Brevi riflessioni sul concorso esterno in associazione mafiosa.

È notizia di poco tempo fa la pronuncia da parte di un Giudice che, nel decidere su un caso specifico inerente la contestazione di concorso esterno in associazione mafiosa, ha messo in discussione la suindicata incolpazione. La querelle, per il vero, ha una genesi lontana. Prima di affrontare il nodo gordiano del problema, è necessario premettere quanto segue. Il reato gravita sostanzialmente attorno a tre principi cardine: il principio di materialità, secondo il brocardo latino cogitationis poenam nemo patitur; il principio di necessaria offensività, alla luce del quale è necessario che un comportamento contra legem leda i beni giuridici; ed il principio di colpevolezza, per cui un fatto materiale, lesivo di beni giuridici, potrà essere penalmente attribuito al suo autore soltanto a condizione che gli si possa muovere un rimprovero per averlo perpetrato. Un altro sotto-principio fondamentale del nostro ordinamento è, poi, quello di tassatività, o sufficiente determinatezza, avente la precipua funzione di tracciare il comportamento del cittadino che è, in tal guisa, posto in grado di discernere, con esattezza, il lecito dall’illecito, garantendo il diritto di difesa dell’imputato – in caso contrario risulterebbe menomato dalla mancanza di una puntuale descrizione legale del fatto contestato – (cfr. Fiandaca-Musco). Il principio suindicato vincola, sostanzialmente, due soggetti: da un lato il “destinatario”, ossia il cittadino, che non può addurre a sua scusa di non aver conosciuto (vedasi l’articolo 5 codice penale) con chiarezza la norma – che se violata prevede una sanzione -, in quanto sufficientemente determinata; dall’altro il legislatore, “obbligandolo” ad una descrizione ben precisa di un fatto-reato (nonché, conseguentemente, il giudice, tenuto ad applicare al caso concreto la norma secondo un’interpretazione che rifletta il tipo descrittivo, così come configurata e “pensata” originariamente da colui che legifera). Ed allora dove sorge il problema? La quaestio nasce dalla circostanza che nel nostro codice penale effettivamente non “esiste” (rectius: non è previsto) un preciso articolo che descriva e punisca il concorso esterno in associazione mafiosa. Ma è necessario nuovamente andare con ordine. Se una persona commette un fatto preveduto dalla legge come reato, le verrà contestata una specifica violazione di legge richiamando, ad esempio, un articolo del codice penale che descriva, astrattamente, la condotta contra ius (vedasi la locuzione “indagato/imputato per un fatto previsto e punito dall’articolo…”). È bene ricordare che il nostro è un cosiddetto diritto vivente, ovvero è comunque possibile che alcune specifiche condotte, già previste dalla legge come reato, ne possano successivamente integrare, estensivamente, ulteriori (per il modus agendi o per la res contenuta nella condotta violata), senza in tal modo violare il c.d. divieto di analogia in materia penale (vedasi l’articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale). Se sono più di uno gli autori di un reato, risponderanno (tutti) “in concorso” per tale violazione di legge, a seconda dei loro specifici ruoli (sia per il loro apporto materiale che per il contributo morale). L’istituto del concorso di persone nel reato disciplina, quindi, i casi in cui più persone concorrono nella realizzazione di un medesimo delitto. L’articolo 110 del nostro codice penale sancisce, infatti, che: “Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita..”. Come si può notare, per i non addetti ai lavori, questa norma funge “da apposizione al delitto” presuntivamente commesso (vedasi, ad esempio: “imputati, ai sensi degli articoli 110-624 codice penale, perché in concorso..s’impossessavano..”). Il sistema penale conosce, poi, particolari ipotesi di illecito che vengono indicate, per necessità di carattere sistematico, con la denominazione di reati associativi. Con tali figure criminose, rientranti nell’alveo dei c.d. reati di pericolo, viene sanzionato il comportamento di (più) soggetti che, uniti dal vincolo di un’associazione criminale, si propongono di commettere reati, siano questi generici o specifici (vedasi, ad esempio: l’associazione per delinquere, ai sensi dell’art.416; o quella di tipo mafioso, ex art.416 bis cod. pen., aventi la diretta tutela dell’ordine pubblico; od i reati di associazione sovversiva, di cui all’art.270 c.p.; o con finalità di terrorismo, art.270 bis; l’associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati in materia di prostituzione, art.3 n.7 L.75/1958; o l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 74 DPR 309/1990 et c.). Per quanto di competenza in questa breve analisi, ci si soffermerà sull’associazione per delinquere (di stampo mafioso). Nel nostro codice, come indicato, è presente lo specifico delitto di “associazione per delinquere” (art. 416 c.p.) che prevede: “Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti…”. Nello stesso ambito del titolo quinto del libro secondo del codice penale, comprendente i delitti contro l’ordine pubblico, nel quale trova collocazione la suddetta norma, è stato introdotto, con l’articolo 1 della legge 13/09/1982 n. 646, il reato di “associazione di tipo mafioso”. Caratterizzano il reato di associazione “semplice”, ai sensi dell’articolo 416, la necessaria plurisoggettività, intrinsecamente connaturale alla fattispecie associativa, determinata dal legislatore nei termini numericamente minimali di almeno tre persone; un’organizzazione (“l’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira” – cfr. sul punto Cass. pen., sez. II, 10/04/2013 n.16339), intesa come coordinamento finalistico di attività personali e strumentali, e la stabilità, finalizzati ad una pluralità di fatti delittuosi commessi da appartenenti ad un gruppo in cui sia presente un pactum sceleris (esistenza di un vincolo associativo tendenzialmente permanente o comunque stabile); ed un generico (rectius: indeterminato) programma criminoso, che va a distinguere il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, di cui all’articolo 110 del nostro codice penale. In tale contestazione il dolo, ossia l’elemento psicologico, è dato dalla coscienza e volontà di  partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo, e quindi del programma  criminoso in modo stabile e permanente. Per arrivare al cuore del problema si richiama, infine, la specifica contestazione di cui all’articolo 416 bis del codice penale (“associazione di tipo mafioso anche straniere”, secondo l’ultima modifica) che prevede: “Chiunque fa parte di una associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito...”. L’articolo citato delinea un reato associativo a condotta multipla e di natura mista, nel senso che, mentre per l’associazione semplice (416) è sufficiente la creazione di una organizzazione stabile, sia pur rudimentale, diretta al compimento di una serie indeterminata di delitti (di qui l’ulteriore differenza con il concorso di persone, ex art.110 c.p.), per l’associazione mafiosa è altresì necessario che questa abbia conseguito, nell’ambiente circostante, una reale capacità di intimidazione e che gli aderenti si siano avvalsi in modo effettivo di tale forza, al fine di realizzare il loro programma criminoso (cfr. Cass. pen., sez. VI, 11/2/1994 n. 1793 e ss.). È necessario dunque un quid pluris rispetto all’associazione “semplice”.

