La pronuncia annotata, sentenza n. 170/2007 della Corte Costituzionale, prende le mosse da una questione di legittimità proposta, in via incidentale, dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale. L’ordinanza di rimessione del 12 aprile 2006, sollevava, prendendo a parametro l’art. 76 Cost., la quaestio de quo relativa alla disposizione normativa di cui all’art. 134, 1° comma, del D.Lgs. n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) con particolare riferimento, in veste di criteri interposti, agli artt. 15-16 della legge-delega 12 dicembre 2002 n. 273 (Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo economico). Il rimettente constata che, mentre la norma censurata prevede, per le controversie attribuite alla cognizione delle sezioni specializzate, l’applicazione del c.d. rito societario disciplinato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, la legge-delega n. 273/2002, in specie l’art. 15, non concerneva le sezioni specializzate sotto il profilo della disciplina processuale e dell’organizzazione dal momento che, le stesse, costituivano oggetto della diversa e distinta delega contenuta all’art. 16 (avente ad oggetto l’adozione di decreti legislativi per assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti giudiziari in materia) la quale, tuttavia, alla data di adozione del D.Lgs. n. 30/2005, era scaduta oltre che già attuata con il D.Lgs. n. 168/2003 (istitutivo, appunto, delle sezioni specializzate) con la conseguenza di non fornire alcuna base giuridico-legale al citato art. 134, 1° comma.
La Corte Costituzionale, ribadisce la sua giurisprudenza, rinvenendo nel confronto tra gli esiti di due distinti processi ermeneutici (uno, relativo ai principi e criteri direttivi ed all’oggetto della delega, l’altro, alle norme poste dal legislatore delegato), il criterio per la valutazione di costituzionalità della delega legislativa, considerata quale parametro interposto la cui eventuale violazione, rappresenta una lesione indiretta del dettato costituzionale. Inoltre, precisa il giudice delle leggi, il riassetto di norme preesistenti può determinare l’introduzione di soluzione innovative soltanto (sentt. n. 239/2003 e n. 354/1998) se siano stabiliti principi e criteri direttivi in questa direzione, confermando la prospettiva della dottrina maggioritaria (Paladin) circa il carattere vincolato e non libero del Decreto Legislativo Delegato, atto normativo avente forza di legge.
L’effetto primario di una simile decisione riguarda la non applicabilità, alle controversie in materia di proprietà industriale ed intellettuale, del rito societario, continuando a permanere la riserva di collegialità. Ma quid iuris per i giudizi in corso iniziati sotto la disciplina del più celere procedimento processuale societario ? La risposta non può evincersi dall’art. 2, 3° comma-ter lett. a), del Decreto-Legge 14 marzo 2005 n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) convertito, con modificazioni, dalla l. di conversione 14 maggio 2005 n. 80. Infatti, se, da un lato, esso configura la possibilità di optare per il rito societario in materie ad esso estranee, questo può accadere unicamente nella fase iniziale della litis contestatio e con l’assenso, almeno implicito, di tutte le parti. Pertanto, la strada della convertibilità dei giudizi pendenti dal rito societario a quello ordinario, almeno per ora, è l’unica giuridicamente praticabile.
(08 giugno 2007)
Daniele Trabucco-Assistente in Istituzioni di Diritto Pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Padova- E-mail: daniele.trabucco@alice.it
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