Braccialetto elettronico, un alieno nel nostro ordinamento?

Premessa

L’introduzione nel nostro ordinamento di norme che, nell’ambito di misure restrittive della libertà personale, prescrivono l’uso e le modalità di impiego di “procedure di controllo a distanza mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici” (c.d. Braccialetto Elettronico”) risale al 2000, seppure non preceduta né accompagnata da consapevolezza adeguata e diffusa tra gli operatori del diritto e specialisti. Il Legislatore del nuovo millennio con la previsione dell’art. 271 bis c.p.p. e la modifica dell’art. 47 -ter dell’Ordinamento penitenziario, l’art.  275 bis e art. 282 bis c.p.p. (introdotto successivamente con Legge 119/2013), ha perseguito un obiettivo di rafforzamento della sicurezza, prevedendo il controllo elettronico in remoto dei soggetti posti agli arresti domiciliari, in detenzione domiciliare, alla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (nell’ambito delle norme per il contrasto alla violenza di genere), nei casi in cui non vi fossero garanzie adeguate al rispetto delle prescrizioni impartite dalla Autorità Giudiziaria (d’ora in poi A.G.).

Si tratta di strumentazione tecnologica applicata al sistema Giustizia nella forma innovativa della sorveglianza elettronica (d’ora in poi S.E.), che ha introdotto una nuova tipologia operativa di controllo nel sistema dell’esecuzione penale, basata su dispositivi elettronici evoluti. Lo scopo del Legislatore è quello di applicare alla Giustizia penale le nuove tecnologie, al fine di garantire una sinergia di risultati: offrire alle A.G. competenti nuove opportunità e scelte di rimodulazione delle misure restrittive cautelari ed alternative della pena, quest’ultima secondo programmi, diffusi negli ordinamenti penali europei, di “Front door” (alternativa ad una pena detentiva breve) o “Back door” (in sostituzione del perido finale di espiazione in carcere); fornire alternative pratiche di controllo avanzato, in risposta alle crescenti e diverse domande di sicurezza; combinare l’esigenze di prevenzione e repressione dei reati, nella fase esecutiva di una pena alternativa o sostitutiva, con la rieducazione e il reinserimento sociale accompagnando gradualmente e in condizione di sicurezza il passaggio dallo stato in vinculis del carcere alla piena libertà.

All’estero l’origine e lo sviluppo della S.E. sono stati senza dubbio più scorrevoli, come vedremo nella trattazione, seppure il dibattito sulla fattibilità ed applicazione, (la competenza a disporre, i destinatari della misura, la responsabilità dei programmi e dei controlli) sia stato comunque foriero di riserve e perplessità. Tipica la situazione svedese.

Qui, infatti, l’ordinamento, sin dal 1994, ha previsto una particolare forma di libertà vigilata sottoposta alla S.E. in remoto, il cui controllo era demandato ad un “probation officer”, con funzioni di assistente sociale e di polizia. La competenza a disporre veniva affidata al servizio di probation quale ausiliario della Giustizia, in conseguenza della natura amministrativa della misura, a seguito di una istanza dell’interessato il cui esisto positivo dipendeva dalla rigida valutazione delle esistenti condizioni: una idonea abitazione, dotata di elettricità e apparecchio telefonico funzionante, il consenso espresso formalmente dei familiari conviventi, la partecipazione ad un programma di trattamento comprensivo di lavoro o studio, nonché il rispetto di alcune prescrizioni quali il divieto assoluto di alcool e droghe e il pagamento di una somma cauzionale.

In italia il dibattito politico antecedente all’introduzione delle suddette norme fu animato, nel periodo tra il 1994 e il 2001, da una diffusa e rigida richiesta di maggiore sicurezza, espressa a volte in forma anche populistica nei media, nei talk show e nei giornali. Il confronto è stato aspro ed accesso: da un lato le rivendicazioni sicuritarie della società conducevano ad accuse di una politica ipocritica e buonista insensibile alle declamate esigenze di repressione, restrizione quando non più estesa carcerazione. Dall’altro il Governo doveva ridurre i costi della Giustizia e adottare misure per decongestionare le carceri, esposte da decenni al sovraffollamento delle strutture penitenziarie accusate di trattamenti disumani e degradanti. Nel giro di pochi anni la sentenza Torreggiani avrebbe spinto l’Europa a diffidare l’Italia ad eliminare, entro due anni,  il sovraffollamento carcerario, per le “oggettive necessità di ridurre sensibilmente la presenza della popolazione detenuta” e ad adottare misure per rendere effettive l’elemento fondante del trattamento rieducativo e le misure alternative esistenti nell’ordinamento giuridico nazionale e comunitario. Il dibattito, pertanto, doveva tenere conto della necessità di adottare misure capaci di fornire più sicurezza ai cittadini, nel contempo di recuperare l’elemento costitutivo della messa alla prova per ricomporre, nell’effettivo percorso di recupero della persona,  il senso di legalità connesso alla pena con la dignità della persona quale base della rieducazione.

Nel 1998 il tema era oggetto di massima attenzione al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, nell’ambito della Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento. La competenza di tale articolazione includeva, all’epoca, anche il settore delle misure alternative alla detenzione, poi ridefinito dell’Esecuzione Penale Esterna[1] e consente di sottolineare il prudente favore che il Ministero della Giustizia riconosceva al sistema di sorveglianza elettronica (c.d. E.M. “Elettroning monitoring”). Nello specificio si sottolineava “ l’utilità civile, economica e trattamentale del braccialetto elettronico – E.M.e la necessità di una attentissima regolamentazione normativa e nel contempo preparazione del personale addetto alla esecuzione, controlli e sorveglianza”, nonché la “relazione con l’intero contesto familiare”.

Si ritiene che il dibattito immediatamente antecedente alla Legge nr. 4 del 19-01-2001[2] introduttiva dell’art. 275 bis c.p.p. (“Particolari modalità di controllo”), abbia contribuito nello studio scientifico della esecuzione penale, stimolando le riflessioni sulle possibili ricadute positive e negative del sistema di controllo a distanza.

Il dato certo è stata senza dubbio l’estensione delle possibilità di impiego per i soggetti di cui all’art. 47-ter, comma 4 bis O.P., anche nel caso previsto dall’art. 1 legge 26 novembre 2010, nr. 199.

Si partì da tale dibattito per illustrare i presupposti applicativi e le concrete opportunità di utilizzo del sistema cercando di trarre anche una valutazione prospettica sul sistema cautelare in generale e sul contrasto all’emergenza carceraria, senza rinunciare alle aprioristiche e duplici esigenze ordinamentali: quelle processuali espresse nelle esigenze cautelari, quelle del contrasto alla reiterazione del reato nella fase alternativa alla pena.

Quadro normativo

L’introduzione della normativa sul braccialetto elettronico maturava in tale contesto, nel perimetro tracciato da disposizioni orientate a dare soluzioni concrete alle molteplici esigenze in campo, prioritariamente a migliorare la risposta giudiziaria ad alcuni tra i reati più frequenti e di maggiore allarme sociale. E tuttavia la risposta del legislatore andò ben oltre i risultati del dibattito e del confronto con gli ordinamenti comparati, posto che il controllo elettronico a distanza veniva recepito nel nostro ordinamento non solo quale meccanismo di “front door” in sostituzione di una pena detentiva breve, ma quale meccanismo di “back door” in alternativa al periodo finale di una pena detentiva di medio o lungo periodo. Inoltre, veniva introdotta da subito la previsione, nella fase di cognizione, della misura cautelare con applicazione del sistema di S.E. anticipando la possibilità della sua applicazione ai soggetti imputati in attesa di giudizio. Ciò era possibile considerando la misura del braccialetto elettronico esclusivamente una competenza dell’A.G. strettamente connessa alla natura giudiziaria della misura stessa.

