(Intervento, al Workshop “Infiltrazioni mafiose e P.A.”, organizzato dall’Osservatorio Permanente sulla Criminalità organizzata – Siracusa – 26 maggio 2007)
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1 – La normativa originaria
L’art. 15-bis della L. 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall’art. 1 del D.L. 31 maggio 1991 n. 164, convertito con L. 22 luglio 1991 n. 221, e poi modificato dall’art. 1 della L. 11 gennaio 1994 n. 108, ha previsto lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, “quando … emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.
Come evidenziato da G. La Torre (Consiglio Comunale, scioglimento con la criminalità organizzata. Criteri di applicazione, in Amministrazione Italiana, 2004, n. 3, p. 381 ss.), la norma riportata è stata affiancata all’art. 15 della stessa L. n. 55/1990, che, “ricollegandosi … ai modelli penalistici e di prevenzione, contempla la sospensione degli amministratori sottoposti procedimento penale per il delitto previsto dall’art. 416 bis del codice penale ovvero per i delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad esso e degli amministratori nei cui confronti sia stata applicata, ancorché con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere a una delle associazioni di cui all’art. 1 della Legge 31 maggio 1965, n. 575”.
In effetti, l’art. 15 (poi trasfuso nell’art. 59 del Decreto Leg.vo 18 agosto 2000 n. 267), è stato posto in essere per garantire il corretto funzionamento degli organi elettivi, dei quali è stata assicurata la sopravvivenza, essendo prevista soltanto la sospensione degli amministratori collegati alla criminalità organizzata.
Viceversa, l’art. 15 bis rappresenta la “extrema ratio”, cui l’ordinamento ha ritenuto di dover ricorrere, quando la sospensione degli amministratori collusi non sarebbe sufficiente a salvaguardare l’amministrazione pubblica, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata. Trattasi pertanto di misura di carattere straordinario, introdotta per fronteggiare un’emergenza straordinaria, da cui è derivata “la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, la possibilità di una eventuale soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni” (G. La Torre).
2 – La sentenza della Corte Costituzionale 19 marzo 1993 n. 103
La giurisprudenza amministrativa, chiamata a sindacare la legittimità dei primi atti applicativi dell’art. 15 bis della L. n. 55/1990, ha dubitato della conformità alla Costituzione della predetta norma, evidenziato l’esistenza di un “minore grado di spessore probatorio richiesto quanto al presupposto sostanziale ivi considerato (i "collegamenti" con la criminalità organizzata), rispetto agli elementi richiesti sia per il promovimento dell’azione penale sia per l’adozione della misura preventiva”.
Con sentenza 19 marzo 1993 n. 103 la Corte costituzionale ha rigettato la questione di costituzionalità del citato art. 15 bis, che era stata sollevata dal Tar del Lazio con un’articolata ordinanza. In tale occasione, il Giudice delle leggi ha individuato i seguenti punti qualificanti dell’impianto normativo:
A – Sindacabilità degli atti impugnati
E’ stata esclusa la natura politica degli atti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali, dei quali è stata riconosciuta la sindacabilità da parte del giudice amministrativo.
B – Obiettività e coerenza del potere di scioglimento
E’ stato sottolineato che “la disposizione impugnata è … formulata in modo da assicurare il rispetto dei principi che si assumono violati, e contiene in sé tutti gli elementi idonei a garantire obiettività e coerenza nell’esercizio dello straordinario potere di scioglimento degli organi elettivi conferito all’autorità amministrativa. Quel potere è previsto nella ricorrenza di talune situazioni, fra loro alternative, quali a) i collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata, b) le forme di condizionamento degli amministratori, ma sempre che risulti che l’una o l’altra situazione compromettano la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali nonché il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, ovvero quando il suddetto collegamento o le suddette forme di condizionamento risultino "tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".
