Breve panoramica sulla natura giuridica delle obbligazioni condominiali: la soluzione adottata dalle sezioni unite

Geraci Rosa 06/11/08
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Com’è noto, un diritto soggettivo può appartenere a più persone, le quali ne divengono, in tal modo, contitolari.
Il fenomeno della contitolarità assume una connotazione peculiare quando inerisce ad n diritto reale, prendendo allora il nome di comunione.
Qualora una res cade in comunione, il diritto di ognuno dei partecipanti non ha per oggetto una parte fisicamente individuata di essa, ma abbraccia questa nella sua totalità; detto diritto non è, però, illimitato, come sarebbe se la proprietà spettasse ad una sola persona, ma a sua misura è rappresentata dalla quota.
Una delle figure più complesse di comunione, largamente diffusa nell’edilizia moderna, è quella del condominio negli edifici, che si verifica quando gli appartamenti, di cui l’edificio consta, non appartengono alla medesima persona, ma a persone diverse.
Ciascuna di queste persone è proprietaria esclusiva del proprio appartamento, ma alcune parti dell’edificio (il suolo su cui esso sorge, le fondazioni, le scale, ecc…) appartengono in comunione a vari condomini.
Il diritto di ciascuno dei condomini e l’obbligo di partecipare alle spese per la manutenzione delle parti comuni sono stabiliti dal titolo: in mancanza, essi corrispondono, a norma degli ertici 1118 e1123 c.c., al valore del piano o della porzione di piano.  
In questa sede ci si propone di analizzare la tematica relativa alla natura giuridica delle obbligazioni condominiali.
Sulla questione, che per lungo tempo ha travagliato la giurisprudenza, si sono pronunciate le Sezioni Unite, componendo un precedente contrasto giurisprudenziale sorto sul punto e riassumibile nei seguenti termini.
Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, la responsabilità dei singoli partecipanti per le obbligazioni assunte dal “condominio” verso i terzi ha natura solidale, avuto riguardo al principio generale stabilito dall’art. 1294 Codice Civile per l’ipotesi in cui più soggetti siano obbligati per la medesima prestazione: principio non derogato dall’art. 1123 Codice Civile, che si limita a ripartire gli oneri all’interno del condominio (Cass., Sez. II, 5 aprile 1982, n. 2085; Cass., Sez. II, 17 aprile 1993, n. 4558; Cass., Sez. II, 30 luglio 2004, n. 14593; Cass., Sez. II, 3 agosto 2005, n. 17563).
Per l’indirizzo decisamente minoritario, la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà: in proporzione alle rispettive quote, ai singoli partecipanti si imputano le obbligazioni assunti nell’interesse del “condominio”, relativamente alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell’edificio, per la prestazioni dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli articoli 752 e 1295 Codice Civile per le obbligazioni ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditari i coeredi concorrono in proporzione alle loro quote e l’obbligazione in solido di uno dei condebitori si ripartisce tra gli eredi in proporzione alle quote ereditate (Cass., Sez. II, 27 settembre 1996, n. 8530).
A dispetto di ogni automatica previsione, le Sezioni Unite si schierano a favore della tesi minoritaria in giurisprudenza: la partecipazione dei condomini alle spese, alla conservazione ed al godimento delle cose comuni dell’edificio costituisce un’obbligazione parziaria, non assoggettata (né assoggettabile) alle norme sulla responsabilità solidale.
