Gli insegnanti sono pubblici ufficiali
Nelle scuole pubbliche e paritarie è possibile ricondurre all’insegnante la qualifica di pubblico ufficiale.
Infatti, in base all’art. 357 c.p. “Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.
Dunque, gli insegnanti sono pubblici ufficiali e rappresentano la pubblica amministrazione.
In primo luogo, tale qualifica assume rilevanza in quanto alcuni reati, che normalmente sarebbero perseguibili solo a querela (come minacce, percosse, violenza privata, lesioni lievi), quando sono commessi ai danni di un pubblico ufficiale diventano perseguibili d’ufficio.
In secondo luogo, la qualifica di pubblico ufficiale fa sì che l’insegnante possa rendersi autore di un reato c.d. proprio, in particolare di un reato che può essere commesso solo da un pubblico ufficiale.
In terzo luogo, la qualifica di pubblico ufficiale in capo all’insegnante impone allo stesso di riferire le notizie di reato di cui venga a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni. Pertanto, qualora nel corso di una lezione vengano tenute condotte suscettibili di integrare reati perseguibili d’ufficio, l’insegnante sarà tenuto ad informare l’Autorità giudiziaria. Come si vede, però, affinché quest’obbligo sia configurabile occorre che il reato sia connotato da uno specifico regime di procedibilità.
Infatti, all’art. 331 c.p. si legge che “Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’autorità giudiziaria, o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da euro 30 a euro 516. La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto. Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa”.
Giurisprudenza rilevante sull’abuso dei mezzi di correzione
La qualifica di pubblico ufficiale e l’obbligo di attivarsi da parte dell’insegnante in presenza di episodi di bullismo non consente all’insegnante però di adottare qualsiasi metodo educativo volto a punire il bullo.
In alcuni casi è infatti possibile che una punizione eccessiva sfoci nel reato di abuso dei mezzi di correzione o disciplina.
In particolare, in base all’art. 571 c.p. “Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni”.
Sul punto vale segnalare che il Tribunale di Palermo, con sentenza del 27 giugno 2007 aveva stabilito che non è punibile per abuso dei mezzi di correzione o disciplina l’insegnante che, per punizione, fa scrivere cento volte all’allievo la frase “sono deficiente” per aver vessato con episodi di bullismo un compagno più debole. I giudici, in quell’occasione, hanno ritenuto che lo strumento correttivo fosse proporzionato, efficace, nonché l’unico immediatamente disponibile.
In senso contrario però Cass., 14 giugno 2012, n. 34492 ha ritenuto invece integrata la fattispecie dell’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina. Il comportamento volto a umiliare, svalutare, denigrare l’allievo bullo, lungi dall’educare, al contrario rafforza il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o sociali) sono decisi dai rapporti di forza o di potere.
Responsabilità degli insegnanti sul piano civilistico
Infine, ricordiamo che, ai sensi dell’art. 2048 c.c. (rubricato “responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte”) “Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”.
Si tratta di una ipotesi di responsabilità soggettiva presunta in quanto la norma pone una presunzione di colpa iuris tantum. L’insegnante infatti si libera se prova non avere potuto impedire il fatto.
In particolare, applicando all’ipotesi in discorso l’insegnamento di Cass. n. 14216/2018, il docente, per liberarsi dalla responsabilità, ha l’onere di provare che né lui, né alcun altro precettore diligente, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., avrebbe potuto, nelle medesime circostanze, evitare il danno. Tale prova è inscindibilmente connessa alla dimostrazione della presenza fisica dell’insegnante al momento della commissione dell’illecito da parte del bullo, integrando la stessa un dovere primario del precettore diligente ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c.
Continua ad approfondire il tema dei rapporti tra bullismo e diritto penale leggendo “Bullismo e cyberbullismo” di Maria Sabina Lembo – Manuela Marchetti – Maria Pina Pesce, da cui il presente contributo è stato tratto.
Bullismo e cyberbullismo dopo la L. 29 maggio 2017, n. 71
Alla luce delle nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (Legge 29 maggio 2017, n. 71), questo pratico fascicolo si configura come uno valido supporto per l’immediata soluzione alle principali criticità relative al Bullismo e Cyberbullismo e dà risposte chiare ai quesiti più frequenti: cosa bisogna intendere per bullismo? Quali condotte sono penalmente rilevanti e come si procede? Cosa prevede la nuova legge in materia di cyberbullismo e quali condotte configurano il reato? Come è possibile rimuovere i dati personali del minore diffusi in rete?Completato da itinerari giurisprudenziali e consigli operativi, il testo analizza in sole 82 pagine la materia.Maria Sabina Lembo Avvocato penalista e giornalista pubblicista. Autrice e curatrice di pubblicazioni giuridiche e multidisciplinari.
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