C – Necessità di una motivazione adeguata
E’ stato altresì affermato che “È … la stessa prevista connessione tra situazione emersa ed evenienza pregiudizievole ad esigere, nella motivazione del provvedimento, la dimostrazione che, muovendo dalla accertata constatazione della sussistenza di una delle due situazioni anzidette, possano farsi risalire ad essa quella compromissione o quel pregiudizio cui il legislatore ha inteso ovviare nel prevedere la misura. Un obbligo, quello della adeguatezza della motivazione, che, anche prima di essere espressamente previsto in via generale dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990, era già imposto dalla costante giurisprudenza amministrativa in modo rigoroso per gli atti amministrativi – come quelli previsti dalla disposizione impugnata – restrittivi della sfera giuridica dei destinatari. Si è difatti sempre affermato il principio che in questo particolare tipo di atti si debba adeguatamente dar conto della sussistenza dei presupposti di fatto, del nesso logico fra questi e le determinazioni che, muovendo da essi, vengono adottate, della congruità dei sacrifici operati in relazione alle finalità da perseguire”.
D – Necessità della presenza di situazioni di fatto evidenti
Nel richiamare la circolare del Ministero dell’Interno n. 7102 M/6 del 25 giugno 1991, la Corte ha poi rilevato che anche secondo l’autorità amministrativa la norma rende possibile “lo straordinario potere di scioglimento solo in presenza di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalità organizzata, sì da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi delle comunità locali il permanere di quegli organi alla guida degli enti esponenziali di esse”.
E – Natura sanzionatoria e preventiva dell’intervento
La Corte ha evidenziato altresì che “Si è in presenza perciò di una misura di carattere sanzionatorio, che ha come diretti destinatari gli organi elettivi, anche se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunità locali che la legge intende sottrarre, nel loro complesso, all’influenza della criminalità organizzata. Una misura di carattere straordinario, dunque, rigorosamente ancorata alle finalità enunciate nel titolo della legge 22 luglio 1991, n. 221, di conversione del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164 che la qualifica come "misura urgente .. conseguente ai fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso". Tale qualificazione, collegando la misura ad una emergenza straordinaria, attribuisce a quell’emergenza il valore di limite e di misura del potere, esercitabile perciò solo nei luoghi e fino a quando si manifesti tale straordinario fenomeno eversivo”.
F – Ragioni di urgenza che giustificano la mancanza di contraddittorio
La Corte ha osservato poi che la mancanza del contraddittorio nelle ipotesi di scioglimento “appare giustificata dalla loro peculiarità, essendo quelle misure caratterizzate dal fatto di costituire la reazione dell’ordinamento alle ipotesi di attentato all’ordine ed alla sicurezza pubblica. Una evenienza dunque che esige interventi rapidi e decisi, il che esclude che possa ravvisarsi l’asserito contrasto con l’art. 97 della Costituzione, dato che la disciplina del procedimento amministrativo è rimessa alla discrezionalità del legislatore nei limiti della ragionevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali, fra i quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 23 del 1978; ord. n. 503 del 1987), non è compreso quello del "giusto procedimento" amministrativo, dato che la tutela delle situazioni soggettive è comunque assicurata in sede giurisdizionale dagli artt. 24 e 113 della Costituzione”.
G – L’esercizio di potere discrezionale ed il sindacato giurisdizionale
La Corte ha riconosciuto che l’autorità che deve provvedere è dotata di poteri latamente discrezionali, in presenza dei quali “la garanzia della tutela giurisdizionale appare sufficientemente assicurata dalla possibilità, per il giudice amministrativo, di verificare la sussistenza degli elementi di fatto – "precisi", secondo quanto affermato nella citata circolare del Ministero dell’Interno – quali vengono asseriti nella motivazione, che all’uopo deve essere fornita dall’organo che emana il provvedimento di scioglimento, nonché di valutare, sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto su cui ci si fondi, e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni. Del resto, la consistenza fattuale degli "elementi" su cui le misure di scioglimento devono essere fondate si accentua ulteriormente in rapporto alle fonti informative da cui quegli elementi sono rilevati, trattandosi di risultanze che conseguono a poteri di accesso e di verifica delle autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico e alla lotta contro i fenomeni di criminalità organizzata. Tali poteri a loro volta sono puntualmente disciplinati e delimitati nei rispettivi presupposti sostanziali di esercizio …”.