Spostando l’attenzione del dibattito sui destinatari della misura, imputati e condannati, fu stabilito quale fosse il  modello giuridico e ordinamentale italiano: venne introdotto nel codice processuale di rito l’art. 275 bis con la conversione in Legge, nr. 4/2001, del D.L.   341/2000 che recava disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza della Amministrazione della Giustizia.

La suddetta previsione normativa prevede che il Giudice, nel disporre gli arresti domiciliari, possa prescrivere “procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della Polizia Giudiziaria”.

Inoltre, la stessa prerogativa può esercitare l’A.G. in sostituzione della custodia cautelare in carcere qualora lo ritenga necessario in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

Si osserva che la disposizione normativa nella fase cautelare prevede l’applicazione del S.E. in due ipotesi tipiche: l’applicazione diretta degli arresti domiciliari immediatamente dopo l’arresto e la convalida della misura ovvero in una fase processuale successiva anche al giudizio di primo grado quale sostituzione della custodia in carcere.

È questo il primo portato applicativo introdotto dal Legislatore nazionale: lo strumento di controllo in remoto attraverso la S.E., nella sua applicazione pratica può costituire per il Giudice della cognizione un presidio di valutazione essenziale in ogni fase del processo, qualora intenda applicare una misura cautelare sostitutiva del carcere ma capace di assicurare in modo assoluto alcune esigenze cautelari particolarmente sentite.

La norma introduce quale presupposto di applicabilità, sia nella forma degli arresti domiciliari sia quale misura alternativa della pena, il consenso del destinatario. In realtà, questa libertà di scelta è solo apparente, di fatto estremamente limitata, atteso che il rifiuto del consenso implica, automaticamente, la revoca della misura alternativa e la permanenza in carcere, sia per gli imputati in custodia cautelare che per i condannati. Ciò in quanto la situazione presa in considerazione dal Legislatore italiano va ben oltre le esperienze ordinamentali dei Paesi stranieri apprezzate negli anni del dibattito comparativo.

L’esigenza del controllo elettronico a distanza viene riconosciuta nei riguardi dei soggetti indagati o giudicabili così come nei confronti dei soggetti condannati, con un espresso richiamo contenuto nell’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario al nuovo art. 275-bis c.p.p.

È questo, all’evidenza, il secondo portato applicativo che deriva dall’utilizzo del braccialetto elettronico: lo strumento di controllo a distanza nella sua applicazione pratica, è un presidio essenziale per il Giudice, che intenda applicare dopo l’irrevocabilità della condanna e l’espiazione di un periodo congruo di pena in carcere, la misura della detenzione domiciliare in condizioni di maggiore cautela. In questo senso la sottoposizione a controllo in remoto, anche durante l’espiazione di una pena alternativa al carcere, può operare quale deterrente rispetto all’eventuale violazione delle prescrizioni imposte con la misura alternativa stessa.

In entrambe le ipotesi di applicazione, vale a dire prima o dopo l’irrevocabilità della condanna, il procedimento per l’applicazione della S.E. prevede tassativamente l’accettazione da parte del destinatario.

Peraltro, l’ultima parte del comma 1 dell’art. 275-bis c.p.p., prevede che il Giudice in caso di non accettazione della misura applichi la custodia in carcere.

La previsione normativa, entrata a pieno titolo nel codice processuale penale e nell’ordinamento penitenziario, è stata ulteriormente determinata da un Decreto Ministeriale a firma dei Ministri competenti dell’Interno e della Giustizia, emanato il 2 febbraio 2001 e pubblicato in G.U. il 15 febbraio 2001. Questo provvedimento attuativo determinava “le modalità di installazione, uso e descrizione dei tipi e delle caratteristiche dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici destinati al controllo delle persone sottoposte agli arresti domiciliari nei casi previsti dall’art. 275-bis c.p.p. ed ai condannati nell’ipotesi prevista dall’art. 47-ter, comma 4 bis, della Legge sull’ordinamento penitenziario[3]”.

Ulteriori disposizioni applicative sono contenute nella successiva circolare dell’Ufficio Affari Generali e Legislativi della Direzione Generale affari Penali del Ministero della Giustizia, datata 9 aprile 2001 ed indirizzata alle Autorità Giudiziarie, contenente specifiche linee guida e modalità di applicazione. Inoltre, nella stessa circolare si individuavano gli uffici di Polizia a cui l’Autorià Giudiziaria avrebbe fatto riferimento per la disponibilità e le necessarie verifiche della strumentazione, concentrati, in un primo momento, nelle sedi di Milano, Torino, Catania, Napoli e Roma.

Il numero dei dispositivi disponibili veniva individuato per ciascuna delle forze di Polizia incaricate alle verifiche: 34 per la Polizia di Stato, 34 per i Carabinieri, 7 per la Guardia di Finanza.

Veniva anche determinato il tempo massimo delle attivazioni dei dispositivi elettronici per la generalità delle ipotesi applicative (dai 5 agli 8 giorni e non oltre 20 giorni per i casi particolari). Un ulteriore allungamento dei tempi di applicazione veniva previsto per i casi in cui non fosse stato presente o predisposto nel luogo di esecuzione una linea telefonica ISDN. Le direttive contenute nella predata circolare hanno contribuito, indubbiamente, ad attenuare le oggettive difficoltà di applicazione nelle prime fasi di avvio dello strumento fornendo alle Autorità Giudiziarie linee guida utili in considerazione della limitata disponibilità dei dispositivi[4].

Il tutto recepiva l’esito di riunioni svoltesi tra rappresentati dei diversi Ministeri interessati e delle forze di Polizia, compreso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, nel corso delle quali era stata compiuta un’analisi e una attenta valutazione degli aspetti tecnico-pratici dell’esecuzione della S.E.

Un’ulteriore specifica previsione normativa è stata introdotta all’art. 282 bis, comma 6, con Legge n. 119 del 15 ottobre 2013, di conversione del Decreto legge n. 93 del 14 agosto 2013, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere” che ha aggiunto alla fine dell’art. 282 bis le seguenti parole “anche con le modalità di controllo previste all’art. 275 c.p.p.”. Tale specifica previsione fu introdotta per rafforzare la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare o dai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Le funzionalità dei dispositivi elettronici di controllo con sistema GPS tracking in outdoor, furono recepite dal Legislatore quale strumento di rigore della miura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, per incrementare il contrasto ai reati di violenza di genere e domestica.

Si osserva che il rinvio contenuto nella specifica norma cautelare (282 bis c.p.p.) all’art. 275 bis c.p.p. è operato dal Legislatore con riferimento alle modalità di controllo previste da quest’ultimo.

Sul punto è stata sollevata una eccezione relativamente al carattere ambiguo del formulato richiamo nella parte in cui non esclude in modo palese che si possa prescindere dal consenso del soggetto destinatario, nella consapevolezza che il consenso fosse requisito indispensabile della previsione normativa. Una prima interpretazione autentica del testo induce a ritenere che il Legislatore non ha operato un richiamo ampio alle disposizioni contenute nell’art. 275 bis c.p.p., ma unicamente alle modalità di controllo ivi previste.

In effetti, anche una interpretazione sistematica delle disposizioni contenute nella misura cautelare di cui all’art. 282 bis c.p.p., inducono allo stesso risultato: la scelta di consentire al Giudice di applicare le modalità di controllo a distanza ai soggetti sottoposti alla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare o dai luoghi frequentati dalla persona offesa, indipendentemente dalle altre condizioni generali previste dall’art. 275 bis c.p.p.  come il consenso del soggetto sottoposto.

