La normativa venutasi a creare relativamente all’esenzione Ici degli immobili c.d. rurali, questione certamente non nuova al diritto tributario degli Enti locali, ha dato adito al sorgere di diverse interpretazioni e consistenti contrasti giurisprudenziali, tanto da ingenerare una pronuncia sul tema da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.u. n. 18565 del 21 Agosto 2009).
Nell’introdurre l’imposta con il d.lgs. 504/92, il legislatore si preoccupava di prevedere le categorie esenti, dettando al proposito un’apposita norma, l’art. 7, ove non veniva fatta menzione alcuna dei fabbricati rurali, lasciando così irrisolta la questione della loro assoggettabilità o meno al tributo.
Solo l’anno successivo all’entrata in vigore della normativa istitutiva veniva attribuita una prima rilevanza alla ruralità del bene con il d.l. 557/93, ed in particolare con l’art. 9, che elencava dettagliatamente i requisiti che un dato immobile doveva possedere per poter essere qualificato tale ai “fini fiscali”. Si trattava allora di stabilire se nella locuzione “ai fini fiscali” rientrasse o meno anche l’imposta comunali sugli immobili; se, cioè, detta norma stabilisse formalmente un trattamento agevolato ai fini Ici per i beni de quo dettando, al contempo, i requisiti necessari per la loro individuazione (c.d.“requisiti di ruralità” di cui all’art. 9 commi 3 e 3 bis d.l. 557/93).
La situazione determinatasi induceva così il legislatore ad intervenire con l’art. 23 co. 1 bis d.l. 207/2008 (conv. in l. 14/2009), norma di interpretazione autentica dell’art. 2 comma 1 lett. a) d.lgs. 504/92, contenente la nozione di fabbricato ai fini Ici.
In via autentica si precisava allora che “non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557”. In conseguenza ne poteva discendere che: (i) l’immobile rurale deve considerarsi esente da Ici in quanto difetta in tal caso il presupposto per l’imposta, non potendo lo stesso qualificarsi come fabbricato di cui all’art. 1 e 2 d.lgs.504/92, e che (ii) i requisiti che il bene deve possedere per essere annoverato in tale categoria, e così nel regime privilegiato, sono elencati nel summenzionato art. 9 d.l. 557/1993.
È in tale quadro normativo che, con la pronuncia n. 18565 del 21 Agosto 2009, intervenivano le Sezioni Unite della Corte di Cassazione specificando ulteriormente la portata della sopra menzionata norma di interpretazione autentica.
Secondo la Suprema Corte, infatti, la ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 9 d.l. 557/1993, senz’altro necessaria, non può dirsi sufficiente per fruire delle agevolazioni di legge.
La ruralità del fabbricato, infatti, da vagliarsi secondo gli accennati criteri, consentirà all’immobile di ottenere la relativa classificazione catastale, ma sarà a questa, e solo a questa, che potranno ricollegarsi le esenzioni da Ici; solo una volta iscritto catastalmente come rurale, il bene non potrà più dirsi rientrante nella nozione di fabbricato imponibile.
Più chiaramente:
“qualora un “fabbricato” sia stato catastalmente classificato come “rurale” (categoria A/6 per le unità abitative, categoria D/10 per gli immobili strumentali alle attività agricole) resta precluso ogni accertamento, in funzione della pretesa assoggettabilità ad ICI del fabbricato in questione, che non sia connesso ad una specifica impugnazione della classificazione catastale riconosciuta nei riguardi dell’amministrazione competente: allo stesso modo, e in senso inverso, qualora il “fabbricato” non sia stato catastalmente classificato come “rurale”, il proprietario che ritenga, tuttavia, sussistenti i requisiti per il riconoscimento come tale, non avrà altra strada che impugnare la classificazione operata al fine di ottenerne la relativa variazione”(Cass. S.U. sent. n. 18565 del 21 Agosto 2009).