Con la sentenza di cui sopra la Corte ha in sostanza affrontato e risolto i più rilevanti i problemi applicativi della norma in esame, della quale ha riconosciuto la costituzionalità, incanalandone l’applicazione nell’alveo dei principi elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, di cui peraltro V. Caianiello, estensore della decisione, era stato autorevolissimo componente fino a qualche tempo prima.
Tale orientamento è stato seguito dalla Corte anche nelle pronunce successive (Cfr. Corte Cost. 6 maggio 1996 n. 141).
3 – La normativa vigente e la sua interpretazione da parte della giurisprudenza amministrativa
Con l’entrata in vigore del nuovo Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali di cui al Decreto Leg.vo 18 agosto 2000, n. 267, l’art. 15 bis è confluito nell’art. 143 del citato Testo Unico, che così dispone:
“1. Fuori dei casi previsti dall’articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente delle rispettive giunte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti, nonché di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte.
2. Lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il provvedimento di scioglimento deliberato dal Consiglio dei Ministri è trasmesso al Presidente della Repubblica per l’emanazione del decreto ed è contestualmente trasmesso alle Camere. Il procedimento è avviato dal prefetto della provincia con una relazione che tiene anche conto di elementi eventualmente acquisiti con i poteri delegati dal Ministro dell’interno ai sensi dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al comma 1 o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all’articolo 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento.
3. Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il buon andamento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati. Il decreto di scioglimento, con allegata la relazione del Ministro, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
4. Il provvedimento con il quale si dispone l’eventuale proroga della durata dello scioglimento a norma del comma 3 è adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente la data fissata per lo svolgimento delle elezioni relative al rinnovo degli organi. Si osservano le procedure e le modalità stabilite dal comma 2 del presente articolo.
5. Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospende gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell’ente mediante invio di commissari. La sospensione non può eccedere la durata di 60 giorni e il termine del decreto di cui al comma 3 decorre dalla data del provvedimento di sospensione.
6. Si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi a norma del presente articolo quando sussistono le condizioni indicate nel comma 1, ancorché ricorrano le situazioni previste dall’articolo 141”.
La giurisprudenza amministrativa ha approfondito il contenuto precettivo della norma da ultimo riportata, avvalendosi in massima parte dei principi enucleati a suo tempo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 103/1993, che ne costituisce un imprescindibile punto di riferimento.
Vengono elencati, qui di seguito, i profili più ricorrenti trattati dai giudici amministrativi nelle decisioni più recenti:
I – Natura straordinaria dell’intervento
Lo scioglimento è una misura di carattere straordinario, per fronteggiare una emergenza straordinaria, “a tutela della funzionalità degli organi elettivi e della rispondenza a fondamentali canoni di legalità dell’apparato dell’ente locale interessato, in un quadro di lotta alla criminalità organizzata e di connesso avanzamento della soglia di prevenzione rispetto a fatti anche sintomatici di interferenze malavitose sulla fisiologica vita democratica dell’ente”(Tar Napoli, Sezione I, 15 novembre 2004 n. 16778; negli stessi termini, Cons. Stato, IV, 6 aprile 2005, n. 1573).
II – Diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità
Nello schema delineato dalla legge non vi è contrapposizione, ma sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità, proprio perché la norma che legittima lo scioglimento dei consigli comunali lo condiziona al presupposto dell’emersione, da un’approfondita istruttoria, di forme di pressioni della criminalità che non consentono il libero esercizio del mandato elettivo di cui all’articolo 51 della costituzione (Cfr. Cons. Stato, VI, 16 febbraio 2007, n. 665).
III – Funzione di prevenzione e di salvaguardia della funzionalità dell’ente
Lo scioglimento ha una funzione di prevenzione e di salvaguardia della funzionalità dell’ente locale e dei suoi organi elettivi in particolare, e della rispondenza a fondamentali canoni di legalità del suo apparato, il che giustifica la rilevanza di elementi di fatto desunti da indagini amministrative e degli organi di polizia, purché significative del pericolo di infiltrazioni mafiose. (Cfr. Tar Palermo, Sezione I, 4 novembre 2002 n. 3517; Cons. Stato, V, 15 luglio 2005, n. 3784; Cons. Stato, V, 20 ottobre 2005 n. 5878; Cons. Stato, VI, 5 ottobre 2006 n. 5948).
