La disciplina dichiarata incostituzionale
Le disposizioni che estromettono da alcune provvidenze (quali il bonus bebè e l’assegno di maternità) gli stranieri extracomunitari che non risultino titolari del permesso per soggiornanti Ue di lungo periodo, sono incostituzionali in quanto “istituiscono per i soli cittadini di Paesi terzi un sistema irragionevolmente più gravoso, che travalica la pur legittima finalità di accordare i benefici dello stato sociale a coloro che vantino un soggiorno regolare e non episodico sul territorio della nazione”, e negano un’adeguata tutela proprio a chi si trova in condizioni di più grave bisogno. In questo modo la Corte costituzionale, nella Sentenza n. 54 depositata il 4 marzo 2022, ha motivato la dichiarata incostituzionalità.
La pronuncia della Corte di Giustizia UE
La decisione si pone sulla scia, dandone seguito, alla pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2 settembre 2021 (C-350/20), che ha risposto ai quesiti formulati il 30 luglio 2020 dalla Consulta, per il tramite dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 182. La Corte di Lussemburgo ha dichiarato l’incompatibilità della disciplina italiana con l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, il quale contempla il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale, come anche con l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/Ue, in tema di parità di trattamento tra cittadini di Paesi terzi e cittadini degli Stati membri. La Corte costituzionale ha chiarito che è suo compito “assicurare una tutela sistemica, e non frazionata, dei diritti presidiati dalla Costituzione, anche in sinergia con la Carta di Nizza, e di valutare il bilanciamento attuato dal legislatore, in una prospettiva di massima espansione delle garanzie”.
La violazione del diritto alla parità di trattamento
La disciplina dichiarata incostituzionale contravviene al diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, tutelato dall’articolo 34 della Carta Costituzionale, in connessione con l’articolo 12 della direttiva 2011/98 UE, la quale ha riconosciuto un insieme di diritti ai cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato per finalità di carattere lavorativo, ovvero per finalità diverse, ai quali è consentito lavorare. Secondo i giudici costituzionali il principio di parità di trattamento, si raccorda “ai principi consacrati dagli articoli 3 e 31 della Costituzione e ne avvalora e illumina il contenuto assiologico, allo scopo di promuovere una più ampia ed efficace integrazione dei cittadini dei Paesi terzi”. La tutela della maternità e dell’infanzia, consacrata dall’articolo 31 della Costituzione della Repubblica Italiana, “non tollera distinzioni arbitrarie e irragionevoli”.
Lo stato di bisogno
I giudici di Palazzo della Consulta hanno escluso un ragionevole collegamento tra il requisito del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, dipendente dal possesso di requisiti reddituali rigorosi, e il riconoscimento di prestazioni che attuano la tutela della maternità e dell’infanzia, stabilita dall’articolo 31 della Costituzione, e fronteggiano lo stato di bisogno legato alla nascita di un bambino, ovvero alla sua accoglienza nella famiglia adottiva.
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