Ciò in quanto la previsione della misura, nel caso di specie, costituisce uno strumento indispensabile a difesa della vittima del reato, anche di fronte a violazioni ulteriori che potrebbero porre a rischio la propria incolumità fisica da parte del destinatario della misura, il cui consenso, se fosse richiesto, risulterebbe del tutto incompatibile la ratio della esigenza cautelare.

Modalità‘ ed ambito di applicazione del braccialetto elettronico

Le disposizioni di carattere tecnico per l’impiego e l’attivazione dei dispositivi elettronici che consentono la concreta applicazione dei braccialetti elettronici sono state tracciate con Decreto del Ministero dell’Interno redatto il 2 febbraio 2001, pubblicato in G.U. nr. 38 del 15 febbraio 2002, di concerto con il Ministero della Giustizia, che individua specificatamente le caratteristiche e tipologia di mezzi e apparecchiature elettroniche, nonché il fornitore accreditato del servizio. Attualmente questo è assicurato dalla Telecom Italia nell’ambito della Convenzione Quadro stipulata con il Dipartimento di P.S. presso il Ministero dell’Interno, prevedendo la disponibilità di 2000 sistemi elettronici di rilevamento contemporaneamente attivi. Di questi il 10 % pari a 200 dispositivi del tipo braccialetto in ambiente outdoor e funzionalità GPS Tracking.

Il protocollo operativo più conosciuto adottato in ottemperanza alle circolari ministeriale sopra indicate è quello codificato dal Presidente del Tribunale di Torino e dal Presidente del Tribunale di Roma che hanno tracciato le procedure “tipiche” da seguire nella applicazione delle ordinanza prescrittive le misure di “electronig monitoring”.

Tale protocollo prevede quanto segue:

  1. Le ordinanze applicative dei sistemi “electroning monitoring” sono emesse nei confronti dei soggetti già ristretti in custodia cautelare in carcere e devono trovare esecuzione entro e non oltre il quarto gorno dalla data di deposito, con la sola eccezione di posticiparne l’avvio al primo giorno lavorativo successivo qualora il termine ultimo cada in giornata festiva.
  2. L’esecuzione deve essere sempre preceduta dalla acquisizione del consenso dell’interessato, il quale all’atto della notifica in carcere dovrà esprimere dichiarazione di assenso alla Polizia Penitenziaria che redigerà apposito verbale di notifica. La Polizia Penitenziaria che provvede alla notifica della ordinanza nella qualità di polizia giudiziaria deve restituire copia del verbale debitamente notificato all’A.G. disponente e all’ufficio di polizia delegato ai successivi controlli della misura cautelare (tale procedura trova stessa applicazione nell’esecuzione delle ordinanze del Tribunale di Sorveglianza che applica la misura alternativa alla detenzione prevista dall’art. 47 ter comma 4 bis O.P.).
  3. L’ufficio di polizia delegato ai successivi controlli delle prescrizioni, ricevuta prova della notifica, deve verificare in concreto l’idoneità dei locali dove si svolgerà la misura cautelare, in generale l’abitazione e le pertinenze, dando esito del riscontro alla A.G. e alla polizia penitenziaria competente.
  4. In caso di esito positivo, la forza di polizia incaricata dei controlli verifica la pronta disponibilità di apparecchiature presso la società Telecom, assumendo nel più breve tempo tutte le iniziative necessarie affinché sia accertato che il luogo di svolgimento della misura abbia da subito e mantenga le condizioni tecniche per l’avvio dell’electronic monitoring. Nel contempo mantiene il collegamento costante con la società telecom e con l’istituto penitenziario al fine di coordinarsi sia su tempi di installazione sia sulla traduzione del soggetto nella abitazione all’uopo autorizzata. L’effettivo avvio della misura decorre esclusivamente a seguito del collaudo dei dispostovi elettronici installati con esito positivo. In assenza del presupposto consenso dell’interessato, nonché nella duplice ipotesi di esito negativo sia della verifica preliminare dello stato del luogo sia del collaudo tecnico,  la misura non ha esecuzione non sussistendo i presupposti di legge cui è subordinata l’esecuzione della ordinanza dispositiva.

Il superamento del collaudo e il passaggio di consegna tra la polizia penitenziaria  (che esegue la traduzione nella abitazione) e la forza di polizia incaricata dei controlli delle prescrizioni determina l’avvio della misura, il cui svolgimento è sottoposto a costante monitoraggio della A.G. che dovrà essere sistematicamente informata di eventuali violazioni di quanto prescritto. In tale ipotesi, la polizia incaricata provvede secondo ordinanza tenuto conto della gravità della violazione accertata e sentita la stessa A.G.

E’ prescritto dalla Legge (e deve essere espresso avviso formale in ordinanza) l’obbligo della persona sottoposta alla misura di agevolare la relativa installazione del dispositivo e di osservare fedelmente le altre prescrizioni attinenti il mezzo di controllo a distanza: nel caso si rifiuti di osservare l’obbligo viene ripristinata immediatamente la custodia o detenzione in carcere.

L’intera filiera operativa, dal Giudice che dispone l’ordinanza alla polizia penitenziaria competente, dalla polizia giudiziaria incaricata dei controlli alla centrale operativa BETI[5] di Telecom Italia, ha dato, sin dalla fase di prima attuazione, garanzia di affidabilità. Ciascuno, per la parte di propria competenza e a vario livello di responsabilità, hanno sviluppato un buon livello di efficienza ed efficacia dell’azione operativa, passando in breve tempo da una prima fase sperimentale ad un servizio a pieno regime in totale automatismo sinergico.

Più in dettaglio, la convenzione sopra citata prevede che giunta la comunicazione al BETI, Telecom Italia, dopo avere concordato l’accesso al luogo di svolgimento con le forze di polizia interessate (Polizia Penitenziaria dell’Istituto di detenzione e Polizia incaricata dei controlli), predisponga l’apparecchiatura necessaria composta da una centralina (ricevitore) provvista di un telefono con linea appositamente dedicata per contattare il soggetto (che in ogni  momento deve essere reperibile) ed un dispositivo (trasmettitore) applicato alla caviglia dello stesso. Tale dispositivo viene regolato dai tecnici affinché il segnale confluisca al ricevitore con la migliore sensibilità possibile, nello stampo viene applicato in maniera tale da essere resistente ad ogni tipo di manomissione (sino ad una trazione di 40 kg) e consentire alla persona il disimpegno delle incombenze di cura ed igiene personale (resistente all’acqua).

Nel luogo di attivazione sono presenti contemporaneamente la polizia penitenziaria (si tratta di persone ristrette in carcere che vengono successivamente collocate in arresti domiciliari dal Gip o dal Tribunale del Riesame, ovvero ammesse alla detenzione domiciliare dal Tribunale di Sorveglianza), la polizia incaricata ai controlli delle prescrizioni e gli operatori del servizio tecnico della centrale BETI che provvedono alla installazione e collaudo[6].  Nei rari casi in cui il domicilio si trovi presso una zona con scarsa copertura GSM, saranno necessarie tempistiche superiori a quelli standard (da 4 a 7 giorni), al fine di attivare una linea telefonica fissa.

Nei casi in cui la persona sottoposta alla S.E. si muova al di fuori del perimetro consentito secondo le prescrizioni impartite sulle quali è tarato il ricevitore del segnale, ovvero qualora manometta il dispositivo alla caviglia, si avvia immediatamente un allarme innescato dal trasmettitore al terminale sito presso il comando di polizia competente ai controlli. La linea telefonica diretta con la persona consente all’operatore di polizia di contattarla immediatamente per ricevere spiegazioni in merito e verificate lo stato delle cose; in assenza di riscontri positivi, la centrale invia subito una pattuglia di controllo.