In particolare, è stato evidenziato da Tar Napoli, Sezione I, 15 novembre 2004 n. 16778, che “ la disposizione dell’articolo 15 bis della legge 55 del 1990 come aggiunto dal decreto legge 164 del 1991 (oggi articolo 143 del t.u.e.l.) … presenta profili sostanzialmente coerenti con l’impostazione complessiva del sistema normativo emanato per combattere l’invasività del fenomeno mafioso, nel contesto normativo delle leggi 575 del 1965, del decreto legge 629 del 1982 e del decreto legislativo n. 490 del 1994, caratterizzato da un forte avanzamento del livello di prevenzione realizzato su tre piani convergenti: attribuzione di rilevanza a fatti e circostanze consistenti in molti casi in una evenienza di mero pericolo; ammissione sul piano probatorio di elementi indiziari di tipo logico e presuntivo; previsione di ampi margini di discrezionalità nell’esercizio dei relativi poteri (il suddetto contesto normativo è stato altresì già diverse volte giudicato conforme a Costituzione dal giudice delle leggi: Corte Cost., decc. 6 maggio 1996 n. 141, 16 maggio 1994 n. 184, 19 maggio 1994 n. 191, 31 marzo 1994 n. 118, 5 maggio 1993 n. 218, 29 ottobre 1992 n. 407)”.
IV – La qualifica di amministratore
Per G. Bottino, I controlli statali sugli organi degli enti locali: natura giuridica e presupposti dello scioglimento degli organi elettivi per infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata,, in Foro Amm.vo Tar 2005, n. 3, p. 804 ss. (nota a Tar Napoli, Sezione I, 15 novembre 2004 n. 16778) la normativa in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose non sarebbe più attuale, perché dal 1990 ad oggi le funzioni dei consigli sarebbero mutate, essendo tali organi collegiali divenuti titolari di una mera funzione di indirizzo e di controllo politico – amministrativo.
Tale interpretazione non persuade perché, in base all’art. 42 del Decreto Leg.vo n. 267/2000 (in Sicilia, art. 32 della L 8 giugno 1990, n. 142, nel testo recepito con L.R. 11 dicembre 1991 n. 48 e successive modificazioni) i consigli continuano ad avere competenza in materia di atti fondamentali, relativamente ai quali l’interesse della criminalità organizzata può essere particolarmente rilevante. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla pianificazione urbanistica, alla pianificazione delle opere pubbliche, all’organizzazione e concessione di servizi pubblici e così via.
A ciò aggiungasi, dal punto di vista formale, che l’art. 77 del Decreto leg.vo n. 267/2000, nel fornire la definizione di amministratore locale, include espressamente in tale categoria i consiglieri comunali e provinciali, oltre ai sindaci, ai presidenti delle province, ai componenti delle giunte comunali e provinciali ed ai componenti degli organi di decentramento.
V – I presupposti dello scioglimento
Come chiarito da Tar Napoli, Sezione I, 15 novembre 2004 n. 16778, il potere di scioglimento “presuppone la ricorrenza di due situazioni, tra loro alternative, consistenti nella rilevazione di <<collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata>> ovvero di <<forme di condizionamento degli amministratori stessi>>, in ordine alle quali occorre l’accertamento di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalità organizzata; – che occorre altresì, come ulteriore presupposto, che l’emersione di una delle due situazioni suddette, <<collegamenti>> o <<forme di condizionamento>>, abbia determinato, come conseguenza, una delle due evenienze, sempre previste in via alternativa dalla norma, in quanto <<compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle Amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati>>, ovvero <<risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica>>”.