Sulla scorta dell’affermato principio verranno quindi a prospettarsi le seguenti distinte situazioni:
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gli immobili iscritti al catasto nelle categorie A/6 o D/10 debbono considerarsi ai fini Ici rurali ed, in quanto tali, esenti dall’imposta;
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gli immobili, invece, con diverso classamento rimangono soggetti ad imposta e nemmeno è possibile, alla lettera della pronuncia, fornire prova contraria nel giudizio tributario essendo al Giudice precluso ogni qualsivoglia accertamento in fatto. L’unica via per il contribuente consiste nell’impugnare il classamento catastale richiedendo l’iscrizione del bene in A/6 o D/10 potendo questi così fruire, ben inteso solo per il periodo di imposta successivo alla nuova iscrizione, del trattamento agevolato;
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per gli immobili invece non iscritti al catasto fabbricati l’accertamento del carattere rurale può essere compiuto dal Giudice investito di domanda di rimborso Ici, con onere di prova a carico del contribuente della ricorrenza dei requisiti richiesti dal d.l. 557/93.
Sulla scorta dell’insegnamento dettato dalle S.U. la problematica dovrebbe quindi trovare una rapida soluzione considerata, da un lato, la chiarezza della pronuncia e, dall’altro, l’estrema semplicità dell’individuazione della ricorrenza del trattamento agevolato, subordinato alla mera verificazione del dato formale della classificazione del bene.
L’adeguamento al principio sopra enunciato ha, in effetti, trovato decisa applicazione da parte delle Sezioni Semplici che hanno costantemente confermato con quasi ben 100 sentenze il principio espresso (di cui 82 depositate al 22 giugno 2010 cfr. le pronunce da n. 14967 a 15048), da ultimo con la n. 19945 depositata il 21 settembre 2010 della Sezione Tributaria.
Circa il contenzioso tributario di primo e secondo grado possono già segnalarsi numerose pronunce che, a fronte di una richiesta di rimborso e di esenzione fondata sull’addotta ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 9 d.l. 557/93, presentata in assenza di inquadramento del bene nella categoria catastale di riferimento, respingono il gravame avverso l’avviso di accertamento, sulla scorta della sola rilevanza del dato formale della iscrizione al catasto in categoria A/6 o D/10 (si citano a mero titolo esemplificativo ed ex multis: Commiss. Trib. Reg. Emilia-Romagna Bologna Sez. XX, sentenza n. 69 del 08/07/2009,; Commiss. Trib. Reg. Piemonte Torino Sez. XV, sentenza n. 19 del 17/03/2010; Commiss. Trib. Prov. Campania Avellino Sez. I, sentenza n. 98 22/02/2010; Commiss. Trib. Prov. Emilia-Romagna Modena Sez. I, sentenza n. 248 del 13/11/2009,; Commiss. Trib. Reg. di Bologna – Sez. distaccata di Parma sentenza. n. 14/21/2010 del 3/12/2009; Commiss. Trib. Prov. di Modena sentenza n. 248 del 10/11/2009).
In senso difforme, invece, devono segnalarsi quattro recenti pronunce della Commissione Tributaria provinciale di Modena che ritenendo sussistere i requisiti di ruralità in fatto, sulla base del d.l. 557/93, optano per l’applicabilità dell’esenzione da imposta anche se l’immobile, nel periodo accertato, non era iscritto al catasto fabbricati nella categoria “rurale” (Comm. Trib. Prov. Modena sentenze n. 297-298-299-300 del 27/11/2010; si veda inoltre per una lettura più moderata del principio delle S.U. anche Commiss. Trib. Prov. Veneto Treviso Sez. III, Sent., 10-12-2009, n. 151).
Circostanza questa senz’altro singolare se si considera che in concomitanza alle summenzionate pronunce la stessa Commissione Tributaria Provinciale di Modena dava, in un caso speculare, piena applicazione al principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità (Commiss. Trib. Prov. Modena, sentenza n. 287 del 25/10/2010).
A ogni buon conto, sulla scorta della giurisprudenza fin qui richiamata, potrà prevedersi una diminuzione del contenzioso in materia, se non altro in costanza dell’attuale stato dell’arte, che, in maniera decisa, scoraggia la proposizione di gravami avverso avvisi di accertamento, fondati sulla sola ricorrenza in fatto dei requisiti di ruralità del bene in difetto di iscrizione nella relativa categoria catastale; unico dato, questo, rilevante ai fini di esenzione.
Betti Leonardo
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