Sulla G.U. n.66 del 20 marzo 2014 è stato pubblicato il Decreto legge 20 marzo 2014 n.34 che rappresenta uno snodo fondamentale della Riforma del lavoro del Governo Renzi.
In attesa della conversione e di eventuali modifiche, si impongono alcune brevi considerazioni.
In primis ,rappresenta una importante novità nell’ordinamento del contratto di lavoro subordinato e più specificatamente del contratto a termine,già tanto travagliato.
Se resta confermato il principio sancito dal comma 01 dell’art. 1 del D.Lgs. n.368/2001 per cui <il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro> , viene introdotto uno strumento di flessibilità assai forte, che, probabilmente, verrà privilegiato, nel futuro immediato, per le assunzioni del personale dalle imprese.
Infatti la nuova formulazione dell’art. 1 comma 1, primo periodo, del D,Lgs.n.368/2001 così suona:< E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a trentasei mesi,comprensiva di eventuali proroghe,concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione,sia nella forma del contratto a tempo determinato,sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’art. 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003 ,n.276.>.
Il che significa che non vengono più richieste per la valida stipulazione di un contratto di lavoro subordinato con durata predeterminata le <ragioni di carattere tecnico,produttivo o sostitutivo,anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro> che rappresentavano il fulcro dell’ultima versione dell’istituto.
E’ quindi cambiato l’impianto dell’istituto: non è più richiesta una <causale> del contratto, che quindi viene detto <acausale>.
Tale norma si inserisce in una cornice normativa preesistente che andrà quindi riletta con riferimento alla nuova ratio.
In primo luogo va quindi interpretata la nuova norma.Il contratto<acausale> era in effetti già stato introdotto dalla Riforma Fornero che lo prevedeva per una durata non superiore a dodici mesi e consentiva che i contratti collettivi prevedessero che <in [suo] luogo> la causale non dovesse essere richiesta nei casi in cui l’assunzione nelle suddette forme avvenisse nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’art.5 ,comma 3, [dall’avvio di una nuova
attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo;dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente] nel limite complessivo del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva.
Ora la nuova norma contiene in sé tutte le soprarichiamate ipotesi,che, in effetti ,sono state abrogate.
Ci pare piuttosto complesso il coordinamento della norma di cui all’art.1D.L. n.34/2014 con la normativa preesistente nei suoi vari aspetti.
A fini anche metodologici è opportuno distinguere le imprese che producono /operano per il mercato e quelle che lavorano per commesse .Ciò ci consentirà di inquadrare le fattispecie che ci si presentano e meglio comprendere e interpretare la nuova normativa.
A tenore della lettera del decreto legge la durata del contratto di lavoro subordinato dovrebbe riguardare ciascun contratto e non il singolo lavoratore.
Esso va quindi letto sotto tre distinti profili: a) la durata in sé del contratto;b) la o le proroghe del contratto; c) i contratti successivi [ che nonci risultano abrogati].
Il contratto unico
Possono quindi darsi concretamente più ipotesi nell’utilizzo del nuovo strumento di assunzione.
Nulla esclude che l’impresa stipuli fin dall’inizio un unico contratto della durata di 36 mesi.
Potrebbe invece stipulare singoli contratti della durata,ad esempio, di 12 o 24 mesi o altro, per così dire <secchi>,ossia unici,senza prolungamenti.
Potrebbe l’impresa invece stipulare più contratti di 36 mesi con uno stesso lavoratore distanziati e non collegati tra di loro ( si guardi in particolare al settore dell’impiantistica :ad. es. l’impresa potrebbe stipulare un contratto con un tecnico per la costruzione di una infrastruttura nel Madagascar e quindi per altra infrastruttura in Cina) e così via.Ma pur prendendo atto che il provvedimento si muove nella direzione di una ampia liberalizzazione ,ciò lascerebbe perplessi.Già di per sé contrasterebbe con l’art.5 comma 4 bis che sanziona il superamento dei trentasei mesi con la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.
La proroga del contratto.
Il Decreto legge de quo detta nuove norme sulla proroga:
Art.4 ( nuova formulazione)<Il termine del contratto a tempo determinato può essere con il consenso del lavoratore prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni.In questi casi le proroghe sono ammesse,fino ad un massimo di otto volte, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato>. Il secondo periodo :<con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni> diventa ridondante.
Deve quindi, essendo venuta meno la richiesta di <ragioni oggettive>, considerarsi abrogato il comma 2 secondo il quale< l’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro>.
Così come il comma 2 bis per il quale<il contratto a tempo determinato di cui all’art.1,comma 1 bis,non può essere oggetto di proroga> salvo una ulteriore e unica proroga c.d. assistita Tale ipotesi resta assorbita dal nuovo triennale contratto <acausale>.
Come su visto il Decreto Renzi prevede che le proroghe ,senza soluzione di continuità, sono ammesse fino ad un numero massimo di otto volte.
Tra una proroga ed un’altra quindi non sono previsti intervalli
La successione di contratti a termine
Restano ancora in vigore le norme sulle successioni dei contratti a termine .In questa casistica ci troviamo di fronte non ad una serie di proroghe ma a una pluralità di contratti distanziati temporalmente. Si tratta di riassunzioni a termine. Anche in tali casi viene meno la necessità di indicare una <causale>.Sono previsti tra i contratti intervalli che sono variati nel tempo,in forza di provvedimenti diversi.
La differenza tra le proroghe del contratto a termine e la successione di più contratti a termine sta nel fatto che nel primo caso ci si deve riferire alla stessa attività lavorativa;nel secondo caso ciò non è richiesto.Si potrebbe esemplificare come proroga l’ipotesi di un contratto di lavoro che riguarda una commessa straordinaria , che si prolunga nel tempo; come invece successione di contratti a termine quella di chi è chiamato a sostituire un lavoratore assente per infortunio e quindi venga utilizzato, sempre a termine, per altro lavoro in un reparto diverso.
Nel caso della successione di contratti trova applicazione il tetto di cui all’art.5 comma4-bis [<qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi…..il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato……..;ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione…>].
A dire il vero se il nuovo contratto è formalmente acausale, tuttavia di fatto, normalmente, una causale sottostante ( di carattere oggettivo) sussiste, anche se per lo più non ne è richiesta la specificazione,né è rilevante ai fini della validità del termine.
Tuttavia tra le ipotesi in cui tale sotto-causa può risultare rilevante viene ricompreso il caso in cui essa consente di beneficiare di una contribuzione più bassa e l’esclusione dal tetto massimo di contratti a termine nell’ambito della impresa ( v. art.10 comma 7).
I rapporti con il diritto comunitario
Un ultimo importante problema si presenta ed è quello della compatibilità di questa forma di contratto acausale con la direttiva comunitaria sul contratto a termine che richiede la presenza a diversi fini di motivi oggettivi. Infatti la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES,UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato prevede:
- Considerazioni generali : 7. considerando che l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi
- Definizioni (clausola 3). Ai fini del presente accordo, il termine «lavoratore a tempo determinato» indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
- Misure di prevenzione degli abusi (clausola 5) Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato,gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e delle prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti.
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