Le ragioni di tale scelta interpretativa sono argomentate ‘funditus’ dal Supremo Consesso di legittimità, attraverso un’analisi serrata dell’istituto da cui necessariamente occorre partire, vale a dire l’obbligazione solidale (passiva). Si tratta di un “fenomeno” solo generalmente descritto dal codice quanto ad effetti e a conseguenze; l’art. 1292 c.c., infatti, sotto la rubrica "nozione della solidarietà", si limita a descrivere il fenomeno e le sue conseguenze. Invero, definisce l’obbligazione in solido quella in cui "più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione" e aggiunge che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità (con liberazione degli altri). L’art. 1294 c.c., di seguito, stabilisce che "i condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente". Ma “nessuna delle norme, tuttavia, precisa la ‘ratio’ della solidarietà, ovverosia ne chiarisce il fondamento”. Occorre appigliarsi, allora, alle elaborazioni ermeneutiche maturate in seno alla dottrina, la quale individua nel vincolo solidale la compresenza di tre connotati fondamentali: la partecipazione di più debitori (o creditori), la unicità della causa dell’obbligazione (‘eadem causa obbligandi’) e la unicità della prestazione (‘eadem res debita’). Il problema sorge –specifica la Corte- proprio con riguardo al carattere dell’ ‘idem debitum’, in quanto si tratta di soffermarsi sulla unicità della prestazione “che, per natura, è suscettibile di divisione, e (sul)la individuazione del vincolo della solidarietà rispetto alla prestazione la quale, nel suo sostrato di fatto, è naturalisticamente parziaria”. In altri termini, il meccanismo solidale soccorre tutte le volte in cui la prestazione, pur essendo a livello intrinseco parziaria, è in realtà indivisibile, nonché qualora essa sia divisibile ma la legge (e soltanto questa) ne privilegi la comunanza. Le Sezioni Unite chiariscono che la solidarietà rappresenta un principio riguardante i condebitori in genere, ma il criterio generale mantiene salda la propria validità allorquando sussistano i presupposti previsti dalla legge per l’attuazione del con debito: sostanzialmente nell’ipotesi in cui la prestazione comune a ciascuno dei debitori è, al contempo, indivisibile. Se, per converso, l’obbligazione è divisibile, salvo che un’espressa previsione normativa la consideri solidale, il principio della solidarietà passiva va contemperato con quello della divisibilità stabilito dall’art. 1314 c.c., a norma del quale a fronte di una pluralità di debitori, se la causa dell’obbligazione è unica, ciascuno risponderà del debito limitatamente alla porzione di propria spettanza.
Un altro dato da considerare è questo: poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di una obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell’obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di una obbligazione comune, ma naturalisticamente, divisibile viene meno uno dei requisiti della solidarietà e la struttura parziaria dell’obbligazione prevale.
Pertanto, “in difetto di configurazione normativa dell’obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di una obbligazione comune, ma naturalisticamente divisibile, viene meno uno dei requisiti della solidarietà e la struttura parziaria dell’obbligazione prevale”. Argomentazione, quest’ultima, facilmente comprensibile alla luce della considerazione per cui “la solidarietà viene meno ogni qual volta la fonte dell’obbligazione comune è intimamente collegata con la titolarità delle ‘res’”. Le disposizioni di cui agli artt. 752, 754 e 1295 c.c. – che prevedono la parziarietà delle obbligazioni dei coeredi e la sostituzione, per effetto dell’apertura della successione, di una obbligazione nata unitaria con una pluralità di obbligazioni parziarie – ne sono conferma: esprimono il criterio di ordine generale del collegamento tra le obbligazioni e le res.                                            .  
Per la verità – sottolinea la Corte – si tratta di obbligazioni immediatamente connesse con l’attribuzione ereditaria dei beni: di obbligazioni ricondotte alla titolarità dei beni ereditari in ragione dell’appartenenza della quota. Ciascun erede risponde soltanto della sua quota, in quanto è titolare di una quota di beni ereditari. Più in generale, laddove si riscontri lo stesso vincolo tra l’obbligazione e la quota e nella struttura dell’obbligazione, originata dalla medesima causa per una pluralità di obbligati, non sussista il carattere della indivisibilità della prestazione, è ragionevole inferire che, rispetto alla solidarietà non contemplata (espressamente), prevalga la struttura parziaria del vincolo.