VI – L’elasticità e la genericità dei concetti adoperati dal legislatore
La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato l’elasticità e genericità dei concetti adoperati dal Legislatore (elementi, collegamenti, forme di condizionamento …), che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore di quelle che legittimano l’avvio dell’azione penale, e ciò nell’evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in termini brevi, delle varie forme di connessione o di contiguità tra organizzazioni criminali e sfera pubblica e della necessità di evitare con immediatezza che l’amministrazione dell’ente locale sia permeabile all’influenza della criminalità organizzata (Cfr. Cons. Stato, V, 3 febbraio 2000 n. 585; Cons. Stato, V, 18 marzo 2004 n. 1425; Cons. Stato, IV, 6 aprile 2005, n. 1573; Cons. Stato, V, 20 ottobre 2005 n. 5878).
E’ stato affermato in dottrina (G. Bottino) che tali enunciati normativi indefiniti e presuntivi sono giustificati “dalla eterogeneità delle forme che il condizionamento criminale <<esterno>> (ex art. 143 t.u.e.l.) può assumere rispetto allo scioglimento viceversa disposto per cause interne alla organizzazione ed all’azione degli organi di governo dell’Ente (ex art. 141 t.u.e.l.)”.
VII – Affievolimento delle garanzie partecipative
Ricollegandosi a quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 103/1993, la giurisprudenza amministrativa ha giustificato l’affievolimento delle garanzie partecipative e del contraddittorio con i componenti dell’organo collegiale da sciogliere (Cfr. Cons. Stato, V, 20 ottobre 2005, n. 5878, che richiama la sentenza del Cons. Stato, V, 22 marzo 1999 n. 319).
In effetti, si può fare a meno della preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, solo se vi è un’urgenza tale da non consentire il rispetto delle garanzie partecipative.
VIII – Natura ampiamente discrezionale dell’intervento
L’intervento di scioglimento ha natura ampiamente discrezionale in ordine alla rilevazione e valutazione dei presupposti, non tipizzati ex lege con riferimento a specifici fatti o atti antigiuridici, ma piuttosto espressi in termini di comportamenti complessivi e di situazioni oggettive tali da determinare il pericolo di gravi disfunzioni sia all’interno dell’amministrazione locale, sia all’esterno, sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica (Cfr. Cons. Stato, V. 3 febbraio 2000, n. 585).
IX – Necessità dell’esistenza di situazione di fatto evidenti, ancorché non penalmente rilevanti
Il provvedimento di scioglimento postula l’esistenza di situazioni di fatto evidenti, tali da determinare il pericolo di gravi disfunzioni.
Deve trattarsi di precisi e specifici fatti e circostanze acquisiti al procedimento ed astrattamente comprovanti non solo l’esistenza in loco di una diffusa ed invasiva criminalità organizzata, ma anche il ragionevole convincimento di una sua contiguità con gli amministratori in carica ed un condizionamento della relativa libertà di decisione (Cfr. Cons. Stato, V, 3 febbraio 2000, n. 585; Cons. Stato, V, 20 ottobre 2005, n. 5878; Cons. Stato, VI, 16 febbraio 2007 n. 665).
E’ stato precisato, a tal proposito, da Tar Napoli, Sezione I, 15 novembre 2004 n. 16778:
“- che i fatti posti a base del provvedimento di scioglimento – benché necessariamente costituiti da <<situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette con gli organi elettivi>> (Corte cost., 103/1993 cit.) – nondimeno non devono rivestire uno status di prova sul piano delle responsabilità penali, poiché non deve confondersi il piano dei rimedi straordinari posti a tutela della legalità e del buon andamento dell’amministrazione in funzione di prevenzione delle forme di infiltrazione e condizionamento mafioso, con il diverso piano dell’accertamento delle responsabilità penali dei singoli, essendo espressamente previsto dalla disposizione di legge che è sufficiente la acquisizione di "elementi", e quindi di circostanze che hanno un grado di significatività inferiore agli indizi, purché emerga una chiara manifestazione della situazione di compromissione dell’amministrazione;
– che neppure è necessario che i presupposti considerati trovino sostegno in un compiuto accertamento dell’autorità giudiziaria penale, come pure non è richiesto che l’apprezzamento negativo coinvolga tutti, o la gran parte, o la maggioranza dei singoli amministratori, poiché ciò che interessa è l’interferenza dei fattori esterni al quadro degli interessi locali (leciti) sull’efficienza dell’organo come tale, inteso nel suo complesso, nonostante la presenza di soggetti estranei o comunque incolpevoli della situazione determinatasi che è demandato ad altra e diversa giurisdizione;
– che neppure è necessario che i fatti considerati assumano la consistenza di un comportamento illecito, penalmente rilevante, in quanto i "collegamenti" (anche "indiretti") e le "forme di condizionamento" possono verificarsi anche quando il coinvolgimento degli amministratori negli affari della criminalità organizzata non concretizzi gli estremi, oggettivi e/o soggettivi, di una condotta delittuosa”.
