Brevi note interpretative sulle norme di riferimento per la c.d. esecuzione penale esterna.

Brunetti Carlo 04/05/06
La vigente disciplina sanzionatoria degli stupefacenti è contenuta nel D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sul cui tessuto normativo hanno profondamente inciso le modifiche intervenute a seguito del referendum abrogativo del 18-19 aprile 1993 e la successiva normativa.
Per chiarire l’effettiva valenza e soprattutto i principi ispiratori delle disposizioni del ’90 e di quelle sopravvenute occorre sinteticamente richiamare il percorso normativo che ha portato al testo del 1990, partendo dall’originaria disciplina, ormai abrogata, contenuta nella legge 22 dicembre 1975, n. 685[1].
Le norme cardine della vecchia disciplina sugli stupefacenti erano essenzialmente tre.
In primo luogo, l’art. 80 che prevedeva non solo la causa di non punibilità per l’uso terapeutico di sostanze stupefacenti purché la quantità delle stesse non avesse superato in modo apprezzabile le necessità della cura in relazione alle particolari condizioni del soggetto ma anche la causa di non punibilità per l’uso strettamente personale di modiche quantità di sostanze stupefacenti.
L’art. 72 che puniva tutte le condotte, diverse da quelle scriminate dall’art. 80, aventi per oggetto modiche quantità di sostanze stupefacenti, non destinate all’uso personale (detenzione, acquisto, vendita, cessione, ecc..).
L’art. 71, infine, che puniva le condotte, non ricompresse negli artt. 72 e 80, aventi per oggetto quantità non modiche di sostanze stupefacenti.
Tale disciplina, però, per vari motivi, non raggiunse il suo intento.
Il legislatore del 1990, quindi, avendo ritenuto non opportuno mantenere il regime di non punibilità, sancì esplicitamente il diverso principio del divieto dell’uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope e di qualsiasi impiego non autorizzato delle stesse (art. 72 D.P.R. n. 309/90), modulando, peraltro, la risposta sanzionatoria in relazione a due profili della condotta illecita variamente combinati tra loro: la finalità ed il quantitativo di sostanza stupefacente.
Sulla disciplina degli stupefacenti ha poi inciso il risultato della consultazione referendaria svoltasi il 18 e il 19 aprile 1993.
A seguito, infatti, del risultato del referendum, per quello che qui direttamente interessa, è derivato un sostanziale cambiamento nella disciplina repressiva degli stupefacenti, giusta l’abrogazione, in particolare, del principio del divieto dell’uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope e del concetto di dose media giornaliera che, nella originaria formulazione della legge, era utilizzato per determinare il discrimine quantitativo tra illecito penale ed illecito amministrativo.
Il sistema risultante dall’esito del referendum si basa sui seguenti principi:
a)     quello del divieto penalmente sanzionato di qualsivoglia attività concernente gli stupefacenti non volta all’uso personale, ma alla destinazione delle sostanze a terzi;
b)     quello dell’abrogazione del divieto dell’uso personale non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope, già contenuto nell’art. 72 del D.P.R. n. 309/90;
c)      quello del divieto amministrativamente sanzionato delle attività di importazione, di acquisto e comunque di detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope destinate all’uso esclusivamente personale.
Questo sistema lasciava, in concreto, molto spazio alla discrezionalità dell’operatore (Prefetto, Autorità giudiziaria e Polizia giudiziaria) in quanto, soprattutto per il superamento del concetto oggettivo della dose media giornaliera, non in tutte le situazioni era immediatamente percepibile il discrimine tra l’illecito amministrativo e quello penale.
Il legislatore è tornato, quindi, nuovamente, ad occuparsi della materia con il decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni in legge 21 gennaio 2006, n. 49[2].
E’ perciò particolarmente utile soffermarsi su quelle che sono le principali novità introdotte con il sopraccitato testo normativo soprattutto per quanto concerne le norme che attengono alla c.d. esecuzione penale esterna[3].
In via generale si osserva che importanti compiti e doveri sono stati assegnati ai responsabili delle strutture private di riabilitazione e cura dei tossicodipendenti (art. 116 T.U.), in breve, “comunità”, facoltizzandole anche all’esercizio di alcune attribuzioni degli uffici sanitari pubblici: fra queste, anche l’elaborazione dei programmi terapeutici (art. 20, comma 1 , T.U. nuovo testo).