Dall’analisi di questo breve excursus, ad avviso di chi scrive, si evince chiaramente che il legislatore aveva ben circoscritto le varie condotte di reato, affinché fossero comprese dai cittadini, spettando poi alla magistratura (pubblici ministeri ed organo giudicante) la verifica dei fatti. Le contraddittorie visioni tra difesa ed accusa, sino a questo momento, avevano riguardato sostanzialmente il differente punto di vista, se così si può dire, nel contestare agli indagati/imputati il reato associativo rispetto ad una mera e plurima condotta concorsuale, ovvero il reato associativo mafioso rispetto a quello semplice; od ancora “contestualizzare”, in alcune aree geografiche, lontane dalla “classiche” regionali, l’associazione di stampo mafioso. Questioni poi risoltesi nel corso dei vari processi penali. La diatriba oggetto della presente analisi è sorta, invece, allorché vi sono stati dei Pubblici Ministeri e dei Giudici che hanno promosso l’accusa, e pronunciato poi sentenze di condanna, per “concorso esterno in associazione mafiosa”, per il combinato disposto degli articoli 110 (concorso di persone nel reato) e 416 bis c.p. (associazione di tipo mafiosa): condotta prevista quindi dalla giurisprudenza, ma non da uno specifico reato – che abbia definito, con sufficiente chiarezza, la condotta astratta per la sua successiva concreta configurazione ed applicazione -. Si ricorda che il nostro Stato non ha un sistema c.d. di common law, con esso intendendosi un modello di ordinamento giuridico basato sui precedenti giurisprudenziali più che su codici od, in generale, leggi e altri atti normativi; e la nostra Suprema Corte ha una funzione c.d. nomofilattica, assicurando l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge (interpretazione di una norma, se presente però). Le prime sentenze della Corte di Cassazione sul punto dovrebbero essere la numero 8092 del 1987 (Cillari) e la numero 8864 del 1989 (Agostani) ed una del 1994 (SS.UU. n.16 “sentenza Demitry”: a differenza del concorrente “necessario”, quello eventuale è colui che, non essendo “parte” del sodalizio, pone in essere una condotta “atipica”; “condotta che, per essere rilevante, deve contribuire – atipicamente – alla realizzazione della condotta tipica posta da altri”). Applicandosi tale condotta, ad avviso di chi scrive, è come se si fosse introdotto, in questa anomala situazione giuridica, una specie di parallelismo con il concorso nel reato proprio: sul presupposto che sussista, anche in tal caso, da parte dell’extraneus (il concorrente esterno all’associazione di stampo mafioso), la consapevolezza sulla qualità soggettiva dell’intraneus, cioè di colui o coloro facenti stabilmente parte del sodalizio. Il concorrente esterno non sarebbe comunque né un favoreggiatore “saltuario” od “in maniera episodica” (ai sensi dell’articolo 378 comma secondo del codice penale) della compagine associativa, ma neppure un membro (ergo partecipe) inserito, in modo permanente, nei ranghi della stessa. Trattasi di un tertium genus di natura giurisprudenziale. Per comprendere meglio di cosa si stia parlando, è necessario riportare delle sentenze della Suprema Corte che hanno definito questa  condotta.