X – Esame complessivo della situazione di fatto
E’ stata evidenziata la necessità di un esame complessivo della situazione di fatto, con conseguente impossibilità di estrapolare singoli episodi favorevoli o sfavorevoli allo scioglimento, perché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell’addebito mosso all’organo collegiale globalmente considerato (Cfr. Cons. Stato, V, 3 febbraio 2000, n. 585; Cons. Stato, IV, 6 aprile 2005, n. 1573; Cons. Stato, V, 20 ottobre 2005, n. 5878; Cons. Stato, VI, 12 febbraio 2007 n. 665).
XI – Rilevanza delle indagini amministrative e di polizia
La rilevanza delle indagini amministrative e di polizia, purché significative del pericolo di infiltrazioni mafiose, a prescindere dall’esercizio dell’azione penale, è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa (Cfr. Cons. Stato, V, 15 luglio 2005 n. 3784).
XII – Insufficienza di un semplice legame di parentela
E’ stato ritenuto che l’esistenza di un semplice legame di parentela tra amministratori ed affiliati alle cosche non è idoneo a giustificare lo scioglimento, in difetto di altri elementi significativi, addotti per giustificare il provvedimento di scioglimento (Cfr. Cons. Stato, V, 20 ottobre 2005 n. 5878 pag. 21).
XIII – Particolari forme di condizionamento
Il condizionamento può essere anche frutto di spontanea adesione culturale o di timore o di esigenza di quieto vivere (Cfr. Cons. Stato, VI, 5 ottobre 2006 n. 5948).
XIV – Natura del sindacato del giudice amministrativo
Il sindacato del giudice amministrativo è diretto a verificare che non si sia verificata “una deviazione del procedimento (di scioglimento) dal suo fine istituzionale”.
Poiché il potere esercitato dall’Amministrazione è ampiamente discrezionale, il controllo esercitato dal giudice è di natura estrinseca e formale, essendo limitato alla verifica:
– della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio;
– della veridicità dei fatti posti a fondamento del provvedimento di scioglimento;
– dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.
Va conseguentemente esclusa qualsiasi forma di sindacato di merito, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’amministrazione nella quantificazione della rilevanza delle prove e soprattutto degli indizi al fine di ritenere configurato il condizionamento mafioso, rimesso invece agli apparati operativi e di controllo dell’amministrazione stessa i quali, operando, tra l’altro, sul territorio hanno l’immediata e diretta percezione del clima locale e sono pertanto nella migliore condizione per misurare adeguatamente il peso delle prove e degli indizi vostra giustificazione della misura adottata (Cfr. Cons. Stato, VI, 16 febbraio 2007 n. 665).
Deve tuttavia evidenziarsi che, nel verificare l’idoneità dell’istruttoria, la veridicità dei fatti e l’esistenza di una motivazione logica, coerente e ragionevole, sindacando il vizio di eccesso di potere, il giudice amministrativo è in grado di penetrare all’interno dei fatti che hanno portato all’adozione del provvedimento di scioglimento e di verificare il rispetto delle finalità proprie della normativa in esame, con conseguente possibilità di reprimere qualsiasi forma di abuso da parte dell’Autorità emanante (1).
Ettore Leotta
Consigliere Tar Catania
(1) Il quadro normativo vigente è stato ritenuto insoddisfacente, sia per concrete difficoltà manifestatesi in sede applicativa, sia per l’evolversi della normativa in materia di enti locali, che ha provocato delle palesi incongruenze.