Per  quanto concerne la struttura delle obbligazioni assunte nel cosiddetto interesse del "condominio" – in realtà, ascritte ai singoli condomini – si riscontrano certamente la pluralità dei debitori (i condomini) e la ‘eadem causa obbligandi’, la unicità della causa: il contratto da cui l’obbligazione ha origine. È discutibile, invece, la unicità della prestazione (idem debitum) che certamente è unica ed indivisibile per il creditore, il quale effettua una prestazione nell’interesse e in favore di tutti condomini (il rifacimento della facciata, l’impermeabilizzazione del tetto, la fornitura del carburante per il riscaldamento etc.). L’obbligazione dei condomini (condebitori), invece, consistendo in una somma di danaro, raffigura una prestazione comune, ma naturalisticamente divisibile.
La Corte, ponendo in risalto come alcuna norma di legge disponga espressamente l’applicazione del criterio della solidarietà alle obbligazioni condominiali, stabilisce l’inapplicabilità dell’art. 1115, comma secondo, c.c., argomentando che la disposizione de qua,in quanto si riferisce alle obbligazioni contratte in solido dai comunisti per la cosa comune, ha valore meramente descrittivo, non prescrittivo: non stabilisce che le obbligazioni debbano essere contratte in solido, ma regola le obbligazioni che, concretamente, sono contratte in solido. A parte ciò, la disposizione non riguarda il condominio negli edifici e non si applica al condominio, in quanto regola l’ipotesi di vendita della cosa comune.
Occorre altresì considerare che l’art. 1223 c.c. , il cui primo comma contempla le spese necessarie per la conservazione delle cose comuni (rispetto alle quali l’inerenza ai beni è immediata), mentre il secondo (comma) concerne le spese per l’uso, in cui sussiste comunque il collegamento con le cose, configurando entrambe come obbligazioni propter rem (in quanto connesse con la titolarità del diritto reale sulle parti comuni, non traccia alcun distinguo tra il profilo esterno ed interno del rapporto obbligatorio.
In altri termini, in materia di condominio le obbligazioni derivanti dalle spese e dal godimento della cosa si caratterizzano per essere obbligazioni ‘propter rem’, che nascono come conseguenza dell’appartenenza in comune, in ragione della quota, delle cose, degli impianti e dei servizi e, solo in ragione della quota, a norma dell’art. 1123 c.c. (in tema di ripartizione delle spese), i condomini sono tenuti a contribuirvi per le parti comuni; quindi, essendo queste obbligazioni comuni, naturalisticamente divisibili ‘ex parte debitoris’, il vincolo solidale risulta inapplicabile e prevale la struttura intrinsecamente parziaria delle obbligazioni.
La Corte confuta, infine, quell’argomento contrario che, ai fini della tesi della solidarietà, intravede nel condominio un “ente di gestione” e nell’amministratore, la relativa figura di rappresentanza.
Invero, la figura dell’ente, sebbene di pura e semplice gestione, presuppone che coloro ai quali venga conferito i potere di rappresentanza non vengano surrogati dei partecipanti. Ancora, gli enti di gestione costituiscono una categoria, se non unitaria, definita, a cui la legge attribuisce compiti e responsabilità differenti in relazione alle finalità perseguite, che possono essere svariate e disponendo all’uopo un’apposita regolamentazione normativa.
Diversamente, il condominio non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni. L’amministratore e l’assemblea gestiscono le parti comuni per conto dei condomini, ai quali le parti comuni appartengono. Infatti,  la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti.
Secondo la giurisprudenza consolidata, poi, l’amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato.
L’amministratore agisce in giudizio per la tutela dei diritti di ciascuno dei condomini, nei limiti della propria quota, costituendo questo il limite entro cui ciascuno dei condomini rappresentati deve rispondere delle conseguenze negative. Per quest’ordine di ragioni, nessun singolo condomino potrà reputarsi vincolato da una decisione dell’amministratore che eccedendo i poteri conferitigli e modificando i criteri di imputazione e di ripartizione delle spese ex art. 1123 c.c., lo obblighi oltre il limite della propria quota (Cass., SS. UU., 8 aprile 2008, n. 9148).
 
 
Rosa Geraci
Dottoranda in Diritto Comparato presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo
 

Geraci Rosa

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