“In tema di concorso esterno in associazione per delinquere di tipo mafioso, premesso che tale ipotesi, a differenza di quella costituita dalla partecipazione “organica”, si caratterizza per l’assenza di una compenetrazione strutturale e di un vincolo psicologico-finalistico stabile, richiede, quindi, necessariamente una concreta attività collaborativa idonea a contribuire al potenziamento, consolidamento o mantenimento in vita del sodalizio mafioso in correlazione a congiunturali esigenze del medesimo…” .

(Cass. pen., sez.VI, 4/9/2000 n.2285)

“Il concorso c.d. esterno o eventuale in associazione per delinquere di stampo mafioso, è una forma di partecipazione saltuaria o sporadica all’attività del sodalizio criminoso connotata, sotto il profilo soggettivo, dalla consapevolezza dell’esistenza e delle caratteristiche del suddetto sodalizio, nonché della volontà di contribuire al conseguimento dei suoi scopi in un determinato momento della sua evoluzione…” .

(Cass. pen., sez. I, 30/5/2002 n.21356, Frasca)

“Il concorso esterno nel reato di associazione criminale di stampo mafioso, dev’essere distinto dal reato di complicità (favoreggiamento personale) perché nel primo caso l’individuo, sebbene non sia inserito saldamente nella struttura organizzativa dell’associazione, opera in modo sistematico..per deviare la polizia dalle indagini volte a sopprimere l’attività criminosa dell’associazione…fornendo così un contributo specifico e concreto ai fini della conservazione e del rafforzamento dell’associazione..”.

(Cass. pen., sent. n.18061 del 2002)

“L’esistenza del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa non è esclusa dalla presenza nell’ordinamento del reato di cui all’art.378 comma 2 c.p. (favoreggiamento personale aggravato), che concerne solo una particolare forma di aiuto…né del reato di cui all’art.418 c.p., che incrimina solo l’assistenza agli associati; né, infine, dalla previsione di cui all’art.7 del decreto legge 13 maggio 1991 n.152, che è circostanza relativa ai singoli reati, diversi da quello associativo”. (Cass. pen., sez.II, 03/04/2003 n.15756)

“Ai fini di associazione di tipo mafioso assume il ruolo di “concorrente esterno” il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo (cfr. Cass. pen., sez.V, 23/5/1997 n.4903), sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione…e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima” .

