare circa nove mesi. Ciò al fine evidente di porre il privato nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’illecito non fosse stato commesso, così compensandolo della perdita ingiustamente subita.
Passaggio tratto dalla decisione numero 3245 del 30 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato
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