Attivando la funzionalità “Outdoor”, il sistema garantisce:

  1. la posizione esatta del soggetto visualizzata su mappa e l’ultima posizione nota;
  2. la visualizzazione può essere in modalità continua o con frequenze specifiche;
  3. storico dei movimenti della persona stampati su mappa;
  4. le zone di permanenza obbligata e di non avvicinamento a spazi e luoghi predefiniti.

Le funzionalità del sistema “out door” (GPS Tracking) sono state recepite dal Legislatore quale strumento evoluto della S.E. nei casi previsti dall’art. 282 bis[7] c.p.p. nel contrasto dei reati di violenza di genere per il rafforzamento delle sicurezza pubblica percepita. Il sistema infatti prevede due tipologie di applicazione: localizzazione in tempo reale, a carattere continuo o a periodi programmati, di una o più persone in tutti i suoi spostamenti appositamente tracciabili (reportistica e storicizzazione dei movimenti); localizzazione di una o più persone in zone interdette con preclusione di avvicinamenti o stazionamenti in perimetri monitorati dal sistema di allarme che si attiva all’istante.

Generalmente, come peraltro previsto dal protocollo applicato dal Tribunale di Torino e Roma, per i controlli delle prescrizioni con applicazione dell’electroning monitoring è previsto che:

  1. provveda la forza di polizia che ha tratto in arresto la persona sottoposta alla misura, territorialmente competente in relazione al luogo di svolgimento della S.E.;
  2. in tutti gli altri casi, arresto operato da forza di polizia diversa di Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza, provvede la stazione carabinieri territorialmente competente in relazione al luogo in cui la misura deve essere svolta;
  3. Come confermato dalla riforma Orlando, in attesa che diventi esecutiva, seppure già applicato in molte sedi di tribubale, come Catania, Siracusa, Palermo e Napoli, alle operazioni di controllo delle prescrizioni concorre a pieno titolo la Polizia Penitenziaria territorialmente competente.

Funzionalità in tecnologia r.f. e sistema gps in tecnologia outdoor, illustri sconosciuti ?

L’evoluzione tecnologica dell’electroning monitoring ha consentito l’introduzione di diverse generazioni di dispositivi S.E. Inizialmente la tecnologia con radio frequenza R.F., che si limitava a verificare la presenza di una persona in un determinato e circoscritto luogo; successivamente l’innovativa tecnologia “GPS tracking”, basata sul funzionamento satellitare, ha consentito la sorveglianza a distanza degli spostamenti con localizzazione costante e mappatura degli spostamenti in luoghi esterni. 

Se applicata alla misura cautelare di cui all’art. 282 bis c.p.p., la S.E. deve essere sostenuta da un monitoraggio continuo e sistematico, in grado di fornire copertura h 24 in caso di violazione delle prescrizioni. In tal senso le capacità organizzative della filiera operativa devono essere in linea con l’evoluzione tecnologica.

La prima generazione di S.E. sfruttava  il sistema della radio frequenza (RF), conosciuta come “S.E. di tipo fisso”. Impiegata generalmente nella applicazione degli arresti domiciliari e delle detenzione domiciliare, questa prima modalità di S.E. largamente diffusa nei sistemi giuridici europei[8] è costituita da un trasmettitore mobile, indossato dalla persona e un ricevitore fisso installato nel luogo di detenzione collegato ad un sistema informatico centrale. Il trasmettitore comunicava mediante segnali in radio frequenza con il ricevitore situato nell’abitazione del sorvegliato con una copertura solo in ambito domiciliare. Tutte le informazioni venivano registrare dal ricevitore ed inviate alla centrale operativa tramite linea telefonica fissa o mobile comprese quelle relative a guasti e manomissioni.  Infatti il trasmettitore era garantito da un cinturino sensibile che evidenziava, generando allarmi, tentativi di manomissione o alterazione. Il peso e le dimensioni del trasmettitore erano contenute, composto da materiale ipoalergenico a tenuta stagna per consentire anche l’uso di acqua per l’igiene personale. Il limite del sistema era dato dal perimetro di monitoraggio: la comunicazione tra i due apparati, mobile e fisso,  circoscritta al luogo di detenzione domiciliare, con esclusione dello spazio esterno.

La comunicazione tra i due apparati, trasmettitore e ricevitore, era costantemente protetta, vale a dire criptata e preclusa ad interferenze esterne, non accessibile a persone non autorizzate. L’alimentazione del ricevitore era sviluppata da rete elettrica, ma era predisposta una alimentazione autonomia con batteria autoalimentata per fronteggiare interruzioni improvvise o durante tentativi di manomissione della alimentazione elettrica. La gestione in remoto dei dispositivi era affidata ai sistemi informatici localizzati presso le centrali operative delle forze di polizia per quanto concerne il monitoraggio dei sistemi di allarme. La centrale operativa BETI della Telecom supportava le singole forze di polizia relativamente alla raccolta delle informazioni sui singoli dispositivi, la produzione di rapporti di tipo statistico e l’assistenza in tempo reale. I dati raccolti dal sistema informatico delle forze di polizia venivano monitorati ed aggregati per rispondere in modo appropriato alle segnalazioni di allarme. Infatti gli avvisi comunicati dal dispositivo ricevitore tramite connessione con telefonia mobile venivano analizzati e documentati nell’arco delle 24 ore senza interruzioni, per accertare eventuali violazioni alla ordinanza restrittiva.

La tecnologia RF prevedeva la dotazione di dispositivi di S.E. c.d. “bilaterale”,  in quanto applicati non solo alla persona destinataria della misura, ma, nei casi previsti dall’art 282 bis c.p.p., per la prevenzione e repressione di reati di violenza di genere, al domicilio della vittima da tutelare. In questo specifico caso un ricevitore veniva installato nella abitazione della potenziale vittima, affinché un segnale di allarme potesse essere inoltrato alla centrale operativa qualora l’interdetto si avvicinasse entro una distanza prestabilita. Era prevista inoltre, per elevare il livello di sicurezza e prevenzione, nei casi di estrema gravità e rischio, che la vittima indossasse sulla persona un ricevitore mobile alimentato a batteria capace di attivare un segnale di allarme qualora l’avvicinamento vietato avvenisse anche al di fuori delle propria casa familiare.

In Europa, dove molti ordinamenti hanno anticipato l’applicazione della tecnologia di electroning monitoring alle misure cautelari, la S.E. bilaterale si è largamente diffusa: in Portogallo è stata avviata una sperimentazione organica per il contrasto alla violenza domestica, nei Paese Bassi è già in pieno regime da tempo, in Francia  è stata avviata di recente[9]. L’apparecchiatura bilaterale non fornisce tuttavia una sicurezza assoluta, seppure rappresenta in capo al sorvegliato un deterrente importante atteso che la strumentazione tecnica garantisce tempestività di segnale con avviso automatico di allarme sia alla centrale operativa che alla potenziale vittima di aggressione. Tuttavia, la componente umana deve sempre integrare la tecnologia, non potendo mancare l’attività di controllo senza preavviso a carico del sorvegliato da personale di polizia o di funzionari di sorveglianza (negli ordinamenti dotati di “Officer probation[10]”) nonché un programma di trattamento e di revisione critica teso al ravvedimento e al recupero sociale del molestatore.

La più recente tecnologia GPS tracking consente la localizzazione della persona anche all’aperto. Questa, appunto, rappresenta una evoluzione del sistema in RF, consente di variare i programma di sorveglianza e le prescrizioni, di variare i luoghi e i tempi di permanenza nel luogo di detenzione: la presenza fisica del sorvegliato può essere autorizzata su più luoghi approvati preventivamente in orari e luoghi diversi, possono anche essere concessi permessi di allontanarsi per brevi periodi dalla località di permanenza restrittiva. Il tracciamento tramite segnale GPS è noto come sistema S.E. “mobile” di seconda generazione ed estende la possibilità di applicare alla misura restrittiva l’electroning monitoring 24 ore su 24 in più luoghi di dimora, come località di lavoro e studio, mantenendo standard di sicurezza elevati.