Ne consegue un dovere di maggiore attenzione anche nell’ambito delle relazioni che si intrattengono fra gli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna[4] (c.d. U.E.P.E.) e le ricordate strutture, circa le quali, appare utile richiamare l’obbligo di segnalare all’autorità competente tutte le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma alternativo d’esecuzione di pene detentive (art. 120, comma 7, T.U. nuovo testo).
Nello stesso senso è opportuno rammentare che continua a gravare sul Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ai sensi del riformulato comma 6 dell’art. 96 del T.U. (articolo 4 duodecies, comma 1), l’onere per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica, della persona sottoposta agli arresti domiciliari, allorché tale misura sia eseguita presso una struttura privata autorizzata ai sensi dell’art. 116, convenzionata con il Ministero della Giustizia.
Con l’articolo 4, comma 1, è stato abrogato l’art. 94 bis T.U. (introdotto dall’art. 8, legge 5 dicembre 2005, n. 251): le disposizioni restrittive conseguenti alla recidiva reiterata non si applicano ai casi relativi ai tossicodipendenti.
L’articolo 4, comma 2, attiene alla sospensione dell’ordine di carcerazione.
In via generale, l’ordine di carcerazione è sospeso se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, non è superiore a tre anni (a quattro anni nei casi in cui agli artt. 90 e 94 del T.U.). La sospensione dell’esecuzione non può essere disposta nei casi elencati alle lettere a), b) e c) del comma 9 dello stesso articolo. In particolare (lett. c) la sospensione non può essere disposta nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata in sentenza la c.d. recidiva reiterata (art. 99, comma 4). La legge in esame ha introdotto una sostanziale modifica prevedendo che tale disposizione non si applichi nei confronti di condannati, tossicodipendenti o alcooldipendenti, che abbiano in corso, al momento del deposito della sentenza definitiva, un programma terapeutico di recupero.
L’articolo 4 bis riformula l’art. 73 T.U. inserendo, dopo il comma 5, una rilevante disposizione che investe direttamente gli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna.
Nei casi previsti dal comma 5 (produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità), il giudice, limitatamente ai soggetti tossicodipendenti, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 c.p.p., qualora non debba concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità previsto dall’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, anziché le pene detentive e pecuniarie. Con la sentenza, il giudice incarica l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità e di riferire periodicamente. Tale pena sostitutiva di nuovo genere è soggettivamente riservata ai condannati tossico o alcooldipendenti; inoltre, è necessaria la richiesta del condannato ed il parere favorevole del pubblico ministero.
Il legislatore, per una migliore integrazione dei vari comparti di esecuzione penale ed anche in relazione alla maggior gravità dei reati puniti dall’art. 73 (da 6 a 20 anni di reclusione) ha così incaricato gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
L’articolo 4 ter modifica l’art. 75 T.U. relativo a quella detenzione di sostanze stupefacenti che non costituisce reato. In tali casi, sono applicate sanzioni amministrative (comma 1) e viene emesso invito a seguire programma terapeutico e socio riabilitativo (comma 2) presso struttura pubblica o struttura privata autorizzata.
L’articolo 4 quater introduce, nel testo unico, l’art. 75 bis e prevede misure di prevenzione irrogabili dal Questore per la durata massima di due anni. Legittimata passiva è la persona che comunque detenga, produca o traffichi (ma fuori delle ipotesi di cui all’art. 73, comma 1 bis) sostanze stupefacenti e che abbia riportato condanna, al momento della rilevazione della condotta, per reati contro la persona, il patrimonio e per quelli previsti dal testo unico. Costituisce causa di cessazione della misura il positivo superamento del programma terapeutico e socioriabilitativo.
L’art. 4 sexies ristruttura la già esistente sostituzione dalla custodia cautelare con la misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione alla richiesta di iniziare o proseguire il programma di riabilitazione da parte dell’imputato che sia dipendente da alcol o stupefacenti. Restano esclusi gli imputati per reati previsti dall’art. 4 bis O.P. (eccezioni al divieto per il reato di rapina) e in ogni caso quando esistano esigenze di eccezionale rilevanza. Si tratta di fase processuale estranea all’esecuzione penale.