(SS.UU., 20/9/2005 n.33748 Mannino; conformi: Cass. pen., sez.VI, 18/1/2008 n.542, Contrada; Cass. pen., sez. VI, 16/7/2009 n.29458, Anzelmo)

“Ai fini della configurabilità del concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso, dev’essere provato che la condotta atipica dell’estraneo abbia efficacemente condizionato, sia pure istantaneamente, quella tipica dei membri, necessaria per tenere in vita l’associazione in attuazione del programma”.

(Cass. pen., sez.V, 25/9/2008, n.36769, Bini)

In tema di favoreggiamento personale, sussiste la circostanza aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso (art.7 D.L. n.152 del 1991 conv. in L. n.203 del 1991) qualora la condotta posta in essere a vantaggio di un esponente di spicco di un’associazione di stampo mafioso, in quanto l’aiuto fornito al capo si concretizzi nell’agevolazione per dirigere da latitante l’associazione…”

(Cass. pen., sez.V, 18/02/2011, n.6199)

“Nei rapporti tra partecipazione ed associazione mafiosa e mero concorso, la differenza tra il soggetto “intraneus” ed il concorrente esterno risiede nel fatto che quest’ultimo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur fornendo ad essa un contributo causalmente rilevante ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione, e, sotto il profilo oggettivo, è privo della affectio societatis; mentre, il partecipe intraneus è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell’accordo, e quindi del programma criminoso “  (Cass. pen., sez.II, 16/5/2012 n.18787, Giglio).

“Integra la fattispecie del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, e non quella di favoreggiamento continuato, la condotta reiterata e continuativa di rivelazione, ai membri del sodalizio criminale, di notizie relative alle indagini svolte nei loro confronti dall’autorità…” .

(Cass. pen., sez.V,  11/6/2012 n. 22582, Igrassia; conforme: Cass. pen., sez.II, 19/4/2011 n.15583, Aiello)

“La fattispecie del concorso esterno in associazione di tipo mafioso si atteggia come reato permanente, al pari di quella di partecipazione alla medesima associazione da parte del soggetto organicamente inserito nel sodalizio, fermo restando che il concorrente può far cessare la permanenza desistendo dal continuare a prestare il proprio apporto alla vita dell’associazione” . (Cass pen., sez.V, 14/8/2013 n.35100, Matacena).

“Integra la fattispecie di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta di colui che, pur restando al di fuori del sodalizio criminale, assicura allo stesso, nell’arco di un periodo di tempo pluriennale, la costante consegna di cospicue somme di danaro versate da un imprenditore quale corrispettivo della “tranquillità” personale ed economica…poiché tale comportamento configura un contributo causale determinante alla realizzazione, almeno parziale, del programma criminoso dell’organizzazione delinquenziale, diretto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua operatività e del suo rafforzamento…” .

(Cass. pen., sez.I, 1/7/2014 n.28225).

Il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, si distingue da quello di favoreggiamento, in quanto nel primo il soggetto interagisce organicamente e sistematicamente con gli associati, quale elemento della struttura organizzativa del sodalizio criminoso..mentre nel secondo egli aiuta in maniera episodica un associato, resosi autore di reati rientranti o meno nell’attività prevista dal vincolo associativo ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche di questa..” (Cass. pen., sez.I, 31/07/2013, n.33243).