La posizione del ricevitore GPS viene veicolata tramite linea telefonica mobile e localizzatore satellitare su una mappa presso la centrale operativa. Nei casi in cui non vi sia copertura sufficiente del segnale di  telefonia mobile, per lo più in zone chiuse o aree metropolitane, viene utilizzata la linea GSM[11] come rete di backup: in tale circostanza la mappatura del segnale proveniente dal ricevitore viene localizzata in una certa area, poche centinaia di metri nelle aree urbane, diversi chilometri in quelle rurali, corrispondente all’ampiezza dell’area coperta dalla cella radio identificata dalla antenna, con una capacità localizzante comunque inferiore alla tecnologia GPS tracking.

Quest’ultima sviluppa una capacità di aggregazione dei dati superiore: infatti qualora le segnalazioni trasmesse dal ricevitore non siano di una gravità tale da richiedere una risposta immediata del sorvegliante, le informazioni trasmesse sono depositate nel ricevitore GPS, trasmesse ad intervalli regolari secondo una particolare funzionalità chiamata S.E. “retroattiva o passiva”. In questo caso il ricevitore è tarato in modo tale che il flusso di informazioni avvenga ad intervalli regolari, al fine di consentire una adeguata valutazione aggregata delle segnalazioni. Più si riduce il tempo degli intervalli, più la sorveglianza assume carattere continuo e attivo, in tal caso è necessaria una maggiore disponibilità fisica di operatori addetti alla valutazione dei segnali.

In ogni caso lo sviluppo della tecnologia in GPS ha consegnato agli esperti della S.E. apparecchiature estremamente duttili e versatili: i sistemi di S.E. sono combinati in funzionalità c.d. “ibrida”, sia nella forma fissa che in quella mobile: se il sorvegliato non commette violazioni che impongono una immediata reazione, il sistema S.E. si attiva nella forma retroattiva-passiva (le informazioni da inviare alla centrale operativa vengono memorizzate nel ricevitore mobile e trasmesse successivamente ad intervalli regolari secondo la tecnica definita aggregata). Se invece  la violazione è grave, casi di manomissione o movimentazione in zona intedetta, la S.E. si  trasforma automitacamente in sorveglianza continua-attiva, con una capacità di risposta immediata. E’ il caso del sorvegliato che entra in una zona di esclusione (l’area esterna alla abitazione o al luogo di lavoro), che vengono prederminate in maniera sufficentemente ampia così che il segnale attivato dal trasmettitore applicato al ristretto inoltri immediatamente con il necessario preavviso lo stato di allarme, fornendo alla potenziale vittima e alla polizia il tempo di reazione e di intervento.

Sotto tale profilo, la prescrizione della S.E. offre alle autorità preposte sia una valida alternativa alla detenzione in carcere, tracciando in condizioni di elevata sicurezza una seria ed organica politica di decongestione carceraria, nel contempo, contribuisce significativamente a valutare la condotta del sorvegliato, dando al sistema di electroning monitoring la doppia opportunità di realizzare la messa alla prova del reo e il senso di legalità e giustizia sotteso alla misura alternativa.

E’ d’uopo soffermarsi, in ultimo, su altri sistemi di tecnologia in S.E., diffusi di recente all’estero,  per verificare e documentare in tempo reale la presenza di una persona sottoposta a restrizioni  in un determinato luogo a ciò deputato. Ci si riferisce alla tecnologia con “impronta vocale biometrica”, che viene prelevata dal soggetto destinatario della restrizione al momento della esecuzione della misura tramite registrazione. Avviata la misura restrittiva, la centrale operativa accerta in fase di controllo l’identità della persona tramite il riconoscimento della impronta vocale attraverso la linea telefonica connessa ad un sistema informatico che chiede di ripetere una serie di frasi. La presenza è inoltre confermata dal riconoscimento del numero telefonico utilizzato per l’identificazione biometrica dell’impronta vocale. Tale sistema all’avanguardia associato alla verifica vocale, oltre a documentare la prova del riconoscimento e della presenza dell’interessato, fornisce al Giudice uno strumento di valutazione che può trovare larga applicazione nelle plurime misure alternative al carcere, come l’affidamento o la detenzione in comunità o durante i benefici penitenziari come le licenze e permessi dal carcere[12].

La tecnologia applicata all’esecuzione penale nelle sue diverse e articolate fasi apre crescenti possibilità di controllo, soprattutto nell’osservazione comportamentale della persona, nell’ambito complesso della probation e della finalità rieducativa della pena. Tuttavia, come ampiamente trattato nella parte introduttiva del presente lavoro, il dibattito sull’impiego della S.E. solleva comunque questioni etiche e legali complesse insistenti sullo sfondo.

Una delle più ferme obiezioni, diffusa tra i più sensibili difensori dell’etica del diritto, oltre che nella classe forense, è quella secondo la quale la S.E. in remoto conduca inevitabilmente alla “ricerca di nuovi utenti” da sottoporre alle tecnologie di controllo avanzato. In questa prospettiva la tecnologia allargherebbe la rete del controllo elettronico in maniera indiscriminata, con il rischio di esporre soggetti terzi a forme di limitazione ingiustificata ed arbitraria. In altri termini la tecnologia della S.E. di persone sottoposte a misure cautelari alternative al carcere allontanerebbe l’Ordinamento dai principi fondamentali e dalle garanzie della Giustizia Penale, determinando invece una nuova forma di Politica penale, sbilanciata a favore della strategia sicuritaria del controllo sociale rispetto alla tutela della dignità e libertà delle persone.

Questa tesi, riassunta nella formula “Net Widening[13]”, secondo cui la S.E. rappresenta un cambiamento progressivo verso la società del controllo penale, non è considerata un problema reale da chi valuta l’esperienza scientifica al servizio della società civile. Si osserva, al riguardo, infatti, che la S.E. rappresenta oggettivamente una alternativa valida al carcere ed ai suoi effetti spersonalizzanti, dunque è un valido e adeguato strumento tecnico dell’ordinamento giuridico quando si configura come una modalità di carcerazione “alternativa e/o sostitutiva giustificata”. Dunque non si può parlare di ingiustificato inasprimento di controllo sociale, che sussisterebbe qualora la S.E. fosse applicata immotivatamente nel caso di soggetti che (per le loro oggettive condizioni, il reato commesso, la pericolosità sociale)  potrebbero fruire di misure alternative senza necessità di controllo continuo.

Ritornando alla critica, sulla stessa linea si colloca chi invoca la “stigmatizzazione” della persona sottoposta al braccialetto elettronico: in questo senso si valuta il rischio che la S.E. sia causa di desocializzazione della persona destinataria della misura alternativa che, proprio nella opportunità di probation, dovrebbe al contrario trovare le condizioni per un percorso di sviluppo della propria personalità, delle relazioni sociali ed affettive,  nuove prospettive di reinserimento sociale e nuove possibilità di ricostruzione della propria vita familiare e lavorativa.

Tale critica sottolinea anche il timore che la stessa possa accentuare le censure ambientali strettamente correlate alla sua immediata applicazione: le ricadute negative sui familiari conviventi, (figli, genitori, nipoti), o persone di fiducia e di sostegno alla famiglia. Seppure la normativa imponga il consenso dell’interessato, non prevede idonea tutela all’ambiente familiare e più prossimo.  Inoltre, sarebbe da evitare la misura in quei casi in cui il sorvegliato è condannato per i reati che possono essere commessi dal proprio domicilio, (detenzione e traffico di stupefacenti) o reati che possono essere commessi nella propria abitazione (come nel caso di violenza di genere in ambito domestico), casi nei quali, in alcuni paesi esteri, è previsto, come presupposto applicativo della misura, che sia acquisito il consenso del titolare della abitazione.