L’art. 4 septies modifica l’art. 90 del testo unico aumentando i limiti massima della condanna per ottenere la sospensione della sentenza, che sono elevati fino a 6 anni. Permangono i requisiti :
  • della commissione del reato in relazione allo stato di tossicodipendenza;
  • del positivo superamento del programma terapeutico e socioriabilitativo (ex art. 123 T.U.).
Va rilevato che la sospensione può essere accordata anche per pene inflitte per i reati ricompresi fra quelli previsti dall’art. 4 bis O.P., purché in questi casi il titolo esecutivo non ecceda i 4 anni.
Le disposizioni degli articoli da 4 octies a 4 decies (incidenti sugli artt. 91, 92, 93) intervengono sulla procedura per la sospensione dell’esecuzione e sulle conseguenze delle condotte da tenersi nel tempo di sospensione (cinque anni).
L’articolo 4 undecies interviene sull’art. 94 T.U. ed ha perciò ampia incidenza nella materia di esecuzione penale affidata agli Uffici di Esecuzione Penale Esterna.
Sono da rilevarsi le seguenti significative modifiche:
a) il limite della pena detentiva che può essere espiata come affidamento in prova in casi particolari è elevato a 6 anni;
b) il limite è mantenuto a 4 anni per le pene conseguenti alla commissione di reati previsti dall’art. 4 bis O.P.;
c) la prosecuzione dell’affidamento in prova è permessa anche nel caso in cui, conclusosi positivamente il percorso terapeutico, la parte di pena da espiare superi i limiti dell’affidamento in prova ordinario.
Anche in tema di affidamento in prova ordinaria (47 O.P.), l’innovazione prevista dall’art. 4 permette al Tribunale di Sorveglianza nel caso in cui il condannato si trovi in disagiate condizioni economiche di dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa. Tale specifica circostanza diverrà sicuramente oggetto di rilevante istruttoria da parte degli U.E.P.E.
Una prima lettura, per quanto attiene alle ricadute amministrative della nuova disciplina suggerisce alcune considerazioni di massima.
Il sistema pare articolato da un lato su un accresciuto regime comminatorio che mira a rendere più grave la rappresentazione che l’interessato possa farsi dell’assunzione dello stupefacente; dall’altro lato, su sanzioni concretamente graduate in modo da divergere sostanzialmente, ed anche in modo significativo, dall’esecuzione penale detentiva. Il sistema sanzionatorio, le misure di prevenzione, la sospensione dell’esecuzione della pena, l’ampliamento della possibilità di misura alternativa, ecc., sembrerebbe tendere a sostenere il tossicodipendente, con un controllo ravvicinato, legalmente giustificato dalla esistenza di “servitù di pena”, ma in concreto attagliato sulle variabili soggettive dell’alcool-tossicodipendente.
L’effettivo conseguimento del fine della disintossicazione e dell’inserimento sociale, auspicato dal recente apparato normativo, potrà naturalmente essere provato solo con il trascorrere del tempo[5].


[1] V. C. BRUNETTI – M. ZICCONE, Manuale di Diritto Penitenziario, la Tribuna, Piacenza, 2005.
[2] Il testo coordinato al quale si fa riferimento è apparso nella Gazzetta Ufficiale 27 gennaio 2006, serie generale n. 48, ed è opportuno rammentare che gran parte delle disposizioni in tema di trattamento del tossicodipendente o alcoldipendente in esecuzione penale sono state introdotte in sede di conversione di un decreto legge ed hanno preso vigenza solo dopo la vacatio legis successiva alla pubblicazione sulla gazzetta ufficiale.
[3] Cfr. Circolare D.A.P. prot. n. GDAP-0095032-2006 della Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna datata 16.03.06 a firma del Direttore Generale R. Turrini Vita. V anche il portale di Diritto Penitenziario, Diritto & Civiltà, alla pagina web www.dirittopenitenziario.net.
[4] A seguito della legge 27 luglio 2005, n. 154, “Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria”, i Centri di Servizio Sociale per Adulti hanno assunto la nuova denominazione di Uffici di Esecuzione Penale Esterna (c.d. U.E.P.E.).
[5] V. C. BRUNETTI, Pedagogia Penitenziaria, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005.

Brunetti Carlo

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