Come si può evincere ictu oculi dal richiamo a questa breve ma necessaria rassegna giurisprudenziale, le sentenze della Suprema Corte sono andate così a confermare un impianto accusatorio ed una condanna per tale “atipico” ruolo, in un certo senso “rafforzando” il contributo che il soggetto avrebbe dato all’associazione, pur non potendo acclarare una responsabilità né per una condotta partecipativa (perché in tal caso il reato sarebbe stato di partecipe all’associazione de qua, ai sensi dell’art. 416 bis c.p.), ma neppure per favoreggiamento aggravato: in tal modo questa responsabilità penale “esterna” del reo, definibile “rafforzata”, avrebbe prodotto l’anomala figura del concorrente esterno (nel reato associativo) quale, come detto, tertium genus tra le altre due citate condotte. Come indicato nel prologo, è notizia di poco tempo fa la pronuncia di un G.U.P., presso il Tribunale di Catania (si anticipa non “avallata” dal suo stesso Ufficio con una successiva nota), che avrebbe emesso sentenza di non luogo a procedere nei confronti di una persona imputata di concorso esterno. Il G.U.P., nella sua sentenza, avrebbe richiamato due importanti pronunce (quella della Corte Costituzionale nr.48/2015 e la “sentenza Contrada” emessa dalla C.E.D.U.), ponendosi prodromicamente il quesito se, alla luce della evoluzione giurisprudenziale, possa dirsi quindi esistente, nel nostro ordinamento giuridico, il c.d. concorso esterno, e rispondendo negativamente; sostenendo, poi, che “la creazione del c.d. concorso esterno, appare una figura che si potrebbe definire quasi “idealizzata” nell’ambito di un illecito penale così grave per la collettività” (sotto il  “profilo teorico” la distinzione è chiara, sotto quello “pratico” la differenza può essere problematica”).

Alla luce del richiamo alla suindicata pronuncia di merito, si potrebbe affermare che la querelle sia stata “sdoganata” (anche) in alcuni ambienti, uscendo dalle camere (penali) degli avvocati, dove tanto si discuteva (nota: se un’altra notizia apparsa sui quotidiani fosse corretta, il concorso esterno sarebbe stato peraltro definito, in un libro, un “obbrobrio” giuridico da parte di un noto ex magistrato).

In conclusione, la configurazione del concorso esterno è un’ importante questione (giuridica) che dovrebbe essere risolta al più presto e solo ed unicamente dal Legislatore, valutando ormai “esistente” tale condotta, ergo introducendola nel codice penale quale reato autonomo, ovvero inserirlo con un comma all’interno dell’articolo 416 bis c.p.; in caso contrario dovrebbe esser forse la stessa Magistratura giudicante ad intervenire stabilendo che, così come attualmente (in)determinato, il concorso esterno nella teoria risulta ben definito, ma nella sua applicazione pratica desta ancora delle serie  problematiche attuative, alla luce del principio di tassatività e non solo.

La teoria del concorso esterno delle Sezioni unite farebbe la felicità degli epistemologi popperiani: essa è una teoria falsificata, che tuttavia continua ad essere applicata nonostante le confutazioni. Essa sopravvive perché non abbiamo ancora elaborato una teoria alternativa, che risolva in maniera efficiente il problema di fondo. Invero, il problema non è distinguere tra partecipazione e concorso esterno, ma perimetrare l’area del penalmente illecito, separandola dall’area del penalmente indifferente. Il concorso esterno doveva servire ad estendere la punibilità a soggetti diversi dal socio dell’associazione. Ma lo strumento, accreditato dall’uso, è stato screditato dall’abuso. Una nuova teoria dovrà risolvere questo problema”. (tratto da “Concorso esterno in associazione mafiosa: il fatto non è più previsto dalla giurisprudenza come reato”, paragrafo 4 “Un futuribile giuridico” in Cassazione Penale 7/8 del 2001 pag.2085 di Francesco Mauro Iacoviello, a commento della sentenza, sez.VI, ud. 21/09/2000, dep. 23/01/2001, Pres. Pisanti, Rel. De Roberto – sent. Villecco in “associazione di tipo mafioso. Concorso esterno. Caratteristica secondo le Sezioni unite. Contributo dato all’associazione per il superamento di una grave difficoltà. Mancanza di una situazione siffatta. Inconfigurabilità del concorso esterno”).

Alessandro Continiello

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