In senso inverso viene osservato che, riguardo alla presunta natura punitiva della S.E., tale misura rappresenta uno strumento di ausilio alla Giustizia per assicurare il pieno rispetto delle prescrizioni imposte al sorvegliato. Nessuna stigmatizzazione pertanto, ma la necessità che siano adottati presidi di sicurezza nello svolgimento di una pena alternativa al carcere tenuto conto della gravita del reato commesso e del rischio di recidiva. Peraltro, il controllo a distanza con dispositivi elettronici non incide sullo status della persona sottoposta, che, si sottolinea, non è un soggetto libero, ma pur sempre in vinculis, in quanto sottoposto ad una misura cautelare restrittiva o ad una pena detentiva. Giuridicamente lo status del soggetto è quello di persona detenuta ammessa ad un regime di restrizione diverso e meno afflittivo del carcere; l’individuo in questo contesto più umano e familiare percepisce di avere dalla Giustizia penale una nuova opportunità per migliorare la propria prospettiva di vita presente e futura, consapevole che la propria condotta sarà attentamente monitorata sia nell’interesse della comunità, sia a tutela del proprio percorso rieducativo. In tale ultima prospettiva va dunque analizzato il progetto penale della S.E., che non rappresenta solo uno strumento di salvaguardia e tutela della società civile dal pericolo di reiterazioni di reati, ma, in una ottica di rieducazione, è uno strumento di dissuasione e monito che offre garanzie alla persona che intende porre in essere una condotta esemplare e recuperare la fiducia dello Stato.

In tale direzione, si muove l’applicazione della S.E. associata alle misure alternative alla detenzione, allorché viene impiegata in molti paese come Germania ed Inghilterra per rafforzare l’efficacia della misura alternativa per elevare gli strumenti di controllo ed osservazione ed evitare, nel contempo, l’inasprimento della pena carceraria qualora l’individuo sia considerato comunque a rischio di agire in violazione degli obblighi imposti.

La S.e.,quale l’efficacia ? Riflessioni in una valutazione comparata

La S.E. è stata introdotta negli ordinamenti statuali per offrire al Giudice, nella pratica operativa, un presidio importante da applicare alla misura cautelare, ovvero alla misura alternativa o sostitutiva della pena,  qualora queste siano incapaci di assicurare, nella forme classica, alcune esigenze di sicurezza particolarmente sentite e apprezzate in sede di valutazione giudiziaria.

E’ noto che la misura degli arresti domiciliari sia rispetto alla custodia cautelare in carcere un minus relativamente al pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reitezione del reato (ad esempio la fuga all’estero durante il processo, ovvero il rischio di contatti con coimputati o vittime del reato). In questo senso rilevano i limiti di efficacia delle misure cautelari o detentive alternative al carcere, che da un lato limitano solo parzialmente azioni e comportamenti illeciti del reo, come pure escludono solo in parte contatti non autorizzati con terze persone, correi o altri pregiudicati che potrebbero venire a contatto con il ristretto eludendo le prescrizioni. Queste misure infatti richiedono, come abbiamo specificato, una collaborazione attiva del soggetto sottoposto, una piena assunzione di responsabilità sanzionabile solo in caso di violazione con la revoca. Le larghe maglie dei controlli domiciliari senza il supporto continuo e stringente della S.E. possono costituire dei deficit durante l’esecuzione penale alternativa tanto più pericolosi in rapporto alla specifica tipologia di reato commesso.

La gravità del reato deve costituire il primo aspetto tecnico di valutazione per la scelta della S.E.: l’esperienza giudiziaria ha dimostrato, infatti,  che il pericolo di recidiva è direttamente proporzionale alla libertà di movimento e alla tipologia di reato e ai presupposti precedenti di tipo personale e familiare del reo. Si pensi ai reati in materia di produzione, traffico e detenzione di stupefacenti, così come ai reati che si consumano on line, a distanza, a tutti quei reati che non richiedono in ogni caso una considerevole movimentazione della persona al di fuori del proprio domicilio. Il ristretto potrebbe proseguire la propria attività illecita presso la propria abitazione, nelle sue pertinenze, tramite contatti anche saltuari con terze persone, eludere i controlli giornalieri, assumere contatti anche indiretti con la potenziale vittima, in assenza di una vigilanza continua.

A diversa considerazione si giunge per i reati che presuppongono condotte basate sulla piena libertà di movimento. I reati come furti, rapine, aggressioni alla persona fisica e alla libertà sessuale, all’ambiente, alla cosa pubblica, vengono perpetrati solo se vi è capacità di  movimento o spostamento da un luogo ad un altro. Possono, pertanto, essere adeguatamente ostacolati da misure cautelari alternative al carcere se rafforzati dalla applicazione della S.E.. Analoghe considerazioni nei casi di esigenze cautelari attinenti il pericolo di inquinamento probatorio, dove, da un punto di vista generale, lo strumento della sorveglianza a distanza a carattere continuo costituisce un presidio efficace.

La S.E. presenta molteplici aree di applicazione, come pure molteplici destinatari, in quanto può trovare piena applicazione in sede di custodia cautelare, quale pena sostitutiva, quale misura alternativa al carcere durante l’espiazione di un congruo periodo di pena detentiva o se vi sono i presupposti per l’applicazione di misure alternative speciali.

A seconda della fase e della tipologia, come detto in precedenza, si applicano quei programmi che nel sistema internazionale sono definiti di “Front door” e “Back door”.  In quest’ultimo caso, i reati a cui la misura viene applicata  sono solitamente quelli più gravi, in quanto lo strumento viene applicato al termine di un periodo di espiazione ena detentiva in carcere abbastanza lungo.

In ogni caso, rispetto ai programmi di “Front door”, la valutazione dei detenuti da sottoporre ai programmi di “Back door” in modalità S.E. segue criteri più severi con particolare attenzione agli aspetti delle sicurezza e ai requisiti di ammissibilità in combinazione con un percorso trattamentale più rigido e complesso.

Non va trascurato che sussistono casi e condizioni  incompatibili con alcune tecnologie di  S.E. (tecnologia in RF), ci si riferisce in particolare ai reati di violenza domestica, ai reati commessi nella propria abitazione e suscettibili di reiterazione, ai cittadini stranieri senza fissa dimora o introdotti clandestinamente nello Stato, senza permesso di soggiorno, ai casi di comprovata e accertata pericolosità sociale connessa al pericolo di fuga. In tutti questi casi la tecnologia GPS Tracking può rappresentare una soluzione, se supportata da un approfondito ed efficace monitoraggio da parte del servizio di probation.

In effetti anche gli individui considerati di difficile gestione, particolarmente esposti al rischio di recidiva come i tossicodipendenti, sono giudicati in grado di partecipare con successo ai programmi di S.E., tenendo ben presente che soprattutto in questi casi la S.E. non interviene sulla componente socioeducativa, non agisce sul processo di responsabilizzazione dell’individuo se non nella forma deterrente. La tecnologia in GPS Trackng può seguire tutti gli spostamenti del soggetto ma non può sostituirsi al complesso lavoro degli operatori del servizio sociale o della Probation, che devono curare sistematicamente ed organicamente gli aspetti di trasformazione e recupero comportamentale e personale.

In  molti paesi la S.E. fu introdotta quale misura alternativa più valida ed efficace alla carcerazione, al fine di ridurre i tempi della pena in carcere, contrastare gli effetti spersonalizzanti delle istituzioni totali, ridurre il sovraffollamento. Essa ha contribuito a migliorare il lavoro delle forze di polizia, che possono monitorare la persona senza soluzione di continuità nella propria abitazione o durante il lavoro, nel contempo rendendola sempre reperibile per esigenze processuali e giudiziarie come gli interrogatori.