Nell’attuale legislatura i disegni di legge giacenti presso i due rami del Parlamento (consultabili on – line nel sito www.senato.it) sono i seguenti:
C. 2649 del 16 maggio 2007, presentato alla Camera;
S. 1520 del 23 aprile 2007, presentato al Senato;
C. 2223 del 7 febbraio 2007, presentato alla Camera;
C. 2175 del 25 gennaio 2007, presentato alla Camera;
S. 1265 del 24 gennaio 2007, presentato al Senato;
C. 2129 del 12 gennaio 2007, presentato alla Camera;
C. 2072 del 15 dicembre 2006, presentato alla Camera;
C. 2014 del 30 novembre 2006, presentato alla Camera;
C. 1777 del 4 ottobre 2006, presentato alla Camera;
S. 1021 del 26 settembre 2006, presentato al Senato;
C. 1679 del 21 settembre 2006, presentato alla Camera;
C. 1664 del 20 settembre 2006, presentato alla Camera.
In genere, nelle relazioni di accompagnamento ai singoli disegni di legge è stata evidenziata la necessità che la normativa in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali tenga conto:
– delle modifiche al titolo V della Costituzione;
– dell’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province e del conseguente ruolo assunto da tali organi, mediante l’investitura diretta da parte del corpo elettorale;
– delle funzioni di indirizzo e di programmazione cui è stato circoscritto lo spazio operativo dei consigli comunali e provinciali;
– della separazione tra indirizzo politico, di competenza degli organi elettivi, e compiti di gestione, di competenza dei dirigenti, e della conseguente assunzione diretta di responsabilità da parte di questi ultimi;
– della sorte degli atti compiuti dagli organi oggetto di infiltrazioni mafiose, prevedendosene la “revoca” (che tuttavia, avendo effetto ex nunc, lascia impregiudicati gli effetti già prodotti, laddove invece sarebbe più opportuno disporne l’annullamento, con effetto ex tunc;
– dell’esclusione (quanto meno ad tempus) dall’elettorato attivo e/o passivo dei soggetti coinvolti,
– della creazione di nuovi organismi di gestione dei servizi pubblici, come le società miste, con conseguente necessità di individuare ulteriori fattispecie nelle quali poter intervenire.
In alcuni disegni di legge, seguendo la via tracciata dall’art. 3, c. 2-bis del d.l. 30 novembre 2005, n. 245, convertito in l. 27 gennaio 2006, n. 21, in materia di provvedimenti di emergenza, è stata prevista la devoluzione al Tar del Lazio (Roma) della competenza a decidere sui ricorsi avverso i decreti di scioglimento dei consigli degli enti locali, nonché la competenza a decidere sui ricorsi avverso i provvedimenti ministeriali di nomina dei commissari straordinari per le funzioni gestionali ed amministrative degli enti interessati.
Tale scelta, giustificata dai proponenti con l’esigenza di ottenere uniformità di trattamento giudiziario delle vicende relative allo scioglimento degli organi elettivi degli enti locali, lascia quanto meno perplessi, in quanto, senza scomodare i principi della territorialità dei Tar (ex art. 125 Cost.) e del giudice naturale (ex art. 25 Cost.), va rilevato che le situazioni che si presentano nella realtà sono le più varie, riguardando enti locali sempre diversi, situati in regioni d’Italia diverse, organizzazioni criminali non omogenee, differenti tipologie di soggetti coinvolti (amministratori, dirigenti, singoli dipendenti).
In ogni caso, ove si ritenesse necessaria ed indispensabile la competenza funzionale del Tar del Lazio (Roma), sarebbe bene che questa fosse esplicitamente estesa anche alla fase cautelare, che fosse prevista la sua rilevabilità d’ufficio e che fosse disposta la sospensione ex lege dei provvedimenti cautelari adottati da un Tar territorialmente incompetente, sino alla pronuncia da parte del Tar del Lazio (Roma), analogamente a quanto disposto in materia sportiva dall’art. 3 del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, convertito con L. 17 ottobre 2003, n. 280.
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