Anche il lavoro degli operatori del servizio sociale e di probation è migliorato: la persona da ammettere ai programmi di S.E. (sia in Front door che in Back door), è sottoposta ad una valutazione approfondita del contesto individuale e socio familiare. Negli ordinamenti in cui il servizio di sorveglianza è affidato a soggetti privati, come Stati Uniti, Inghilterra, Galles, questa indagine viene richiesta dal Tribunale all’”Officer Probation”. Questi operatori pubblici, sgravati degli oneri di vigilanza dal dispositivo elettronico in capo ad enti specializzati privati, possono curare approfonditamente tutti gli aspetti trattamentali e le analisi specialistiche di competenza nello  campo individuale e socio-familiare.

La S.E. non è una misura punitiva, né del trattamento, è uno strumento tecnico di sorveglianza, che deve essere applicato all’interno di un sistema integrato di interventi, come l’osservazione comportamentale, l’analisi del contesto ambientale e familiare, socio-culturale, spesso associata a programmi terapeutici per il trattamento dei soggetti affetti da alcool e tossico dipendenze, in un quadro sistemico di complesse attività multidisciplinari. Pertanto, come largamente condiviso negli ordinamenti europei, sono residuali e poco efficaci sotto il profilo rieducativo le applicazioni della S.E. come misura “stand alone”, cioè priva di supporti multidisciplinari. Il modello largamente consolidato è proprio quello di una applicazione sistemica ed integrata.

Nel più ampio panorama europeo e internazionale, il modello di riferimento, seppure i risultati nella pratica giudiziaria della S.E. siano diversi, oscillando in valori assoluti e percentuali di applicazione, di revoche e di abbattimento della recidiva piuttosto diversificati a causa delle profonde differenze delle giurisdizioni e degli ordinamenti penitenziari, è decisamente quello anzidetto: un modello di S.E. configurato quale efficace strumento di controllo, prevenzione e rieducazione, al fine di migliorare l’efficacia della misura cautelare o della sanzione penale sostitutiva, in aggiunta agli interventi di probation. In questo senso la S.E. è stata definita anche la “terza via penale” (cit. Kaluszynski, 2006), in aggiunta al carcere e alla misura alternativa.

Il numero delle revoche della misura con applicazione della S.E. per violazioni delle prescrizioni in Europa è generalmente basso, la comparazione dei risultati statistici tuttavia è complessa in quanto va tenuto conto delle differenze tra gli ordinamenti giudiziari e penitenziari dei singoli Stati. Inoltre, una diversa percentuale di revoche e di risultati devono tenere conto, innanzitutto, dei differenti programmi della misura, dei diversi attori dell’esecuzione penale, (in alcuni ordinamenti sono autorità pubbliche, in altri specialisti privati) del differente modo di interpretare e valutare una determinata violazione all’interno dell’organo giudiziario. Ancora, diversi e spesso  difformi sono i presupposti di applicazione della misura, le previsioni normative e le conseguenti prescrizioni contenute nei programmi.

Negli anni sessanta venne sperimentato, per la prima volta, l’impiego di strumenti elettronici nella esecuzione penale, a partire dai detenuti in libertà vigilata e sui pazienti psichiatrici, al fine anche di compensare le politiche di rigore repressive della criminalità con il ricorso indiscriminato alla carcerazione. Nel giro di pochi decenni, l’impiego della tecnologia come misura di sicurezza del sistema penale fu introdotto negli USA, divenendo strutturale nel 1984, così diffondendo un modello al di fuori anche dei confini americani.

Agli inizi degli anni 90, causa le stesse ragioni di contenimento della popolazione carceraria e la necessità di un sistema penale più evoluto di tipo non solo repressivo ma indirizzato alla società civile, al rispetto dei diritti umani, l’applicazione della S.E. si impose in molti paese europei quali Svezia e Paesi bassi, con il dilagare delle sperimentazioni pure in Germania, Francia, Inghilterra, Scozia, Portogallo, Svizzera, Spagna e, in fine, Italia. Tra questi, il modello Svedese si sviluppò per primo e si definì rapidamente.

La Svezia ha sperimentato il sistema nel 1994, all’interno dei programmi alternativi di “front door”, in un primo tempo come alternativa a condanne detentive brevi (da 6 a 18 mesi), in seguito, a partire dal 1999, estendendosi a condanne fino a 3 anni ovvero in programmi di “back door”. L’implementazione della S.E. trovava fondamento in un sistema penale evoluto che puntava a rafforzare ed intensificare gli interventi dello Stato nella fase finale della pena, così come nella fase preparatoria al rilascio per facilitare il rientro nella società dei soggetti “dimettendi” dal carcere, a vantaggio della riabilitazione del condannato e la prevenzione della recidiva specifica.  Ciò in quanto questo Ordinamento presta particolare attenzione alle prime fasi di scarcerazione dove si registra in percentuale una alto tasso di ricaduta nella stessa tipologia di reato[14].

La portata innovativa di questa concezione, sensibile alla fase del rientro nella società del reo, era già sviluppata nell’ordinamento svedese da anni, prevedendosi in passato la possibilità di assegnare i detenuti dimettendi in “open Prison”, nel periodo finale della pena, favorendo il lavoro esterno o l’affidamento in strutture penitenziarie a custodia attenuta o strutture di comunità supportate, per la vigilanza dei detenuti, dalla S.E. Il modello svedese prevede che lo Stato agevoli le condizioni per l’applicazione della S.E., favorendo programmi di “Front door” anche attraverso interventi da parte del “Prison and Probation Service” che supporta la persona nella ricerca di attività lavorativa e trattamentale nonché nella scelta del luogo di dimora fissa più idoneo dove installare la S.E.

L’accesso al periodo di S.E. può essere negato in presenza di rischi di evasione specifici, commissione di reati non altrimenti evitabili (reati perpetrabili all’interno della abitazione o domicilio, rivolti a persone che risiedono nello stesso luogo di svolgimento della misura, altre condizioni incompatibili con l’esecuzione) abuso di droghe e alcool.

Lo straniero privo di regolare permesso di soggiorno non viene ammesso ai programmi di S.E., così pure chiunque non abbia superato con successo durante la detenzione licenze e permessi dal carcere con pernottamento all’esterno. Fondamentale in questo modello è dunque la prelimnare valutazione dei rischi, demandata nella sua pratica applicazione al Pobation Service che assume la responsabilità dell’attuazione, della determinazione delle prescrizioni, dei tempi e dei programmi, della gestione della misura, in considerazione che l’esecuzione penale è concepita come una prerogativa amministativa e non giudiziaria.

Nei Paesi Bassi,  la S.E. è applicabile indifferentemente ai programmi di “Front door” e “Back door”, l’applicazione dei dispositivi può costituire l’unica prescrizione o essere prevista unitamente ai lavori di pubblica utilità. Avviata con un progetto sperimentale pilota nel 1995, fu introdotta quale sistema per favorire la decongestione dei penitenziari e limitare i danni causati dalla detenzione, dando particolare risalto, quale presupposto per l’ammissione, al consenso delle persone coinvolte e all’impegno lavorativo durante lo svolgimento.

L’ammissione è una responsabilità condivisa del Servizio penitenziario pubblico e della Fondazione indipendente di natura privata “Reclassering Nederland”, che insieme gestiscono la misura ciascuna con competenze specifiche. La Fondazione finanziata dal Ministero della Giustizia si occupa di misure alternative al carcere. In questo modello. L’Amministrazione penitenziaria svolge un ruolo di supervisore del sistema tecnico di S.E., la gestione della misura nel suo complesso è ripartita tra la Fondazione e una società privata che eroga i dispositivi. Questo modello ha peraltro determinato quello del Belgio che ha introdtto la S.E.  dopo una sperimentazione preliminare nel biennio 1997-1998. Quello spagnolo si richiama in gran parte a quello svedese, con l’introduzione nel codice penale (Codigo Penal) del sistema di S.E. prevalentemente nel contrasto ai reati di violenza di genere.

Il modello francese è stato adottato con la Legge 19 dicembre 1997, fortemente sostenuta dal senatore Guy Cabanel, con la quale viene  introdotta nell’ordinamento il sistema di S.E. unitamente ad un insieme di misure sostitutive di pene detentive brevi nel quadro di una riforma politica indirizzata a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e le violazioni alla dignità della persona detenuta.

Nell’ultimo decennio, la tendenza in crescita dei programmi di S.E. è stata registrata in Inghilterra, Galles Francia e Belgio, con la prima che si distingue su tutte per una larghissima applicazione dei sistemi elettronici di vigilanza. In questo paese, infatti, i partecipanti ai programmi di S.E. sono passati da 62647 nel 2007 a 99950 nel 2010, con una applicazione uniforme della S.E. indistintamente ad entrambe le tipologie di programmi in Front door e Back door.

Nel modello inglese, il settore privato è responsabile della fornitura, installazione e controllo del programma, mentre la valutazione delle informazioni riservate derivante dai dispositivi elettronici compete alle autorità pubbliche, che interviene a seconda del tipo di violazione.

Nei paesi anglosassoni la S.E. è effettuata da società di sicurezza privata, la gestione delle violazioni e delle revoche compete allo Stato tramite il servizio di probation o il servizio penitenziario. Questo modello, a differenza di quello svedese, riconoscendo la natura giurisdizionale della misura applicativa, prevede che il giudice competente a disporre l’applicazione, dia l’ordine di “curfrew” con ulteriori misure trattamentali di competenza del servizio di probation, delegando per i controlli gli istituti di vigilanza privati già fornitori dei dispositivi tecnici di controllo in remoto. Introdotta nel sistema inglese per i soli condannati a pene detentive brevi (entro i sei mesi), l’accesso fu esteso ai soggetti che dovessero svolgere, secondo programmi di Back door, l’ultima parte della maggiore pena inflitta.

L’uso di strumenti elettronici di sorveglianza e nello specifico la possibilità di affidarne la gestione a soggetti di diritto privato, pone una serie di perplessità sulla titolarità dell’esecuzione penale, considerata generalmente prerogativa esclusiva dello Stato. Invero, l’organizzazione e la gestione delle S.E. variano sulla base dei programmi, delle misure ordinate dal Giudice, delle attività di sorveglianza, delle risorse a disposizione, della concezione tradizionale di condurre l’esecuzione penale nel sistema ordinamentale di ciascun paese.

Invero, la fornitura e l’installazione dei dispositivi, le operazioni tecniche di sorveglianza, la manutenzione degli impianti, sono tutte attività connesse alla S.E. che possono essere affidate a società del settore privato accreditate e garantite.

Il dato fermo, pacifico in tutti gli ordinamenti europei, rimane la gestione delle violazioni e di tutte le attività connesse alle sanzioni in caso di accertata violazione delle misure nonché i provvedimenti di sospensione e revoca, affidate alle autorità pubbliche, espressione della prerogativa statuale di esercitare e dirigere l’esecuzione penale.

Bibliografia: 

CEP, Electronic Monitoring in Europe, www.cepprobation.org/

CIARPI M., La Globalizzazione e l’esecuzione penale. Confronto tra la situazione in Inghilterra, Galles e Italia, in Rassegna di Servizio Sociale nr. 4 Roma, 2007.

CIARPI M., “Il Monitoraggio elettronico e stellitare delle persone sottoposte a misure alternative alla detenzione o di comunità” (2008)

Consiglio d’Europa, 2007, Raccomandazione R (2006) 2 Comitato dei Ministri sulle Regole penitenziarie.

Consiglio d’Europa, 2011, Raccomandazione R (2010) 1 Comitato dei Ministri in materia di Probation.

DE GIORGI A. “Il Progetto pilota italiano sul monitoarggio elettronico” (2003).

[1]    A seguito della riorganizzaione del Ministero della Giustizia, la Direzione Generale Esecuzione Penale Esterna è stata soppressa e la competenza attribuita al Dipartimento della Giustizia Mnorile e di Comunità.

[2]    Conversione in Legge, con modificazioni, del Decreto Legge nr.. 341 del 24 ovembre 2000, recante “disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell’Amministrazione della Giustizia.

[3]    Legge 26 luglio 1975, n. 354.

[4]    I Ministeri della Giustizia e dell’Interno suggerivano alle A.G., nella prima fase di applicazione, di limitare l’impiego ai casi di misure restrittive da eseguirsi nel territorio dell cinque provincie menzionate considerando anche i tempi di applicazione.

[5]    Acronimo di Braccialetto Elettronico Telecom Italia

[6]    Il servizi di assistenza Telecom prevede: assistenza tecnica e manuteznione dei dispositivi; installazione e disattivazione; logistica e movimentazioje apparecchi; gestione sopralluoghi e collaudi; supporto tecnico alle forze di Polizia durante il monitoraggio elettronico con  numero verde appositamente dedicato; sviluppo e aggiornamento della piattaforma (test plant); reportistica e storicizzazione degli eventi/allarmi.

[7]     Il comma 6 rinvia alle sole modalità di controllo previste dall’art. 275 bis c.p.p.

[8]    Dispositivi forniti dalla società SERCO fornitore del servizio in Scozia sino ad aprile 2013.

[9]    La tecnologia GPS basata sul funzionamento dei navigatori satellitari è in uso dal 1970 introdotta dal programma della Difesa statunitense e si basa sulla interazione di segnale tra alcuni satelliti in orbita e dispositivi mobili: la localizzazione è ricavata dal calcolo delle distanze tra un certo numero di satelliti e i ricevitori mobili.

[10]  Francia, Paesi bassi, Catalogna Germania, Irlanda e Svezia impiegano organicamente le misure alternative al carcere tramite gli “Officer Probation” che utlizzano sistematicamente la tecnologia in GPS Tracking prevalentemente in materia di reati di violenza di genere.

[11]  Si tratta della tecnologia Global System for Mobile Comunication in uso ai telefoni cellulari.

[12]  Una imporatnte fase sperimentale della tecnologia electroning monitoring tramite impronta vocale biometrica è stata avviata nella Catalogna, con un programma pilota di applicazioni a partire dal 2009 ai soggetti che beneficiavano di brevi permessi sino a 48 ore di uscita dal carcere.

[13]  “Net Widening” o “Widenig the Net” definisce l’allargamento della rete di controllo sociale che determina l’incremento del numero di individui sottoposti al controllo penale.

[14]  Ricerche criminologiche in ambito internazionale hanno dimostrato che il periodo successivo alla dimissione è rilevante in relazione al rischio di recidiva, dimostrando quanto sia delicato e fondamentale il graduale passaggio dal carcere alla società. Sul punto si cita il primo seminario sulla S.E. organizzato dalla Conference Permanence Europenne de la Probation, (che organizza con cadenza biennale incontri internazionali di studio sui risultati della S.E.), tenutosi a Egmond Ann Zee, Paesi Bassi, dal 15 al 18 ottobre 1998.  Si segnala, altresì, il successivo seminario internazionale promosso dal Centro di Ricerca di sociologia del Diritto e Istituzioni Penali (CESDIP) e l’Istituto Federale di ricerca sulle Economie e Società Industriali (IFRESI) che ha posto a confronto i risultati delle esperienze giudiziarie sulla applicazione della S.E.

Avv. Maugeri Dario Pietro

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento